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1. Premessa. La pubblicità tra luci e ombre |
Post n°163 pubblicato il 28 Marzo 2012 da ninolutec
Il 12 aprile a Parigi si rinnova l'appuntamento all'UNESCO con "La Sardaigne, la Musique, au coeur de la Méditerranée". La formula dell'appuntamento all'ombra della torre Eiffel è quella ben collaudatanel corso degli anni: tiene banco il concerto in programma a partire dalle 19 nella grande Salle 1 della Maison dell'UNESCO (in grado di accogliere 1.600 spettatori circa). Al centro dei riflettori alcuni dei musicisti che compongono il corpo docente dei corsi cagliaritani. Fra questi, il chitarrista Cristian Marcia, fondatore (insieme al fratello Gianluca, che ne è il presidente) e direttore artistico dell'Accademia Internazionale di Musica di Cagliari, cui spetterà anche il compito di presentare i dettagli della prossima edizione, la dodicesima, che si terrà dal 29 agosto al 6 settembre. Madrina della serata, ancora una volta, Caterina Murino, l'attrice cagliaritana che da tempo ha eletto la Francia come sua seconda casa. Ma, come sempre, l'anteprima nella capitale francesevuole essere anche un'occasione per promuovere l'immagine della Sardegna e del suo capoluogo in un contesto cosmopolita come l'UNESCO, massima istituzione mondiale in materia di tutela e valorizzazione della cultura. "La Sardaigne, la Musique, au coeur de la Méditerranée" - questo il titolo della manifestazione parigina - prevede dunque anche stavolta incontri istituzionali e momenti di promozione dell'isola e del suo patrimonio di tradizioni, natura e cultura. Allestita con il contributodella Regione Autonoma della Sardegna (Presidenza della Giunta, Presidenza del Consiglio, Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio e Assessorato dell'Agricoltura e Riforma Agro-pastorale) e del Comune di Cagliari (Assessorato al Turismo e Assessorato alla Cultura), con il patrocinio della Rappresentanza Permanente d'Italia presso l'UNESCO, la quinta edizione di "La Sardaigne, la Musique, au coeur de la Méditerranée" è stata presentata alla stampa mercoledì 21 marzo a Cagliari nella sala Conferenze dell'Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio della Regione Autonoma della Sardegna (viale Trieste, 105 - sesto piano).
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Sì, perchè negarlo! Mi piace pensare e parlare di futuro. Alla mia età, sono da considerarmi ormai vecchio, nonostante tutto io del tuturo ho un grande bisogno e pensarci mi gratifica più di quanto mi gratificherebbe pensare al presente. Ma poi, perchè dovrei pensarci al presente? Il presente è fatto di cose avvenute da poco o che dovranno avvenire fra poco, ma tutto è già stato programmato e, soprattutto, con scadenze molto ravvicinate viene a mancare il sapore intenso dell'attesa. Pensiamo al futuro, dunque e, soprattutto, parliamo di futuro. Questo "parliamo", naturalmente è pletorico, ma che io mi debba parlare addosso da solo, senza la possibilità di avere degli interlocutori, questo è ormai un dato acquisito e non ci faccio più caso. Parliamo di futuro, dunque, e non sembri che io lo stia facendo con troppo anticipo. Fra due mesi il calendario di quest'anno andrà in vacanza e anche noi ce ne andremo tutti a festeggiare l'estate. E perchè ricominciare a programmare il nuovo calendario solo in autunno? Le idee, per nascere e per "maturare" hanno bisogno di tempo e certe persone che vorremmo avere come nostre compagne di viaggio nel nuovo anno sociale non è possibile coinvolgerle parlando con loro solo all’ultimo momento. Spesso si tratta di persone importanti che hanno tanti impegni e che, per potersi rendere disponibili, richiedono un anticipo anche di tre mesi. Ecco perché ho iniziato ad occuparmene già da qualche tempo. Parliamo dell'inaugurazione dell'anno accademico. Come l'abbiamo sempre fatta va benissimo, ma a questo mondo non c'è niente che non possa essere fatto ancora meglio. E, proprio per cercare di migliorare le cose, io ho