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CONFERENZA DELL’ARCHEOLOGO PROFESSOR MARIO FRAU

Post n°64 pubblicato il 11 Maggio 2011 da ninolutec
 

 

 

 

LA PREISTORIA NELLA
SARDEGNA MERIDIONALE

(Parte Seconda)

 

 

 

 

 

Le testimonianze più antiche riguardanti la presenza dell'uomo nell'area di Monte Sirai, risalgono al Neolitico, periodo in cui furono costruite le Domus de Janas, situate nelle vicinanze della necropli punica. In seguito, in età nuragica, si hanno notizie di un villaggio costruito intorno al Nuraghe Sirai, poco distante dal Monte. Il Nuraghe Sirai presenta una struttura complessa ed è composto da quattro torri, rivolte verso i punti cardinali e da una torre centrale, denominata mastio. Ai piedi di Monte Sirai, nella periferia di Carbonia e a ridosso dell'abitato, si trova il villaggio nuragico Sirai, in fase di scavo. Di dimensioni notevoli, è caratterizzato dalla presenza di un grosso nuraghe polilobato, attualmente ricoperto quasi interamente dal lentisco, e da strutture abitative.
Recenti studi hanno ipotizzato una possibile e insolita coabitazione tra il popolo nuragico e i fenici di Monte Sirai.
Intorno a Monte Sirai sono presenti altri nuraghi, in stato di abbandono.
Il Parco Urbano di Cannas di Sotto, situato all’interno del tessuto cittadino, fra corso Iglesias e via Alghero, sorge su una necropoli a domus de janas, area funeraria di un insediamento preistorico databile fra la fine del Neolitico (3300-2800 a. C.) e le prime fasi dell’Eneolitico (2800-2400 a. C).Il Parco, cui si accede direttamente dal Museo Archeologico Villa Sulcis attraverso la passeggiata coperta sopraelevata, è dotato di uno spazio per le esposizioni temporanee, grazie al recupero dell’antico Medau sovrapposto alla necropoli preistorica; al suo interno i temi dell’archeologia si integrano con quelli delle tradizioni e della storia recente della comunità. Un apparato didattico permanente, situato nella corte dell’antico Medau, consente di inquadrare il Parco nello sfondo della Preistoria della Sardegna e di approfondire alcuni temi dell’archeologia della necropoli. Le tombe a Domus de Janas finora individuate sono 25 e sono costituite da grotte artificiali sotterranee di varia forma, che comprendono una o più stanze e sono accessibili dall’alto, attraverso una sorta di pozzo, obliquo o verticale (quelle più antiche), oppure attraverso un corridoio orizzontale (le più recenti).  Il percorso consigliato, che parte dall’ingresso di corso Iglesias, segue il declivio della collinetta, dove si possono notare la piccola Tomba 3, la più monumentale Tomba 4, dotata di un ampio spazio semicircolare aperto e di una grande camera interna; proseguendo sul sentiero si osservano, in corso di scavo, la Tomba 20, con il caratteristico pozzo d’accesso e la Tomba 21, munita di corridoio orizzontale. Nello spazio espositivo del Medau è possibile approfondire la conoscenza della necropoli e del Parco attraverso un ampio apparato didattico. Dopo aver superato, fra il portico e il caseggiato, l’ingresso di una Domus aperta a Nord (Tomba 14), si giunge alla sommità della collina dove si può apprezzare il corridoio e l’imboccatura del pozzetto d’ingresso della Tomba 12, caratterizzata da almeno due stanze; i suoi importanti ritrovamenti, relativi ai corredi funerari, insieme alla ricostruzione in scala 1:1 della grotticella, sono esposti presso il Museo Archeologico Villa Sulcis. L’unica tomba indagata finora da scavi regolari è la Tomba 12. Lo scavo, ancora da concludersi, ha rivelato una planimetria così composta:

- un corridoio d’accesso (con orientamento SO-NE);

- un piccolo pozzetto verticale, a scivolo;

- un primo ambiente a pianta rettangolare;

