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CONFERENZA DEL SIGNOR LUCIANO BIANCIARDI

Post n°79 pubblicato il 24 Maggio 2011 da ninolutec
 

 

 

 

 

 

CINEMA
-Parte Prima- 

 

 

Oggi, 24 maggio  2011, il signor Luciano Bianciardi, presidente della   LUTEC, come di consueto ha parlato di “cinema”, davanti a un uditorio attento e numeroso. L’argomento centrale di questa conferenza è stato dedicato a Charles Chaplin e la conferenza ha riscosso un vivo     interesse da parte dei presenti.

Attore, regista, sceneggiatore e compositore inglese. Riconosciuto pressoché unanimamente come il più grande genio comico del cinema, amato da bambini e adulti, artista completo, «Charlot», come veniva chiamato, nasce da Hanna e Charles C., due entertainer di music hall che si separano quando Charlie ha solo un anno di vita. Inizia a calcare le scene a cinque anni, cantando una canzone al posto della madre malata (mentre il padre è nel frattempo morto per alcolismo). L'infanzia povera lo lega al mondo dello spettacolo e a diciassette anni lavora stabilmente nella compagnia di F. Karno, con la quale nel 1910 salpa per gli Stati Uniti (insieme a S. Laurel, suo compagno di stanza a New York). Notato da M. Sennett nella pantomima dell'ubriaco (un suo cavallo di battaglia), viene messo sotto contratto alla Keystone e nel 1914 debutta nella slapstick comedy con Making a Living. Nello stesso anno appare in altri 34 two reels fra i quali Kid Auto Races at Venice, in cui indossa per la prima volta il costume da tramp («barbone»), abito nero con bombetta sfondata e sottile bastone da passeggio, che lo renderà celebre, e Caught in the Rain (Colto dalla pioggia), con cui debutta nella regia. Già all'apice del successo, l'anno successivo abbandona Sennett (che lo paga 175 dollari a settimana) per la Essanay, che gli offre un contratto di 1250 dollari a settimana per quattordici film (fra cui The Tramp, A Night at the Show e Carmen) e maggiore libertà espressiva. Delineate meglio le caratteristiche psicologiche e anarcoidi del suo personaggio e la fusione di comicità e pathos che caratterizza tutte le sue opere, nel 1916 passa poi alla Mutual (con un contratto di 10.000 dollari a settimana più vari benefit) e comincia a produrre film che si basano sempre più su una non esibita ma efficace polemica sociale, come Charlot emigrante, in cui mette in scena la scandalosa «quarantena» cui venivano sottoposti gli immigranti a Ellis Island prima di sbarcare a New York. Instancabile e sempre più creativo e celebre, nel 1918 ottiene un contratto da un milione di dollari e piena e totale libertà dalla First National. È l'inizio delle produzioni della prima maturità: lavora con crescente riflessività e metodo, provando e riprovando, «sceneggiando» le sue gag direttamente sul set; impressionando migliaia di chilometri di pellicola produce mediometraggi di ampio respiro come Vita da cani e Charlot soldato e soprattutto Il monello (1921, suo primo lungometraggio), in cui si affinano le caratteristiche di eterno «non-integrato» e «non-allineato» del suo personaggio, mentre la satira sociale si radicalizza, mostrando con toni sempre più polemici l'altra faccia dell'American way of life e dei suoi valori, come il supposto benessere per tutti e l'eroicità della guerra. Nel 1919, insieme a D. Fairbanks, M. Pickford e D.W. Griffith, fonda la United Artists Corporation. La sua prima regia per la nuova società, La donna di Parigi, è però solo del 1923 ed è un flop che lo costringe a ritornare a vestire i panni del tramp in La febbre dell'oro (1925), opera che rimane fra i suoi vestici artistici per la poeticità di molte scene in cui le lacrime si confondono con il riso, come quella in cui, affamato, cucina e mangia un vecchio scarpone, o quella in cui intrattiene la ragazza di cui si è innamorato facendo ballare (come fossero dei piedi) due panini infilzati in stecchini. Sfruttando sempre la maschera del suo innocente e ingiustamente perseguitato vagabondo, nel 1928 realizza Il circo, che vince un Oscar speciale alla prima edizione degli Academy Awards e, tre anni dopo, Luci della città (1931), opera che, ancora una volta, s'incentra sul divario fra gli sforzi dell'individuo e i risultati ottenuti e che, con la celebre scena finale in cui la ragazza riconosce finalmente nel