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CONFERENZA DEL DOTTOR HANSEL CABIDDU

Post n°43 pubblicato il 29 Aprile 2011 da ninolutec
 

SARDEGNA TRA ARAGONA
E CORONA DI SPAGNA

 

Ieri, 28 aprile 2011, il Dr. Hansel Cabiddu ha sviluppato una interessantissima relazione sull’argomento “Sardegna tra Aragona e corona di Spagna”. Non è qui necessario ripercorrere tutta la articolata e complessa storia già così ben trattata nel corso della conferenza. Ritengo, tuttavia, opportuno soffermarmi su alcuni punti, che più di altri è interessante e utile approfondire.

Uno dei caratteri tipici della sovranità baronale si esprimeva nella forma più avversata dalle comunità: la riscossione dei tributi. Ma vediamo  l’origine dei tributi baronali e le diverse modalità di pagamento.

Diritto di Feudo.

È il tributo personale per eccellenza, dovuto alla condizione di vassallo ed è corrisposto in forma monetaria, in genere ad agosto. È il corrispondente del datium tardo giudicale.

Il llaor de corte (grano di corte).

Anche questo è un tributo personale, corrisposto da tutti i coltivatori, in grano o orzo. Assume altre

denominazioni a seconda del dipartimento feudale, così possiamo trovarlo anche sotto forma di roadia (come nel Parte Montis). Viene corrisposto nella misura di mezzo starello per ciascuno seminato. Dato che la resa è in genere cinque volte la quantità seminata, l’incidenza di questo tributo è di circa un decimo del raccolto, quindi è un tributo molto gravoso e per questo avversato dalle comunità agricole.

Sbarbagiu.

È il diritto fisso che grava sui pastori in quanto vassalli. In parte commisurato alla consistenza del bestiame posseduto, più che un diritto reale è un diritto territoriale. È l’equivalente del llaor de corte dei contadini, anche se ha una rilevanza meno universale, probabilmente per il carattere transumante della pastorizia sarda che impone il pagamento di fitti in più dipartimenti. Fortemente avversato dai pastori non di meno i feudatari riescono a farlo pagare nelle loro contrade. Anche se analogo al llaor, ha un’incidenza minore sull’azienda, il tributo è in genere di uno-due capi per gama, ovvero un gregge teoricamente sufficiente che possa essere guidato da un solo uomo e che serva al sostentamento di una famiglia. Non è un tributo progressivo, infatti chi possiede cento capi viene tassato nello stesso modo di chi ne possiede mille. Ha la stessa valenza per tutti i tipi di animali allevati e, nel caso dell’allevamento suino, non va confuso col deghino, che è la decima parte dei suini ingrassati nelle riserve ghiandifere baronali. Non si applica all’allevamento bovino, per il quale era in uso donare annualmente un vitello per ogni mandria di venti capi.

Terratico e fitti.

Il terratico, che assume varie denominazioni a seconda della zona, come moi moi, portadia, ecc., è un canone da pagarsi in natura proporzionale alla metà di semente utilizzata dal contadino. Non è da confondersi con il llaor, perché quest’ultimo è connesso all’esercizio del dominio territoriale, mentre il terratico interessa l’affitto di una porzione di terreno che non rientra nelle necessità delle comunità, ma è demanio diretto del barone, su cui, appunto, esige il canone.

Penas y maquicias.

Sono i pagamenti che la comunità versava per violazioni dei pascoli da parte del bestiame. La machizia originariamente infatti consisteva nella possibilità di requisire il bestiame che invadeva i campi coltivati e macellarlo. Questo diritto col passare del tempo in molti dipartimenti è divenuto un tributo fisso in denaro che la comunità pagava al barone. Inoltre da diritto individuale, pagato dal pastore che non riusciva a controllare diligentemente il bestiame, si converte in diritto collettivo.

L’encarga o incarica, è invece il diritto collettivo che la comunità pagava al barone quando non si riusciva ad individuare il colpevole di un delitto commesso nel territorio del villaggio. Anche questo diritto col tempo è diventato un diritto fisso, da pagarsi in denaro.

Altri diritti.

Alcuni dipartimenti pagavano particolari diritti, per esempio quelli di carceleria, versati ad esempio dai dipartimenti del Sarrabus e del Parte Montis, e che erano direttamente connessi al mantenimento delle carceri. La stessa contrada del Sarrabus forniva della bottarga e dei maialetti, ufficialmente come regali, ma la pratica si è talmente stabilizzata che questi possono considerarsi come dei diritti veri e propri. Altro diritto era quello di paglia, per mantenere il bestiame del feudatario, che però non veniva pagato da tutti i villaggi. Per esempio Setzu non era tenuto a fornire paglia. Il diritto di dogana o di Mayoria de Puerto è  quel diritto che si pagava per l’uso del porto in ragione del 5%. In genere è un diritto che veniva arrendato per 150/200 scudi. In particolare si esigeva nei porti d’Ogliastra e Sarrabus. Come si può facilmente constatare la rendita in natura è nettamente prevalente su quella in denaro. Si pagavano in denaro solo il diritto di feu, quello di vino e le penali mentre tutti gli altri diritti si pagavano in specie. Anche se non mancano importanti eccezioni dove la quota in denaro è prevalente rispetto a quella in natura, esempi sono il Dipartimento di Monreale e più in generale le zone di montagna, come l’Ogliastra e in modo particolare la villa di Oliena, dove tutti gli abitanti pagavano i diritti in denaro.