- un secondo vano a pianta circolare, accessibile da una piccola porta, dotato di un pilastro centrale risparmiato nella roccia. La realizzazione originaria della tomba (e forse dell’intera necropoli) sembra risalire alla fase della Cultura di Ozieri, ma il suo impiego sembra essere proseguito anche nella seguente fase Eneolitica. Una ricostruzione in scala 1:1 della tomba si può apprezzare all’interno del nuovo Museo Archeologico Villa Sulcis. Diversi reperti rinvenuti all’interno della Tomba 12 si possono riferire al corredo funerario dei defunti. Le ossa di numerosi individui sono state trovate però non composte ma in accumulo casuale. Gli oggetti che tuttavia si possono individuare come parte di corredi sono costituiti da punte di freccia, in selce e in ossidiana, alcune macine, un vago di collana e uno spillone in osso. Gli oggetti ceramici dei corredi sono in parte vasi tipici della tradizione classica della Cultura di Ozieri, come i vasi a cestello, e i vasi globulari con tre anse; la maggior parte, tuttavia, rientra nella successiva fase dell’inizio dell’Eneolitico: alcuni di grandi dimensioni, altri miniaturistici come il vasetto a cestello, la tazza carenata, quella emisferica, la piccola olla globulare, e anche la particolare ciotolina carenata con incisioni e fori verticali. Il primo vano ha restituito anche un altro importante reperto: una statuina in terracotta che rappresenta una figura femminile delineata con pochi tratti sommari, riferibile al periodo dell’Eneolitico e interpretabile come figura di Dea Madre. Nella pineta di Cortoghiana (frazione di Carbonia) è notevole l’area archeologica di Corona Maria. I recenti ritrovamenti archeologici messi in luce nella pineta arricchiscono le testimonianze culturali preistoriche del territorio sulcitano. I lavori di ripristino, scavo e pulizia ad opera della Soprintendenza Archeologica per le provincie di Cagliari e Oristano hanno consentito il recupero nell’area di Corona Maria di un complesso pre-protostorico di notevole interesse, che documenta un’occupazione della zona dal Neolitico finale (IV millennio a. C) all’età del Bronzo (medio e finale, XVII- X sec. a. C.). Durante le fasi finali del Neolitico fiorisce in Sardegna la cultura prenuragica di maggior spessore, quella di Ozieri; nel territorio isolano, le testimonianze più significative di tale ambito culturale sono rappresentate dalle domus de janas, grotticelle artificiali sepolcrali scavate nella roccia naturale. Queste sepolture si caratterizzano per la varietà delle tipologie, che vanno dalla tomba monocellulare, semplice nell’aspetto, agli ipogei articolati anche in numerosi ambienti, che talvolta riproducono le case dei vivi, rifiniti da eleganti modanature, sostenuti da pilastri e colonne, abbelliti da stilemi ornamentali e da suggestivi motivi simbolico-religiosi (corna e protomi taurine stilizzate, spirali raffigurazioni geometriche). La domus de janas di recente indagata nella pineta di Cortoghiana presenta una pianta circolare, dotata di due piccoli vani sopraelevati e circondata da un’area sacra con coppelle, antistante alla sepoltura. Un’altra sepoltura ipogeica è inglobata all’interno della cantina di un’abitazione moderna. L’area archeologica non si limita ai soli monumenti neolitici (le domus de janas), ma comprende anche testimonianze di età Nuragica: un nuraghe, capanne circolari pertinenti ad un villaggio, una tomba di giganti, che bene esprime la grandiosità connotato saliente di tutta l’architettura nuragica. Diffuse in tutta l’isola, le tombe di giganti presentano uno schema di pianta comune, tradizionalmente definito “a protome taurina” e costituito da un vano funerario rettangolare racchiuso entro un corpo absidato nella parte posteriore, e da una esedra semicircolare nella fronte. Infine, la presenza di materiale ceramico di età romana documenta un’occupazione dell’area di Corona Maria anche in età repubblicana.
La Grotta dei Fiori, il cui nome deriva dalla ricchezza e varietà di concrezioni che ne tappezzavano gli ambienti, è situata sulla destra idrografica del Riu Cannas, lungo la strada che conduce alla frazione di Sirri circa un chilometro oltre la borgata di Cannas di Sopra e si raggiunge inerpicandosi brevemente lungo un sentierino che conduce ai suoi 3 ingressi (2 artificiali). Nell’area della Valle di Cannas sono concentrate oltre una cinquantina di grotte oggi conosciute per uno sviluppo ipogeo complessivo di circa 4 km, la Grotta dei Fiori è la maggiore, esplorata e rilevata topograficamente dal Gruppo Ricerche Speleologiche “E.A. Martel” di Carbonia per uno sviluppo spaziale complessivo di 800 m ed un