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La Politica italiana di immigrazione dal dopoguerra ad oggi

Post n°321 pubblicato il 13 Aprile 2010 da Fratus

Questo articolo traccia alcuni aspetti poco conosciuti della politica italiana di immigrazione dopo la fine della Seconda guerra mondiale. L’articolo non ha la pretesa di essere esaustivo, ma di presentare alcuni aspetti poco conosciuti della politica italiana nell’arco di sessant’anni contrassegnati da cambiamenti significativi del contesto nazionale e internazionale.

Il motivo per scriverlo è che non ne posso più delle accuse fatte alla Lega Nord di promuovere politiche anti immigrazione improntate alla xenofobia e il razzismo. I fatti parlano chiaro e sono tutti di segno opposto: nelle regioni governate dalla Lega gli immigrati sono trattati meglio che in ogni altra parte d’Italia, mentre le Regioni – allora rosse – di Campania e Calabria hanno condotto politiche che hanno portato a rivolte con scontri e morti in Campania (Baia Domizia), Calabria (Rosarno) e non solo.

Nutro compressione e rispetto per le ragioni e le debolezze altrui, so che la visione ideologica e la menzogna sono per una certa nostra sinistra come l’ossigeno per ogni essere vivente, però non sono mai stato ascoltatore passivo della propaganda da qualunque parte provenisse. Ho tutti i titoli per occuparmi di un argomento così vasto e impegnativo. A differenza di certi intellettuali di grido che parlano di cose che non conoscono, ma giudicano in base a quello che hanno sentito nelle università o da certi maestri (si fa per dire) del pensiero, io parlo e scrivo solo di cose di cui ho diretta conoscenza. Sono nato in Bulgaria, arrivato in Italia come profugo clandestino nel 1971, ho vissuto un breve periodo negli USA, poi mi sono stabilito definitivamente in Italia, il Paese che mi ha dato tutto, il paese che amo, la mia patria, della quale sono diventato cittadino solo dieci anni dopo, nel 1983. Negli anni migliori della mia vita professionale e di attività all’estero ho tenuta alta la bandiera italiana, perciò spero che sono stato un buon testimonial del nostro Paese, ripagandolo nel limite delle mie possibilità per tutto quello che mi ha dato.

L’Italia usciva malconcia dalla guerra, e diversi paesi europei, compatibilmente con le proprie possibilità e interessi, aprono subito le porte all’emigrazione italiana: Gran Bretagna, Belgio, Francia, per citarne solo alcuni. Nel contesto di un’Europa – e mondo – divisi in due blocchi, il 28 luglio 1951 una sessione speciale dell’Onu firma a Ginevra la Convenzione sullo status dei rifugiati, specificando quali potevano ricevere asilo politico con il diritto di stabilirsi come residenti nei rispettivi paesi d’arrivo. L’Italia ratifica la convenzione di Ginevra il 24/7/1954, rendendola, con il nome di legge 277, parte del proprio ordinamento giuridico. Riconoscendo giuste alcune rimostranze del Governo italiano, al nostro Paese viene concesso di ratificare la Convenzione con un’importante riserva, cioè di riconoscerne la validità solo per i paesi europei, ma non per i rifugiati dal resto del mondo (e nessuno grida che si tratti di razzismo).

Sul piano pratico però la priorità (quasi ossessione) dei Governi democristiani è di impedire ai rifugiati, benché solo europei, di stabilirsi in Italia. Come? Facile: mentre negli altri paesi europei praticamente tutti i rifugiati dell’Est ricevono asilo politico, conferito di regola dalla Magistratura ordinaria in ottemperanza alla Convenzione di Ginevra, in Italia il riconoscimento del diritto d’asilo è affidato ad una apposita Commissione, cinghia di trasmissione governativa, che però concede l’asilo a meno del 10% dei richiedenti, ai quali non viene nemmeno comunicato di averlo. Di conseguenza i rifugiati sono parcheggiati in appositi campi e da qui costretti a emigrare in paesi di destinazione definitiva. Questi paesi sono: USA e Canada, Sud Africa, Australia e Nuova Zelanda, e in Europa la Svezia, mentre la Svizzera si fa carico dei casi umanitari: accoglie i rifugiati anziani, invalidi e non in grado di auto sostenersi lavorando, assicurando loro asilo, residenza e assistenza a vita a spese dello Stato.