proposto agli amici del direttivo di pensare ad una inaugurazione solenne, da farsi nell'Auditorium della Grande Miniera di Serbariu, alla presenza delle autorità religiose e civili e dei rappresentanti delle altre associazioni cittadine. La cerimonia si aprirebbe con una esibizione del nostro coro, seguita dalla prolusione di una personalità di rilievo del mondo scientifico o culturale. Potrei, ad esempio, pregare il prof. Giovanni Biggio di occuparsene. Il professor Giovanni Biggio è Professore Ordinario di farmacologia presso l’Università degli Studi di Cagliari, Presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia, Membro Un docente universitario che accetti di fare la prolusione al nostro anno accademico mi sembra una cosa bellissima, che può solo arricchire ciascuno di noi e dare una grandissima visibilità alla nostra associazione. Fra l’altro il professor Biggio si è già occupato della prolusione per l’apertura dell’anno accademico 2009-2010 dell’Ateneo cagliaritano. L’incontro si completerebbe con gli interventi di rito da parte del Presidente della LUTEC e delle autorità presenti e con la presentazione di alcuni momenti di spettacolo (esecuzioni strumentali, canti, testi recitati). A questo proposito mi sono preoccupato di proporre alla maestra Angelina Figus la preparazione del brano "De brevitate vitæ", noto maggiormente come "Gaudeamus igitur" o anche solo "Gaudeamus", che è riconosciuto come l’inno internazionale della goliardia, che apre, solitamente, l’inaugurazione dell’anno universitario in ogni Ateneo, e che è stato adottato ufficialmente in Italia in occasione dei Saecularia Octava (Bologna 1888). Nel 1872 il Professor Gustav Schwetscke pubblicò ad Halle (Sassonia) un opuscolo ove riportò i canti, che imitati e trasformati nei secoli, originarono il testo odierno. Il primo, considerato il progenitore, è tratto da un manoscritto tedesco del XVI secolo e fu scritto in ischerno al matrimonio di Lutero. A sua volta esso era una parafrasi dell'inno del giorno di S.Martino, scritto da Antonio Urceo, detto Codro, nativo di Rubera, Professore di Lettere latine e greche nello Studio di Bologna nella seconda metà del `400. La musica, altrettanto famosa, anche se risale a tempi medioevali ha avuto, in epoca più recente, un padrino d'eccezione, quando Johannes Brahms ne ha realizzato una stesura orchestrale in occasione della laurea di un amico. L' Academic Festival Overture , op. 80 di breve durata (9'19") si conclude con le battute del Gaudeamus.
Il testo qui riportato è quello di Kindleben (1781), di cui oggi circolano diverse varianti ed ampliamenti (nell'Inno della Goliardia Italiana, seconda e terza strofa sono invertite). Vita nostra brevis est, brevi finietur, [bis] Traduzione Godiamo dunque, finché siamo giovani.
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Gadoni (Nu)
La miniera di Funtana Raminosa è situata nel Comune di Gadoni (Sardegna centrale) in posizione intermedia tra la Barbagia di Belvì e quella di Seulo. Il patrimonio archeo-industriale presente in questa miniera, rappresenta oggi uno dei massimi esempi di recupero e valorizzazione di strutture minerarie per scopi turistici-culturali. Gli impianti minerari, risalenti agli inizi del '900, sono stati costruiti sulla sponda sinistra del Rio Saraxinus, a circa 2 Km dalla confluenza col Flumendosa, mentre sulla stessa sponda, a qualche centinaio di metri verso valle, sono ubicati i cantieri minerari più antichi che siano stati coltivati a livello industriale durante la prima metà del secolo scorso. La coltivazione più antica dei minerali di rame risale probabilmente all'età del bronzo; infatti già verso la fine dell'ottocento si scoprirono i segni di un'antica attività estrattiva, databile sulla base dei reperti ritrovati, all'epoca nuragica. I giacimenti cupriferi sono stati sicuramente interessati da attività estrattive anche in epoche successive (700 d.C.), lo stesso nome del torrente che attraversa la miniera, il Rio Saraxinus, è sicuramente una