Creato da Fratus il 08/08/2006
Commentiamo la società
 

 

Contraddittorio serrato sulla teoria di Darwin

Post n°421 pubblicato il 23 Maggio 2011 da Fratus

Scienza, filosofia e fede

Polemiche sull'evoluzionismo

Milano

Nel cuore del quartiere isola di Milano, presso la sala parrocchiale di via Sebenico, si è consumata ieri sera la presentazione del nuovo saggio del prof. Pier Maria Boria Caro amico… dialoghi minimi intorno ai sistemi. Presenti all’incontro, oltre al padrone di casa don Paolo, uno spumeggiante Marco Marsili e il noto anti-evoluzionista Fabrizio Fratus. Il pubblico attento e documentato ha seguito con intenso interesse il dibattito sulla teoria di Chales Darwin tra Fratus e Marsili; il primo ha cercato di dimostrare l’inconsistenza scientifica della teoria riportando famose citazioni dei maggiori studiosi evoluzionisti facendo notare come siano gli stessi scienziati evoluzionisti a definire la teoria una religione atea. Il prof. Marsili (nella foto) ha risposto che la scienza è falsificabile in quanto tale, come sostiene Popper, e che oggi la teoria darwiniana non è sostituibile, opponendosi poi all’assunto teorico evoluzionismo=ateismo. Il contraddittorio tra le due figure con pensiero così differente ha creato un simpatico "siparietto" che ha mantenuto attento il pubblico. Don Paolo è intervenuto spiegando che non si è mai posto il problema sulla teoria di Darwin in quanto la sua fede non ne aveva necessità ma dopo i precedenti interventi ha compreso lo scopo del confronto auspicando la possibilità di ulteriori dibattiti.

Arrivati alla presentazione vera e propria del libro del prof. Pier Maria Boria l’attenzione si è concentrata nel comprendere bene cosa è la scienza. Dopo una esaustiva definizione si passati alla famosa teoria della creazione basata sulla termodinamica. Alla conclusioni il pubblico ha posto diverse domande ai relatori. Una serata piacevole in compagnia di “artisti” del contraddittorio. Il 24 giugno presso le sale del comune di Viterbo si terrà il prossimo appuntamento promosso dal comitato anti-evoluzionista e dall’associazione Aiso.

http://www.voceditalia.it/articolo.asp?id=67459

 
 
 

Usa: chi è il terrorista?