La prima breccia nella politica dell’immigrazione avviene dopo la fine della guerra in Vietnam (1975). Dietro pressione americana e degli altri paesi europei, Italia è costretta – in deroga alla legge 277 – ad accogliere e dare residenza ad un certo numero di profughi vietnamiti (meno di ventimila), il cui arrivo ufficiale è nel 1979. Nel frattempo l’immigrazione europea cambia radicalmente, con l’arrivo massiccio di profughi nordafricani. Allontanando dal proprio territorio gli immigrati dell’Est Europa, per decenni l’Italia si è privata di gente della stessa cultura, assimilabile, omologabile, perdendo anche l’apporto di numerose persone con alte qualifiche professionali, in grado di contribuire alla vita economica e sociale del Paese. Ora si trova a fronteggiare una massiccia immigrazione di persone di culture diverse, spesso con difficoltà di assimilazione, la stragrande maggioranza delle quali chiedono solo  un pezzo di pane. Mancano anche gli strumenti legislativi, la legge non prevede il diritto d’asilo per extraeuropei. A prescindere della deroga per i profughi vietnamiti, per le prime modifiche significative della legge 277 sull’immigrazione bisogna attendere il 1990, cioè la legge Martelli del 1990 (Governo Andreotti), che abolisce la riserva per i rifugiati extraeuropei e poi il 2002, con la legge Bossi – Fini (Governo Berlusconi). Segue il recente accordo Italia – Libia (Governo Berlusconi), che finalmente a ridotto i flussi di clandestini via mare riducendo la perdita di vite umane.

L’Europa, pronta a criticarci su tutto, ci abbandona a fronteggiare da soli l’invasione straniera. Certi parlamentari europei, aizzati da un nostro partito d’opposizione, opinionisti e intellettuali muovono all’Italia le più assurde accuse di trattamento disumano e razzista, dimenticando che da soli fronteggiamo un flusso migratorio maggiore di quello cumulativo degli altri paesi europei.

I governi di destra hanno tentato di fare, di governare il fenomeno migratorio. Come ogni legge anche le loro non saranno perfette ma sono migliorabili. Alcune recenti proposte sono difficilmente condivisibili, come ad esempio il tentativo di obbligare i medici a denunciare i clandestini che si rivolgono a loro per cure (nella mia attività di medico ho sempre prestato invece assistenza gratuita agli immigrati, e d’altra parte ne ho ricevuta anche io quando ero immigrato). Comunque i governi i destra si sono dati da fare per governare il fenomeno. Anche quelli di sinistra si sono dati da fare: hanno affondato nell’Adriatico una nave carica di profughi e ignorato guerre tra immigrati e italiani nelle regioni da loro governate. Ma per la sinistra la vita è facile. Autoreferenziale per diritto, senza neanche passare per il confessionale del prete, dopo qualche giorno organizza una bella manifestazione in piazza contro il razzismo e la Lega, autoproclamandosi l’unica forza progressista che difende i diritti degli immigrati.

Il quadro generale è di completo rovesciamento della pluridecennale politica di restrizioni all’immigrazione. Dalla politica restrittiva si è passati all’opposto: assegnazioni di case popolari agli immigrati, precedenze nelle iscrizione agli asili comunali ed altre prassi del genere: l’Italia cerca e in parte riesce a fare per gli immigrati più di quanto non possa fare per i propri cittadini. Ora, uno può scegliere se condividere con gli altri quello che ha, ma nessuno può dare agli altri quello che non ha. Noi siamo il Paese con gli stipendi tra i più bassi d’Europa (quelli dei politici invece sono tra i più alti) e il fisco più pesante. Milioni di connazionali arrotondano con un secondo lavoro, in nero ovviamente, altrimenti non avremmo il risparmio privato più altro del mondo e la maggiore percentuale di proprietari di prima casa. Va da sé che l’immigrato nell’immediato può inserirsi, specie in certe zone del Paese, prevalentemente nell’area del lavoro nero. Non è bello, basta pensare agli infortuni sul lavoro. Ma è la vita di milioni di italiani. L’emigrazione è una scelta, ma il prezzo da pagare è alto. Lo sradicamento dalla propria terra è un trauma emotivo. Di regola la prima generazione di immigrati si sacrifica, ma assicura ai figli un futuro migliore. È la vita. Ma non è ciò che hanno fatto i nostri padri per noi?

Così veniamo all’ultimo punto che di recente è diventato oggetto di sgradevoli speculazioni bipartisan: il diritto alla cittadinanza italiana. Il criterio fondamentale per il diritto alla cittadinanza (oltre all’obbligo di un certo numero di anni di residenza) è che il richiedente abbia un reddito ritenuto sufficiente per vivere. Mi sembra il minimo. Ma il punto più importante è che i figli nati in Italia da immigrati con regolare permesso di soggiorno diventano automaticamente cittadini italiani al conseguimento del diciottesimo anno di vita. La Lega Nord non ha mai sollevato obiezioni contro questa legge. Cosa di più si vuole fare per la cittadinanza e perché?

Mihael Georgiev  

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