testimonianza che anche i Saraceni erano interessati all'estrazione dei metalli locali. L'attività mineraria ha lasciato profondi segni della passata attività, quali discariche, scavi, imbocchi di gallerie, che assieme alle diverse strutture impiantistiche costituiscono un patrimonio di alto pregio storico e industriale che si fonde nell'ambiente naturale circostante e che ne rafforza la singolarità e la suggestività. Allo stato attuale il processo di recupero e valorizzazione delle strutture minerarie consente di riscoprire l'intero patrimonio impiantistico e di addentrarsi nelle antiche gallerie che conservano ancora oggi il fascino della passata attività, dove si potranno ammirare le macchine sapientemente restaurate che rievocao i tempi passati. Infine la natura stessa, col suo verde dominante e la presenza dell'acqua nelle sue varie forme, è protagonista principale dell'intero paesaggio che contribuisce pienamente al recupero di un ambiente minerario e naturalistico ineguagliabile. Sadali Sadali (Sàdili, in sardo) è un piccolo paese di 928 abitanti, nella provincia di Cagliari. Il paese appartiene alla Barbagia di Seulo, e si trova nella parte centrale della Sardegna. Situato a circa 750 metri d’altitudine, Sadali ha un territorio caratteristico per la varietà del paesaggio, in cui si possono notare sia splendide zone montuose che vasti altopiani. Il centro abitato presenta, al contrario dei tipici paesi di montagna, ampie strade con viali alberati, le cui dimensioni diminuiscono man mano che ci si dirige verso il centro storico, che conserva ancora la fisionomia dei tempi antichi. La meraviglia, per chi arriva da queste parti, è girare a piedi tra i vicoletti del centro storico. Particolare è la passeggiata di “Sa melixedda”, che congiunge via Roma a Piazza Municipio. Qui si erge la chiesa di San Valentino, il cui impianto originario risale alla fine del IX secolo. Splendido è il percorso che da Piazza Eleonora d’Arborea, costeggiando i verdi terrazzamenti coltivati, porta, passando per un ponticello, a Pratteri e poi a via Fontane. La chiesa parrocchiale è dedicata a San Valentino, santo degli innamorati e,unico caso dell’isola (e rarità in italia), patrono del paese. San Valentino è considerato, dai paesani e dai forestieri, un santo “coiadori” e cioè propiziatore di matrimoni. È per questo che tanta gente, sin da tempi remoti, si recava a Sadali per domandare a San Valentino la grazia di trovare un ‘buon partito’. Proseguendo nella nostra passeggiata si sale “Su scaloni”, un acciottolato che sbuca sotto via Sant’Elena, e che porta fin quasi alla chiesa dedicata alla Santa. L’edificio, risalente al mille, è in pietra con un tetto di canne e tegole posato su assi lignee. Esiste anche una chiesa campestre, Santa Maria, la più antica, dato che in prima pianta risale al VI secolo. La sua festa è celebrata a giugno, quando la santa è accompagnata in processione per dodici chilometri, rigorosamente a piedi, fino al santuario. Il segno distintivo del borgo è l’acqua. Un detto definisce i Sadalesi “abbaus”. Nel centro storico sgorgano infatti “Funtana ‘e pauli”, “Funtana manna”, “Donnaiola”, “Gutturu ‘e canali”, “Funtanedda”, “Santu Valentinu”, “Sa cora”, “Tziu Umbertu”, “Mesu ‘idda”, “Fundusei”. Gran parte di queste fonti confluiscono in una cascata alta sette metri, che alimenta un mulino in pietra del seicento, epoca in cui nel paese erano presenti parecchi mulini. L’acqua costeggia le case e, riunendosi a quella del rio Fundusei, precipita nella voragine di “Sa ‘ucca manna”, la Grande Bocca. Fuoriesce più a valle, in un’altra apertura della roccia, e alimenta S’Errixeddu, affluente del Rio Sadali, a sua volta immissario del lago del Flumendosa. “Is coras”, le gore d’irrigazione, distribuiscono l’acqua agli orti che cingono l’abitato. Come ciascuna famiglia possiede l’orto, così possiede la vigna. E poter varcare la soglia di una cantina locale, che qui è detta “su basciu”, è un’occasione da non perdere. Il vino, infatti, è ottimo.