Post n°420 pubblicato il 22 Maggio 2011 da Fratus

di Massimo Fini 


http://a6.idata.over-blog.com/300x213/4/24/79/66/USA--terrorista.jpg


L’Occidente si considera una “cultura superiore” (nuovo conio del razzismo, essendo diventato quello classico impresentabile dopo Hitler), ritiene di avere i valori migliori, anzi assoluti, e quindi il dovere morale di imporli, abbattendo dittature, autocrazie, teocrazie e quei Paesi, come l’Afghanistan talebano, dove si pratica l’intollerabile sharia (ma la sharia non c’è anche in Arabia Saudita?
E che c’entra? Quelli sono alleati).
E vediamola allora, a volo d’uccello, la storia della “cultura superiore”.
Dal 1500 al 1700 portoghesi, spagnoli e inglesi si specializzarono nella tratta degli schiavi (la schiavitù era scomparsa da mille anni, col crollo dell'impero romano). Ma nel 1789 arrivò la Rivoluzione francese con i suoi sacri principi: libertè, egalitè, fraternitè. Peccato che l’800 sia stato il secolo del colonialismo sistematico europeo. I “sacri principi” non valevano per gli altri.
Gli Stati Uniti, gli attuali campioni della morale occidentale, hanno alle loro origini un genocidio infame e vile (winchester contro frecce) che non disdegnava l’uso delle “armi chimiche” dell’epoca (whisky). Sono stati gli unici, in epoca moderna, a praticare, sul proprio territorio, la schiavitù, abolita solo nel 1865 e hanno avuto l’apartheid fino a 50 anni fa. Nelle ultime fasi della seconda guerra mondiale questi corifei dei “diritti umani” bombardarono Berlino, Dresda, Lipsia mirando appositamente ai civili, fra cui fecero milioni di morti, “per fiaccare il morale del popolo tedesco” come dissero esplicitamente i loro comandi e sono l’unico Paese al mondo ad aver usato l’Atomica.
Sgretolatosi il contraltare sovietico hanno inanellato, in vent’anni, cinque guerre. Il primo conflitto del Golfo poteva avere qualche ragione perchè Saddam aveva invaso il Kuwait, peraltro uno Stato fasullo creato nel 1960 per gli interessi petroliferi Usa. Ma le guerre bisogna anche vedere come le si fanno. Per non affrontare fin da subito l’imbelle esercito iracheno bombardarono per tre mesi le principali città dell’Iraq. Sotto le luminarie che ci fece vedere il prode Del Noce morirono 160 mila civili, di cui 32.195 bambini (dati del Pentagono). 32.195 bambini. Quando lo scrivo o lo dico mi immagino che i miei connazionali, “italiani brava gente”, siano percorsi da brividi di orrore. Ma non è così.
In questo momento, a detta della Tv di Stato, gli italiani e le italiane sono dilaniati dal lacerante dilemma: “Poichè la moda quest’anno non ha dato indicazioni, quale dovrà essere la lunghezza della gonna la prossima estate: al ginocchio, sopra, sotto, mini, maxi?”. Poi c’è stata l’aggressione alla Serbia del tutto immotivata (“Gli stupri etnici! Gli stupri etnici!”. I debosciati occidentali, che vanno a comprare le bambine e i bambini a Phuket, proiettano la loro ombra: vedono stupri dappertutto). I morti furono 5500. In Afghanistan sono, per ora, 60 mila, la maggioranza provocata, secondo un rapporto Onu del 2009, dai bombardieri Nato, spesso droni, aerei senza equipaggio teleguidati da Nellis nel Nevada. Gli occidentali, si sa, hanno uno stomaco delicato, gli fa orrore il corpo a corpo, il sudore, la vista del sangue. Gli sembra più morale schiacciare un bottone, fare qualche decina di morti a 10 mila chilometri di distanza e poi andarsene a cenare a casa.
In Iraq i morti sono stati 170 mila. Il calcolo è stato fatto, in modo molto semplice, da una rivista medica inglese confrontando i decessi degli anni di Saddam con quelli degli anni dell’occupazione. Per la Libia i calcoli li faremo alla fine. Rimaniamo sul certo. Le cinque guerre occidentali hanno causato circa 400 mila vittime civili, il terrorismo inte
rnazionale circa 3500. Un rapporto di 110 a uno. E allora chi è il terrorista?

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Se il mondo riscopre Dio, patria e famiglia

Post n°419 pubblicato il 10 Maggio 2011 da Fratus

di Marcello Veneziani

http://static.turistipercaso.it/image/s/sacro/sacro_bjdz1.T0.jpg
 

La beatificazione del Papa e la fol­la dei devoti a Roma, l’intervento in Libia e il compleanno d’Italia, il matrimonio nella famiglia rea­le inglese in mondovisione, il ri­nato patriottismo Usa dopo la morte di Bin Laden. Quattro even­ti planetari in una sola settimana hanno riacceso in forme diverse le luci su un’antichissima trinità: Dio, patria e famiglia. Era da tem­po che non si rivedevano insie­me.

Che fine hanno fatto Dio, patria e famiglia? Sono stati per secoli l’orizzonte di vita e di senso dei popoli, poi si sono ritirati nel ruolo di bandiera ideale per movimenti conservatori e tradizionali. Ora sanno di arcaico e finito, servono più per etichettare posizioni antiquate altrui che per rivendicare le proprie. Con che cosa furono sostituite? Potremmo rispondere con nulla, o con il nulla eretto a orizzonte. O, storicamente, che furono sostituite con libertà, eguaglianza e fratellanza. O più semplicemente che furono barattate con l’individuo, i suoi diritti e la libertà sovrana di sentirsi cittadino del mondo, senza legami a priori. Sembra impossibile pensare a Dio, patria e famiglia. Chi li vive non li pensa e chi li pensa li ritiene già morti. Eppure Dio, patria e famiglia occupano ancora il pensiero supremo di metà umanità e la loro orfanità è avvertita come un vuoto dall’altra metà. Dio, patria e famiglia popolano i pensieri reconditi, i ricordi e i rimorsi più forti, animano l’arte,il sogno e la letteratura,resistono come nostalgia e sentimenti. Perché occupano rispettivamente la sfera del pensiero e della fede, della vita pubblica e civile, della vita intima e sentimentale. Si chiamano in modi diversi; per esempio senso religioso, senso comunitario e senso delle radici. L’uomo ha tre dimensioni originarie, che sono la sua umanità, la sua natura e la sua cultura: la dimensione verticale che ci spin-ge a tendere verso l'alto, la dimensione orizzontale che porta a situarci in una comunità e la dimensione interiore che induce a ritrovarsi nelle origini. In questo triplice viaggio verso il cielo, la terra e le radici, ci imbattiamo in figure e presagi che richiamano Dio, patria e famiglia. E se fosse necessario ripensarli e riviverli nel nostro presente e nel futuro prossimo? Se nascessero dalla loro scomparsa la presente disperazione, il cinismo e gli abusi, le paure e le chiusure? Se avessimo bisogno di quell’orizzonte per essere uomini e per legarci davvero tra noi? Davanti alla tabula rasa bisogna tornare all’abc.