  • Altro interessante argomento  trattato è stato quello relativo alle città regie, che non erano infeudate ma sottoposte alla diretta giurisdizione reale e godevano di privilegi e concessioni, derivanti dal loro status. I rappresentanti delle città costituivano uno dei tre bracci del Parlamento (lo stamento reale). Le città regie erano sette: Iglesias, dal 7 giugno 1327, come Villa di Chiesa
  • Cagliari, dal 25 agosto 1327, come Castel de Càller (in seguito solo Càller)
  • Sassari, dal 20 agosto 1331
  • Castelsardo, dal 1448, come Castel Aragonese mutando nome da Castel Genovese
  • Oristano, dal 15 agosto 1479
  • Bosa, dal 1499
  • Alghero, dal 1503

Il governo sabaudo del Regno di Sardegna, pur riconoscendo i sette titoli urbani pregressi, utilizzò sempre per gli stessi centri la terminologia di città, secondo la consuetudine diffusa in Piemonte. In questo periodo si aggiunsero inoltre nel 1836 le città di:

  • Tempio Pausania, come Tempio
  • Nuoro
  • Ozieri

Queste città rivestivano una notevole importanza economica di tipo mercantile ed artigianale o, come nel caso di Castel Aragonese, importanza strategica. Nel periodo Aragonese sia nell’agro sia nelle città vi fu il rispetto delle consuetudini ed usi locali che, nel corso della storia, vennero mediate con le esigenze aragonesi. Le Amministrazioni municipali erano rette da “ Vicari e Podestà “ secondo il modello di Barcellona, che prevedeva un Consiglio Civico composto da cinquanta giurati con a capo cinque consiglieri. Le città regie vennero dotate di statuti che regolavano la vita politica ed economica. In origine il riconoscimento regio venne dato a tre città, Cagliari, Iglesias e Sassari.
Cagliari. Lo statuto cagliaritano del 1327 comprendeva anche le appendici di Villanova, Stampace e Lapòla (Marina). Qui vivevano i sardi e gli stranieri, entrambi esclusi dall’amministrazione civica, competenza delle genti di origine iberica che abitavano nel Castello. Le appendici, nel corso del XV secolo, istituirono propri sindacati e, nel 1621, per merito del giurista Armanyach, con le Nuove Costituzioni, nelle quali si tutelava la borghesia nella sua attività amministrativa, sancirono l’autonomia dal governo centrale.
Sassari. Lo statuto sassarese è datato 1331. Il consiglio civico lamentava costantemente una condizione di emarginazione dal punto di vista economico in quanto i mercanti preferivano fare scalo ad Alghero piuttosto che a Porto Torres. Verso la fine del XV secolo, la città conobbe una certa ripresa economica, purtroppo vanificata dalle carestie e dalla pestilenza del secolo successivo. Iglesias. Lo statuto di epoca pisana, detto Breve, venne confermato dagli aragonesi nel 1327. La vera ricchezza della città, l’attività estrattiva, veniva trascurata in favore di quella agricola. Varie richieste vennero fatte per uno sbocco a mare. Proteste suscitava la dipendenza della diocesi da quella di Cagliari, da cui riuscì a staccarsi soltanto nel 1763, sotto il governo sabaudo.
Oristano. Divenne città regia nel 1479. Un periodo difficile, dopo la guerra tra il Regno di Sardegna e il Giudicato di Arborea, di cui era capitale,  durata dal 1353 al 1410, che causò lo spopolamento della città a favore dei territori feudali. Anche il XVII secolo fu un periodo duro per la crisi della produzione cerealicola, le pestilenze e gli attacchi barbarici.
Alghero. Lo statuto risale al 1503. La conquista catalano-aragonese segnò la cacciata dei sardi residenti e il conseguente ripopolamento da parte dei catalani. La presenza del porto ne determinò lo sviluppo, a discapito di Bosa, Oristano e Sassari.
Bosa. Il suo stato di città regia conobbe diverse fasi. Proclamata nel 1421, rimase di fatto un feudo sino al 1563, anno della conferma definitiva. Nonostante l’ottima posizione geografica non divenne mai una potenza mercantile.
Castel Aragonese. L’anno 1448 segnò la proclamazione come città regia e portò anche il nuovo nome, mutuato da Castel Genovese. L’attuale Castelsardo aveva un’importanza esclusivamente  strategico – militare, che le derivava dall’ottima posizione strategica. Ne risentì la crescita economica, che rimase molto limitata. Di frequente chiese gli stessi privilegi delle città di Cagliari e Sassari. 

 
 
 
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