dislivello di -45 m. Il sistema ipogeo si sviluppa nelle dolomie e nei calcari del Cambriano ad andamento sub-orizzontale e geometria di tipo dendritico con ambienti sviluppati su più livelli. Il percorso si articola tra vasti ambienti raccordati da condotti, generalmente ampi ed ancora riccamente concrezionati nonostante il danneggiamento provocato dall’attività di cava abusiva esercitata negli anni ‘60 e da numerose scritte e tracce lasciate negli anni da occasionali quanto maldestri visitatori. La cavità fu certamente frequentata nella parte iniziale sin dal periodo Neolitico, come testimoniato da tracce d’utilizzo sepolcrale in età del Bronzo Antico, Cultura di Bonnannaro (1.800- 1.600 a.C.) e riveste una notevole importanza anche per le numerose specie animali che vi soggiornano tra cui spiccano la formica cieca troglobia Hypoponera sulcitana e la numerosa colonia di chirotteri che ne utilizza gli ambienti come nursery nel periodo estivo. In diverse parti della grotta sono presenti ed osservabili in situ riempimenti a brecce ossifere con importanti reperti paleontologici a vertebrati del tardo Pleistocene con prevalenza di micromammiferi, tra cui Prolagus sardus e Tyrrhenicola henseli e meno frequenti macromammiferi, ben rappresentati dal canide Cynotherium sardous, ed uccelli con importanti resti osteologici di Gypaetus barbatus e Ciconia nigra specie rinvenuta sinora in Sardegna unicamente nella Grotta dei Fiori.
Per accedere alla necropoli di Loccis Santus di San Giovanni Suergiu, dal paese si esce per Carbonia sulla S.S. 126. Al km. 11 si svolta verso la Località di Is Puxeddus, poi verso Is Urigus. Su questa strada, dopo aver percorso 1 km si arriva ad un incrocio nel quale si gira a sinistra, qui si prosegue per circa 1,6 km., arrivando vicino ad un traliccio dell'alta tensione sulla destra della strada. Da questo punto inizia la strada che sale sulla cima della collina, sulla quale si vede un fortino a destra del quale si trovano un nuraghe e le domus de janas. L'ultimo tratto di strada è percorribile solo a piedi. La necropoli, di epoca prenuragica risalente al IV sec a.c., fu scoperta più di 30 anni fa grazie a una serie di campagne archeologiche guidate dall’archeologo Enrico Atzeni e dal suo assistente Remo Forresu. È scavata in un banco di trachite nei fianchi di una collina sulla quale si trova anche un nuraghe. In origine le tombe erano appartenenti a popolazioni della Cultura del Vaso Campaniforme (2000 a.C.circa), poi furono riutilizzate dalla Cultura di Bonannaro (1800 a.C. circa).  Le Domus sono di tipo molto semplice, senza decorazioni, con struttura a nicchia polilobata, e la loro importanza è data soprattutto dai molti ritrovamenti ceramici. La necropoli è scavata nella tenera trachite del versante Sud di Punta Gannau; domina dal modesto rilievo vulcanico le fertili pianure che sconfinano a Sud verso il suggestivo habitat naturale costiero di Santa Caterina e Cortiois e sull'istmo di Sant'Antioco, ancora segnato - tra le riaffioranti tracce d'antichi abitati - dai giganteschi menhir aniconici di Su Para e Sa Mongia. La necropoli comprende 13 tombe, ma è molto probabile che la fitta vegetazione nasconda gli ingressi di altri ipogei. Le domus sono prevalentemente pluricellulari, anche se il numero dei vani non è molto elevato. Lo schema planimetrico, rilevabile solo in parte in alcuni di esse a causa del cattivo stato di conservazione, è quasi sempre a proiezione longitudinale, con padiglione d'ingresso (m 1,68 x 1,20 x 1 di altezza), anticella - talvolta di pianta semicircolare (m 2,05 x 2,85 x 1,60 di altezza) - e grande camera quadrangolare (m 2,48 x 2,38 x 1,50 di altezza). Le tombe si articolano in svariate cellette a forno, in numero da due a cinque, sopraelevate rispetto al piano pavimentale; gli ingressi a questi ambienti presentano talvolta portelli abbelliti da rincassi a cornice. L'indagine archeologica del padiglione d'ingresso della Tomba IV ha restituito un'importantissima sequenza stratigrafica che consente di valutare l'ampio arco cronologico-culturale della necropoli, compreso tra i primi secoli del terzo millennio e i primi secoli di quello successivo. Da questa necropoli provengono materiali di cultura Ozieri, Filigosa, Abealzu, Monte Claro, del Vaso Campaniforme e Bonnanaro. Da un imprecisato ipogeo di Locci Santus proviene anche un idoletto in tufo trachitico (cm 27,5 di altezza) di forma ogivale e di sezione piano convessa. Il capo, espresso anteriormente in forma grossomodo romboidale, non presenta elementi fisionomici. Alla vita mostra una serie di quadrati inscritti; i fianchi – appiattiti - presentano una