Come si possono pensare oggi Dio, patria e famiglia con la sensibilità del presente, senza tornare al passato? In primo luogo attraverso la libera scelta, nessun automatismo imposto da natura o storia, autorità o legge. Ma una libera e radicale scommessa tra caso e destino, tra libertà di assegnare significato o no all’origine, ai nostri legami, al nostro senso del sacro e del divino. Abbiamo bisogno di dare un senso alla vita, riconoscendovi un disegno intelligente; poi di avvertire un luogo come la nostra casa, la nostra matrice; quindi di nutrire legami speciali di comunità e tradizione.

In secondo luogo dobbiamo risalire dalla buccia al midollo, all’essenza di quel senso religioso, comunitario e delle origini. Con amore totale per la verità, costi quel che costi, non cercando coperture retoriche e rassicuranti bugie. È onesto pensare che le forme storiche, lessicali e rituali in cui si manifestano Dio, patria e famiglia possano morire e mutare. Ma il tramonto di alcune fedi secolari, di convinzioni e strutture, non significa la fine di quegli orizzonti e del nostro bisogno. È importante distinguere tra le forme che passano e i contenuti che restano; capire cosa salvare, cosa rigenerare e cosa lasciar morire.
In terzo luogo, oggi Dio, patria e famiglia vanno pensate non solo in loro presenza ma anche in loro assenza, attraverso la loro mancanza, e gli effetti che questa produce. Non possiamo negare che si tratta di princìpi sofferenti, sempre più cagionevoli e incerti. Non possiamo chiamarci fuori, fingere una purezza che non abbiamo; dobbiamo saper riconoscere che nella loro penuria ci siamo dentro anche noi, fino al collo; scontiamo anche noi cadute e incoerenze. Non ci sono incontaminati guardiani dell’ortodossia e dell’osservanza; anche noi esitiamo e spesso voltiamo le spalle. Dunque, nessuna pretesa di superiorità e di purezza rispetto agli altri; sia questa ragione di realismo e umiltà popolare.

In quarto luogo va tenuto a mente che nessuno può imporre il monopolio, il primato, l’esclusiva, del suo Dio, della sua patria e della sua famiglia. Amare Dio, patria e famiglia non vuol dire negare quelli degli altri; ma rispettarli tutti, a partire dai propri. Se neghi il Dio, la patria e la famiglia degli altri, neghi i tuoi. Se neghi ogni dio, ogni patria e ogni famiglia, neghi l’umanità, la dignità e l’identità tua, altrui e del mondo da cui provieni. Chi rinfaccia gli orrori compiuti in nome di Dio patria e famiglia, confonde la malvagità umana con i pretesti in cui è stata rivestita nei secoli. Anche la libertà, l’uguaglianza, la fraternità e i diritti umani sono stati usati per imporre il terrore giacobino, le dittature comuniste, il fanatismo ateo; contro Dio, patria e famiglia.

Infine, i corollari: via la cupa ortodossia, meglio l’ironica leggerezza. Via la scolastica ripetitiva, meglio l’educazione popolare a quei principi. Via il superbo individualismo o la sua variante settaria, meglio iscriversi nell’alveo popolare di un comune sentire e di una tradizione provata dall’esperienza.

