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IDA, ANELLO MANCANTE? IL SOLITO FALSO.

Post n°185 pubblicato il 29 Maggio 2009 da Fratus

TROVATO  «L’ANELLO MANCANTE» DELL’EVOLUZIONE UMANA: IL FOSSILE IDA

Reperto scientifico importante trasformato in gadget mediatico

di Mihael Georgiev

Il 19 maggio 2009 al Museo di Storia Naturale di New York un gruppo di paleontologi scandinavi ha esposto un fossile, presentandolo  ai giornalisti come l’«anello mancante» dell’evoluzione dell’uomo. La notizia è stata diffusa dalla stampa mondiale e i media audiovisivi che hanno chiamato il fossile «l’ottava meraviglia del mondo», un fossile che «può riscrivere la scienza», «confermare Darwin», «smentire definitivamente la religione» e così via.

Ne hanno dato notizia anche i mezzi di comunicazione italiani. Due servizi interessanti si possono vedere collegandosi ai link del TG5: http://events.it.msn.com/notizie/nonna-ida.aspx?cp-documentid=147432979

 e il Sole 24 Ore: http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Mondo/2009/05/ida-fossile-primate.shtml?uuid=19ae9ca0-453f-11de-a7ac-e0b609c54390&DocRulesView=Libero.

A coloro che conoscono l’inglese consiglierei il sito audiovisivo   http://www.slideshare.net/cleveglass/fossil-ida-missing-link-1477340

e il video della Sky Germania http://www.youtube.com/watch?v=JANwVq018C4.

Di cosa si tratta veramente?

Il fossile «Ida» è stato trovato ne 1983 in Germania, nella cava di Messel vicino a Francoforte, da un cercatore di fossili. Per oltre 20 anni il collezionista privato, ignorando l’importanza del fossile, l’ha tenuto in casa, ma alcuni anni fa alla fiera del fossile in Germania un esperto ha capito l’eccezionalità del reperto, valutandolo a un milione di euro.  Grazie a la sua intermediazione il collezionista ha consentito a Jorn Hurum, paleontologo dell’Università di Oslo, di esaminare il fossile, cosa che Hurum ha fatto lavorando in segreto per due anni. Alla fine l’affare si è fatto e nel 2006 il fossile è stato venduto al museo di Storia Naturale di Oslo. Poiché si tratta di animale di sesso femminile, Jorn Hurum l’ha chiamato Ida, al nome della propria figlia, mentre come nome scientifico ha scelto Darwinius masillae (darwiniano di Messel), in onore del grande naturalista inglese nell’anno delle celebrazioni darwiniane.

Secondo la scala geologica del tempo il fossile avrebbe vissuto  47 milioni di anni fa, durante l’eocene. In quell’epoca la cava di Messel era un lago vulcanico circondato da foresta tropicale. Abbeverandosi nel lago, Ida sarebbe morta dalle esalazioni di anidride carbonica (CO2), quindi caduta nel fondo del lago dove vi erano condizioni ideali per la rapida fossilizzazione. La cava di Messel ha infatti reso già tanti reperti fossili, ma Ida (Darwinius masillae) è un fossile unico ed eccezionale: oltre 95% dello scheletro è conservato in ottimo stato, e sono addirittura riconoscibili i residui fossili dell’ultimo pasto. In confronto, della famosa Lucy è stato trovato meno di 40% dello scheletro.

Il corpo di Ida  è grande quanto quello di un grosso gatto, ha una lunga coda e somiglia moltissimo al simpatico lemuro che vive in Madagascar. Frammenti di fossile simile erano già stati trovati nel Nord America – ma solo frammenti.

I pollici delle zampe anteriori sono opponibili alle altre dita, la struttura delle zampe posteriori comprende tallone simile a quello umano, al posto degli artigli Ida aveva delle unghie. Ciò non la rende anello «mancante»: non le manca infatti niente che non sia già presente nei diversi primati (e nell’uomo).

Insomma, un antico lemuro che dal punto di vista evoluzionistico potrebbe essere inserito nella storia evolutiva dei primati e dell’uomo, cioè scimmie e uomo, dove esattamente ancora non si sa, gli esperti si devono ancora pronunciare. I paleontologi scandinavi hanno già decretato le loro certezze scavalcando gli esperti “mondiali” e utilizzando IDA gadget mediatico e commerciale.

Prima di portarlo a New York, Hurum e i suoi colleghi scandinavi hanno pubblicato le loro conclusioni sulla rivista online Plos one (Public Library of Sience) http://everyone.plos.org/2009/05/19/plos-one-introduces-darwinius-masillae/ . Si tratta di una rivista-blog di libero accesso e gli autori – scienziati professionisti – hanno dichiarato di aver scelto questo tipo di pubblicazione per consentire accesso libero al grande pubblico e agli interessati; se avessero invece discusso l’eccezionale ritrovamento solo nelle riviste scientifiche specializzate, il fossile sarebbe rimasto per molto tempo chiuso nella torre d’avorio degli scienziati.

Non è il caso di commuoversi per il loro amore per la divulgazione scientifica: il fossile è stato pur pagato un milione di euro e in qualche modo l’investimento si dovrà recuperare. E la comunità scientifica? Ha dovuto ingoiare un boccone amaro, ma potrà sempre consolarsi  – business a parte – con il fatto che il fossile è utilizzato per la comune causa evoluzionista.

Le riviste scientifiche hanno però preso immediatamente le distanze dalle conclusioni trionfali dei paleontologi scandinavi: si può essere evoluzionisti e allo stesso tempo intellettualmente onesti, e ciò è più facile per chi non deve recuperare un milione di euro o guadagnarci altro danaro sopra.

 La prima rivista che ha commentato il reperto è stata la New Scientist, che il 21 maggio pubblicava un articolo a firma di  Chris Beard, esperto di paleontologia dei vertebrati del museo Carnegie di Storia Naturale (concorrente di quello dove è stata fatta la presentazione), dal titolo significativo «Perché il fossile Ida non è l’anello mancante» (vedi http://www.newscientist.com/article/dn17173-why-ida-fossil-is-not-the-missing-link.html). Le «ammiraglie» della scienza, come ad esempio le riviste Nature e Science, per ora hanno snobbato il fossile.

Siamo di fronte ad un’operazione mediatica di straordinaria efficacia. Il business è business e va rispettato, basta non confondere la propaganda con il significato scientifico che deve essere ancora discusso nelle sedi più idonee.

 

 
 
 
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