leggera scanalatura verticale. Sul dorso esibisce una larga fascia orizzontale delimitata da incisioni parallele. Un triangolo nella zona della nuca potrebbe essere la stilizzazione di un copricapo. Lo schema figurativo a ogiva riproduce in miniatura quello delle statue-menhir del Sarcidano e della Barbagia di Belvì e del Marghine. Sempre in territorio di San Giovanni Suergiu si trova il nuraghe Candelargius, che prende il nome da un “medau” adiacente, Is Candelargius, che si trova nella località Palangiai, nei terreni gestiti dalla cooperativa Agrifoglio. Non esistono molte notizie su questo nuraghe, gli unici studi rintracciabili sono stati curati da Vincenzo Santoni. È uno dei pochi nuraghi costruiti in pianura e non in collina. Ha una struttura trilobata, con mastio fronteggiato da corpo aggiunto con due torri marginali che racchiudono, insieme con la torre centrale, un cortile. Si possono scorgere nelle adiacenze del nuraghe tracce di altre costruzioni, che presumono l’esistenza di un vero e proprio villaggio nuragico. Per anni è rimasto nascosto sotto la fitta vegetazione, ma da quest’anno l’Amministrazione Comunale, in accordo con l’Ente Foreste, ha intrapreso un’azione di pulizia del sito per consentirne la visita per la manifestazione Monumenti Aperti.
Innumerevoli sono le antiche culture documentate nel territorio iglesiente. Nella grotta Monte Casula di Monteponi sono state rinvenute tracce materiali di cultura neolitica, tra le più antiche di quest’epoca in Sardegna. Allo stesso periodo si riferiscono i siti di Corongiu e  Mari, Pizz’e Pudda, colle di Buoncammino. In località San Benedetto, invece, è stata documentata una delle poche necropoli a grotticelle (domus de janas) di cultura Ozieri non riutilizzata in epoche successive. Al Neolitico finale sembrano appartenere i ritrovamenti di Schina Luas costituiti da ceramiche lisce e alcuni strumenti in ossidiana. Stanziamenti di cultura Monte Claro sono segnalati nelle grotte naturali della Volpe, di San Lorenzo e di Monteponi. Elementi della cultura campaniforme e Bonnannaro sono stati riconosciuti nelle grotte della Volpe, del Bandito, di Santa Lucia, di Genna Luas. Tali ritrovamenti fanno ipotizzare intensi rapporti con le culture del mondo centro europeo.
Vari anche i nuraghi (sia di tipologia a tholos che a corridoio) sinora accertati sul territorio la maggior parte si trova nella fascia pedemontana sul lato Nord della valle del Cixerri, pochi quelli situati nella zona montana. La valle carsica di Corongiu de Mari fu intensamente abitata fin dalle prime fasi della preistoria sarda. Numerose sono le testimonianze che ancora sopravvivono nelle decine di caverne. La grotta della Volpe fu utilizzata come sepoltura dalle popolazioni preistoriche dell’età del Rame, tra i reperti del corredo funebre sono interessanti i vasi della cultura Campaniforme. Le Grotte naturali di Santa Introxia (S. Vittoria) e di Santa Vida (S. Vitalia) furono importanti luoghi di culto cristiano per le comunità locali in epoca giudicale (XIII sec.). I visitatori potranno esplorare le grotte che conservano ancora l’atmosfera suggestiva della Preistoria e del Medioevo iglesiente.Nella zona di Fluminimaggiore i periodi prenuragico e nuragico non hanno lasciato, almeno apparentemente, reperti particolarmente maestosi. Sono presentì però aree archeologiche che, non essendo state ancora esplorate, potrebbero riservare grosse sorprese. La zona di "Perdas AIbas", a poca distanza di Portixeddu, presenta una decina di tombe di giganti ed alcuni costruzioni nuragiche.
Le località di "Conca Muscioni" e "Su Brabaraxinu», lasciano intravvedere le mura di nuraghi polilobati. Prima che vi giungessero i Fenici, intorno all'800 a.C. i sardi dei nuraghi avevano già scelto la Valle di Antas come luogo di culto e avevano delimitato l'area elevata di una collina con un recinto sacro. La solennità del luogo, la sua sacralità indusse i Punici ad erigervi un tempio verso la fine del VI secolo a.C. Vestigia del Neolitico si trovano nelle grotte di Punta Pilocca e di S'acqua Gelada e reperti dell'Età del Bronzo nella Grotta di S'Oreri col tempio nuragico e nel Nuraghe di Conca Muscioni.  Nella zona di Capo Pecora si trovano alcune Tombe dei Giganti, mentre a sud est di Fluminimaggiore, in località Canali Bingias, sono visibili recinti megalitici vecchi di oltre 4 millenni. Sempre a sud est, nella grotta di Su Mannau, utilizzata come tempio dedicato al culto ipogeico dell'acqua, sono state trovate numerose lucerne votive di epoca romana e reperti più antichi risalenti alla civiltà punica.

 
 
 
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