Non so se questo basterà per rigenerare nel tempo presente e in quello che viene l’amor patrio,familiare e divino. Ma non vedo altro all’orizzonte che meriti di suscitare passioni ideali e nulla che ricordi davvero la storia e la vita autentica, la cultura e la natura dell’uomo. Se fosse questo il compito ideale e civile, politico e morale di oggi? Pensateci, perlomeno. Per non morire nemocristiani, cioè figli di nessun cristo.
 

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Apollineo e dionisiaco

Post n°418 pubblicato il 10 Maggio 2011 da Fratus

di Gianmaria Merenda -Fonte:

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cultura/Libri/2010/12/20/img/colli-apollineo-e-dionisiaco_150.jpg

Apollineo e dionisiaco raccoglie alcuni scritti che negli anni tra il 1938 e il 1940 hanno visto Giorgio Colli confrontarsi con la filosofia greca, scritti che avrebbero dovuto confluire in un’opera che non è mai venuta alla luce: Ellenismo e oltre. Come già qualche tempo accade (con Platone politico, 2007, e Filosofi sovraumani, 2009), la casa editrice Adelphi sta proponendo gli scritti giovanili di Colli per restituire ai lettori una sempre più profonda immagine del filologo e filosofo italiano. Questo testo, a cura di Enrico Colli, propone al lettore l’officina filosofica di Giorgio Colli. Nella nota introduttiva sono illustrate le scelte e le motivazioni che hanno spinto il curatore a dare un certo ordine agli scritti e a scegliere il titolo per la pubblicazione. A corredo degli scritti di Colli stanno gli appunti preparatori in cui si possono leggere i ‘motivi’, a volte passi lunghi, a volte solo poche righe o addirittura una singola parola, che hanno contribuito a formare lo scritto che poi appare nella raccolta. Ancor più interessanti sono i ‘Piani’ che, nell’Appendice, rendono in maniera estremamente schematica e immediata l’idea di una elaborazione densa e continua del materiale con cui Colli si confrontava in vista del testo definitivo.
Nel primo capitolo del testo Colli centra il suo interesse attorno alla figura del filologo. Un testo e un autore sono utilizzati, per contrasto, per sviluppare i concetti di apollineo e dionisiaco: la Nascita della tragedia e Nietzsche. Nell’eccezione di Colli, la filologia ha un’ampiezza teoretica ben più ampia di quella che solitamente ha quando viene associata alla ricostruzione logica di un testo. Come ricorda lo stesso Colli, “sinora la filologia è stata ristretta allo studio della parola scritta del remoto passato, studio di un’espressione come tale, non di un’espressione per ritrovare l’intimità che le sta dietro” (p. 39). Per Colli la filologia è una attività di più ampio respiro, una attività “che vede il mondo e la vita come una grande espressione e la studia soltanto per scoprire ciò che sta dietro ad essa” (p. 31). La filologia non è più limitata allo studio delle motivazioni che hanno prodotto una determinata opera intellettuale, ma diventa lo strumento che permette di accedere a ciò che si cela dietro la vita stessa nella sua interezza: il suo compito è ben più ampio e più impegnativo perché si capisce immediatamente che i suoi confini sono, necessariamente, imponderabili. Di conseguenza, anche la figura del filologo subisce una mutazione nella sua essenza. Egli non è più relegato al solo studio delle ‘lettere’ antiche. Il filologo è quell’uomo che si interroga su cosa è la vita, su cosa è il vivere. Per questo il suo compito diventa quello di indagare le essenze che muovono il vivere umano e i suoi strumenti diventeranno sempre più la filosofia, l’estetica, la morale e la politica (Colli, volgendo il suo sguardo alla Grecia antica, afferma che “arte, filosofia e politica non sono altro che érgon, e come tali studiabili sotto un unico punto di vista: tra di loro esiste agonismo, non separazione”, p. 49).