Orgosolo
Orgosolo, il cui nome deriva dal greco orgàs 'terreno fertile e ricco d'acque', è il cuore della Barbagia; posto in una conca ai piedi dell'imponente altopiano calcareo del Supramonte, a 18 km da Nuoro, è immerso in un paesaggio naturale ricco di fascino e di suggestioni, con i suoi paesaggi di rara bellezza che alternano alti dirupi, grotte, canyons scavati dal fiume Cedrino e doline. Dalla nuda roccia calcarea nasce l'antichissima foresta del Supramonte unica per la sua ricchezza e varietà di lecci, querceti, ginepri, tassi, oltre a una fitta vegetazione a tratti impenetrabile, dove è raro, ma non impossibile incontrare esemplari della fauna sarda come i mufloni, i cinghiali e le aquile reali che dominano con la maestosità dei loro voli. Sempre qui dorme su sorighe 'e padente 'il ghiro', che assieme al topo quercino sono prede degli infallibili artigli dell'astore. Nelle immediate vicinanze del paese è poi possibile visitare siti archeologici di grande interesse, testimonianze della preistoria e della storia sarda: quelli dei tempi della preistoria e della protostoria sono i più attraenti a causa della loro singolarità, tale da rappresentare un marchio d'identità dell'isola, della sua gente e del suo più remoto vivere civile. Del periodo neolitico (8.000/3.000 a. C.) si conservano oltre 70 domus de janas 'case delle fate', in realtà tombe preistoriche scavate nella roccia dalle popolazioni che vissero in Sardegna nel neolitico; quelle di Orgosolo hanno un fascino particolare dato dal fatto di essere scavate nella dura roccia granitica e per la loro collocazione in una campagna di incomparabile bellezza. Oltre alla credenza di una vita ultraterrena compare il culto degli antenati, la cui memoria viene tramandata nei menhir riferibili a quel periodo, costituiti da blocchi monolitici isolati, alti alcuni metri, infissi verticalmente nel terreno. Più recenti, appartenenti all'età del bronzo, sono i nuraghi, torri cilindriche dotate di uno o due piani comunicanti tra loro mediante una scala a spirale interna, che si pensa potessero servire come punti di difesa e come abitazioni dei capi locali. Hanno affascinato nei secoli i molti viaggiatori che approdarono nell'isola, tra i quali il maestoso nuraghe Mereu costruito con blocchi di calcare che gli conferiscono il caratteristico colore bianco. Svetta su tutto il territorio circostante e si affaccia sull'impressionante Gola di Gorroppu, uno dei canyon più profondi d'Europa (fino a 400 m). Resti punici e romani testimoniano una frequentazione senza interruzioni, dal neolitico all'epoca romana. La seta a Orgosolo Il processo della produzione della seta è sicuramente una delle espressioni più alte dell'artigianato di Orgosolo, sicuramente quella più singolare e affascinante. Purtroppo quella che un tempo era una attività comune a molte donne, finalizzata principalmente a realizzare " Su Lionzu" il copricapo del caratteristico costume femminile orgolese, è oggi appannaggio solo di qualche famiglia. Fra le giovani è rimasta solo una artigiana, Maria Corda, in grado di eseguire l'intero processo e conservare una tradizione vecchia di secoli e che va dall'allevamneto del baco alla tessitura dei costumi. L'associazione " Lioness Club" di Cagliari ha insignito Maria Corda del Premio Donna Sarda 2009 a riconoscimento del suo prezioso lavoro che trova motivazione più nell'attacamento alla traddizione e all'identità che a convenienze economiche. La seta prodotta, come detto, viene utilizzata per realizzare "Su Lionzu" costituita da una benda di 1 metro e 1/2, larga 33 cm. La trama- come ama ripetere Maria Corda nel suo laboratorio "Tramas de seda" aperto alle scolaresche e ai turisti, nel centro del paese è colorata con lo zafferano, mentre l'ordito assume il colore naturale della seta orgolese". Vengono utillizzati centinaia di bozzoli per comporre i fili di seta che costituiscono il filato da cui , con pazienza certosina e perizia soprafina, si produrrà " Su Lionzu ".