tramp l'uomo che le ha permesso di riacquistare la vista, si pone certamente fra le più commoventi tra quelle da lui prodotte. Nel frattempo si trova però al centro di violenti pettegolezzi per la sua vita privata e, in particolare, per la sua forte inclinazione verso donne molto giovani. M. Harris ha appena sedici anni quando C. convola a prime nozze, e altrettanti ne ha L. Grey, sposata quando l'artista ne ha già trentacinque. Non contento, nel 1933, a quarantaquattro anni, sposa la diciannovenne P. Goddard, mentre a cinquantaquattro si unisce in matrimonio con Oona O'Neil, figlia del celebre commediografo, che ha solo diciotto anni e dalla quale avrà otto figli. L'aura scandalistica non lo intimorisce più di tanto, così come lo spaventa l'avvento del sonoro. Se già con Luci della città aveva dimostrato che il suo vagabondo poteva ancora farsi capire dal pubblico senza proferire parola, altrettanto fa nel successivo Tempi moderni (1936), parabola antifordista in cui attacca radicalmente la società dello sfruttamento e della meccanizzazione che fonda il proprio benessere sulla parcellizzazione del lavoro, riducendo l'uomo a mera protesi di una macchina, ma in cui l'innato ottimismo di C. (che rimaneva come sospeso nei film precedenti, con il vagabondo costretto a cercare da solo una nuova strada) finalmente trionfa: ancora una volta Charlot sarà costretto a scappare, ma non più da solo. Se denunciare i possibili eccessi del sistema produttivo che stava facendo ricchi molti americani era già un atto di coraggio (che in seguito gli costerà accuse di «comunismo»), ancor più sfacciatamente ardimentoso si dimostra C. quando, a seconda guerra mondiale già scoppiata, in Il grande dittatore (1940) mette alla berlina Hitler (e Mussolini) facendogli scoppiare fra le mani (sotto forma di un pallone) quel mondo che avrebbe voluto dominare. Il credito guadagnato con il film, insignito con molte nomination, non lo salva però dalla crociata scatenata dal senatore MacCarthy contro i presunti filocomunisti di Hollywood. La polemica si fa più accesa dopo che, nel 1947, C. manda sugli schermi Monsieur Verdoux, cinica ma lucida commedia nera, liberamente ispirata alla vicenda di Barbablù, che, nell'arringa difensiva finale di Verdoux, si trasforma in un attacco frontale allo spirito del capitalismo. Chiamato tre volte a testimoniare davanti al Comitato per le attività antiamericane, non si presenta mai, ma invia un telegramma in cui dichiara di non essere comunista e di non essersi mai iscritto ad alcun partito. Il Comitato sembra prendere atto della sua smentita, ma quando nel 1952 il regista si reca a Londra per la prima di Luci della ribalta – capolavoro in cui duetta con l'altro grande comico del muto, B. Keaton – gli viene negato il visto per il ritorno. Decide così di stabilirsi in Svizzera, dove trascorrerà il resto della sua vita. Nel 1957 cerca di esprimere tutta la sua amarezza contro l'intolleranza statunitense in Un re a New York, ma questa volta non sempre trova note adeguatamente graffianti. Nel 1964 pubblica una autobiografia e nel 1967 dirige S. Loren e M. Brando in La contessa di Hong Kong, soggetto vecchio di trent'anni che si dimostra inadeguato ai tempi e agli attori. Nel 1972 finalmente arriva il «perdono» statunitense e C., contravvenendo a molte sue dichiarazioni, accetta di recarsi a Hollywood a ritirare l'Oscar assegnatogli «per l'incalcolabile contributo dato alla trasformazione del cinema nell'arte del nostro secolo». Nel 1975 viene insignito dalla regina del titolo di Baronetto della corona. La notte di Natale del 1977 si spegne serenamente nel sonno. Artista ineguagliabile e «autore» nel senso più pieno del termine, mimo impareggiabile dalla pungente grazia rappresentativa e dalla comicità arguta e trascinante, pur essendo figlio della sua epoca ed erede di non pochi retaggi vittoriani, C. incarna nella sua opera valori e sentimenti senza tempo come la dignità e l'orgoglio dell'individuo, evocati nelle tante figure di emarginati segnati anche nel fisico da un destino di radicale non appartenenza e difesi strenuamente contro il conformismo e l'ipocrisia piccolo-borghese, e la solidarietà sociale che spinge i suoi personaggi a correre costantemente in aiuto del prossimo.

 

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