Da queste prime indicazioni, che hanno messo in evidenza la particolare idea di filologia che sarà sviluppata nel testo, e la sua conseguente applicazione pratica, non poteva mancare l’introduzione a quel filologo che molto ha in comune con l’approccio colliano alla materia: Nietzsche. Del filologo-filosofo tedesco è, come accennato poco sopra, utilizzato un testo, la Nascita della tragedia. Questa scelta è necessaria perché permette un dialogo diretto tra moderno e antico, tra filosofia contemporanea e filosofia antica. L’approccio di Colli è molto critico. Non vengono messe in evidenza solo le convergenze tra il suo pensiero e quello di Nietzsche, ma anche i punti di divergenza, che sono quelli che rendono il testo originale nella sua proposta ‘filologica’. Come indica il titolo scelto da Enrico Colli per questo testo, sono due i concetti che Colli intende sviluppare perché immediatamente connettono Nietzsche e la filosofia greca: l’apollineo e il dionisiaco. Colli spiega e fa interagire i due termini, greci e nicciani ad un tempo, per tentare di arrivare all’essenza della vita stessa, come vuole l’impegno del filologo da lui descritto in apertura del testo.
Dopo una interessante, per piglio e intensità, introduzione alla figura di Nietzsche e alla Geburt (pp. 52-57), Colli mette in luce i punti che lo distanziano dal filologo tedesco: sono quei concetti di apollineo e dionisiaco che spesso in una generale incomprensione, è qui la tesi principale di questo testo testo, vengono associati alla figura di Nietzsche. Colli fa si notare i punti che fanno di Nietzsche un ottimo filologo (“Egli scopre la grecità come il campo vero della grandezza ed il suo problema è anzitutto estetico, […] e stabilisce quindi la possibilità di un’arte fondata sulla conoscenza, un’arte filosofica insomma”, p. 57), ma indica anche quello che, secondo lui, è il ‘torto più grande’ della Geburt: il carattere collettivo e anti-individualistico che assume il dionisiaco (cfr. pp. 63-64). Questa mancanza sarebbe dovuta al fatto che Nietzsche si soffermò più “sull’aspetto etico che su quello estetico della contrapposizione” (p. 77) tra i due termini, i due concetti. Per Colli Nietzsche sbaglia perché considera l’apollineo nella sua maturità artistica e il dionisiaco nella sua espressione primitiva e ‘crudele’, come ad esempio nella sua espressione ebbra.
In Colli l’apollineo è la rappresentazione, ovvero, l’espressione che si manifesta in una rappresentazione. Colli non vuole certo dirci che nell’apollineo, e qui sono magistrali le pagine che accostano gli scultori greci e a Michelangelo (pp. 86-7), sia presente solo una esteriorità che si rappresenta, ma ci sta dicendo che l’apollineo indica una vita, anche ‘interiore e sentimentale’, che esaurisce le proprie passioni nel proprio modo di manifestarsi: “[gli apollinei] la sanno esprimere compiutamente senza che rimanga nel loro cuore alcun inappagamento” (p. 89). Inoltre, Colli non separa nettamente i due modi di intendere la vita, a suo parere apollineo e dionisiaco devono coesistere. Anzi: “una cultura superiore deve sempre basarsi su di una duplicità, per quanto non chiaramente cosciente dell’antitesi tra fenomeno e noumeno, su una diversità essenziale della realtà, che permetta un movimento ed un’aspirazione definita, anche se il risultato finale sarà un’unità superiore” (p. 95).
Nel dionisiaco di Colli ciò che si differenzia dall’apollineo non è un differente schema della rappresentazione, ma è un differente prevalere dei nessi interiori che spingono ad una diversa manifestazione. Nel dionisiaco la percezione interiore è potenziata, la catena di causalità è ben più vasta: il dionisiaco può concepire una trama che va ben oltre le proprie singolari possibilità, ma è proprio perché può comprendersi in una causalità più vasta che si può mantenere “ognora cosciente, sempre uguale a se stesso” (p. 101). Colli fa ben presente che nel momento ebbro, nel momento orgiastico, si può esprimere il dionisiaco, ma non perché quello sia il campo di espressione del dionisiaco. È solo nella collettività che può esprimersi la totale individualità del dionisiaco. Il passaggio dal dionisiaco collettivo a quello individuale è un passaggio graduale che implica conoscenza: “l’attimo puntuale della conoscenza mistica è ancora del tutto intimo, fuori dal mondo, anti-rappresentativo per eccellenza” (p. 111). In questo caso è in antitesi con l’apollineo maturo che Colli vedeva nell’errore di Nietzsche, un apollineo che si dà nella rappresentazione senza intimità. Ma ancora una volta è in questa antitesi che si può capire come apollineo e dionisiaco siano indissolubilmente uniti nell’uomo e di come essi agiscano nella sua capacità di comprendere che cosa è la vita.
Purtroppo il saggio Ellenismo e oltre non ha mai visto la luce, da questi scritti però, dalle domande irrisolte, dagli spunti che affiorano a volte repentinamente dal testo e dalle indicazioni a nuove aperture, lo si può immaginare come uno scritto filosofico importante. Non solo per comprendere l’origine e la grecità della filosofia, ma anche per comprenderne il suo continuo interrogare la filosofia di oggi. Anche passando dalla messa in discussione di due tra i più noti termini della storia della filosofia stessa.

Giorgio Colli, Apollineo e dionisiaco, a cura di Enrico Colli,
Adelphi, Milano, 2010
 


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LE SOLITE BALLE AMERICANE, DAI GAS DI SADDAM ALLA MORTE DI OSAMA

Post n°417 pubblicato il 06 Maggio 2011 da Fratus

Di Andrea Carbone

Osama Bin Laden è ineluttabilmente morto. I funerali si terranno..non si terranno. Qualche giorno dopo la notizia in quasi tutti gli Stati mondiali qualcuno avanza dubbi sulla piena veridicità del tutto.

Non è da complottisti sostenere che qualcosa non torni.. Osama vive da 6 anni nella stessa palazzina immensa cinta da mura ( e ricordiamo che il Pakistan è 140esimo nella lista del PIL procapite a livello mondiale, difficile che chi non ha da mangiare non si chieda chi abita nella magione e non venda l’informazione), in un Paese i cui servizi segreti sono addestrati dalla CIA, e che quindi immaginiamo piuttosto preparati, in una cittadina a 50 chilometri dall’importante Islamabad.

Come  gli USA ammettono, da un anno sanno dove si trovi il numero uno dei nemici della democrazia e della libertà (perché allora rischiare che sfugga nuovamente e non ucciderlo subito?). Decidono per un raid mirato a inizio maggio 2011. Irrompono nell’edificio e trovano lui, moglie e ben due guardie. Appellandosi ad un presunto rituale islamico di seppellitura (quando in realtà il corano prevederebbe l’inumazione con la testa rivolta alla Mecca) buttano in mare il cadavere, dovendo peraltro trasportarlo da Abbottabad (1260 metri slm, dove sarebbe stato trovato) per centinaia di chilometri fino alla costa.

Praticamente sembra una favola dei fratelli Grimm, a sentirla così. Non ci sono foto (vere), il video è troppo crudo da mostrarsi, la salma è sparita.  Verrebbe quasi  da pensare che Osama sia morto tempo fa, come già diversi sostengono, e del resto anche i terroristi avevano interesse a non diffondere la notizia dell’uccisione del proprio leader. Ricordiamoci poi che da anni non c’è un attentato che faccia pensare a una organizzazione tanto diramata e globale come sarebbe Al Qaeda, e che dopo tutti i vecchi video messaggi del numero uno del gruppo la CIA già ripeteva fosse in realtà morto.

Se finora abbiamo parlato di teorie, per quanto parzialmente avallate da fatti, passiamo ora a qualche realissimo commento politico. Le elezioni presidenziali americane si terranno l’anno prossimo, e Obama era in crisi di consenso: partito come un rivoluzionario, si è dovuto arrendere a fare il “classico” Presidente degli Stati Uniti. Ha dovuto fare tagli più grossi del già poco amato Bush jr, pero’ spende 708 miliardi di dollari per spese belliche. Pero’ ora può parlare di –sentimento di unità simile a quello post 9/11-, tutti i giornali concordano nell’essere poco invidiosi del futuro avversario repubblicano, e la sua popolarità tende al rialzo (e in più ora forse con la guerra in Libia si è guadagnato un altro Nobel per la pace).

L’Occidente dedito ad una guerra petrolifera ne festeggia la cessazione del casus belli. Gli USA guerreggiano dal 1776, e, come è noto, l’unica cosa indefettibile per un soldato è un nemico: quindi è già stato reso noto che Osama è stato sostituito dal suo braccio destro Ayman Al-Zawahiri. Con buona pace di quanti come il sottoscritto si aspettavano la fine di ostilità inutili e ingiustificate.

Obamà noveau quixote. Obama nuovo don Chischiotte. Del resto le bombe al gas nervino di Saddam e le cellule terroristiche di Osama sono dei giganti (o mulini a vento?) veramente inarrestabili. –Non aver paura, mio fido Sancho Panza, li uccideremo! Yes, we can-

 
 
 

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