Percorso didattico "Dalla Roccia al gipeto"
In seguito all’estinzione del gipeto dalla Sardegna, avvenuta nel supramonte di Orgosolo alla fine degli anni sessanta, Umberto Graziano, ornitologo e tassidermista sassarese, nei primi anni novanta, ha realizzato a proprie spese, il percorso didattico intitolato “dalla roccia al gipeto”. COSTI Ingresso a Funtana Raminosa - 6€ Alternativa ad Orgosolo per partecipanti con problemi di mobilità.
EXTRA PER TUTTI- DA SUDDIVIDERE PER IL NUMERO DEI PARTECIPANTI
TOTALE PARZIALE (Da aggiuhgere gli extra (13€ circa per un'ipotesi di 30 partecipanti) SENZA ESCURSIONE MA CON BACO DA SETA E GIPETO - 127€ (140) |
Ogni settimana dalle 11 alle 12 e dalle 17.30 alle 18.30 diffuse attraverso i 31 altoparlanti dentro e intorno al Parco le registrazioni in cd delle principali composizioni di un grande autore. Da lunedì 16 maggio 2011 è stata avviata classicalparco, una nuova rassegna di ascolti musicali riservata al Parco della Musica. Ogni settimana vengono diffuse, dalle 11 alle 12 e dalle 17.30 alle 18.30, attraverso i 31 altoparlanti posizionati dentro ed intorno al Parco della Musica, le registrazioni in cd delle principali composizioni di un grande autore della musica classica, al quale viene interamente dedicata la settimana, interpretate dalle migliori orchestre e dai solisti più celebri del panorama internazionale. In occasione della Stagione lirica e di balletto 2012, sono state già programmate settimane d’ascolto, dedicate a Massenet, Stravinskij, Puccini, Mozart, Verdi, Strauss, Èajkovskij, in concomitanza con le rappresentazioni musicali in corso. Il Parco della Musicaè aperto tutti i giorni dalle 7.30 alle 23. L'ingresso è libero. Inaugurato sabato 7 maggio 2011 a Cagliari il Parco della Musica, nuovo polmone verde e culturale del capoluogo della Sardegna, dove prima sorgevano dei parcheggi sterrati ora vi è una vera e propria città della musica. Una grande opera di riqualificazione urbana che ha visto nascere (o prevede) un insieme di piazze, alberi, giardini, un piccolo fiume artificiale, una fontana musicale (i cui zampilli sono sincronizzati sulle note di Georg Fredrich Händel, Water Music, 3 suites), nuovi teatri e laboratori,il tutto per un unire una grande area tra il conservatorio musicale, villa Muscas, il Teatro lirico e il T-Hotel.
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STORIA DELL'OPERA LIRICA ITALIANA Editoria e critica musicale - Puccini
Oggi, giovedì 22 marzo, si è svolta, applauditissima alla presenza di un folto pubblico, la conferenza della maestra Elena Sibiriu, sul tema "Editoria e critica musicale-Puccini ". Ne riporterò una breve e assolutamente libera sintesi perchè, per motivi tecnici, non mi è stato possibile utilizzare il materiale di Elena, memorizzato in una pen drive, che lei mi aveva gentilmente messo a disposizione.
Anni d'apprendistato Viste le doti non comuni sin qui dimostrate, Puccini fu mandato a perfezionarsi al Conservatorio di Milano, capitale dello spettacolo nell'Italia d'allora, grazie ad una piccola borsa cui s'aggiunse una modesta rendita concessagli dallo zio, Nicolao Cerù. Lì ritrovò Alfredo Catalani, che aveva colto i primi successi, e per suo tramite entrò in contatto con l'ambiente della Scapigliatura milanese, fra cui spiccavano Boito, Faccio, Marco Praga e molti altri intellettuali di primo piano del tempo. Nei primi tre anni milanesi (1880-1883) Puccini raccolse tutti gli elementi in grado d'assicurargli un futuro: nell'insegnamento dell'affermato operista Ponchielli, subentrato dopo un mese al suo primo maestro Bazzini (apprezzato in campo sinfonico e violinista rinomato), cercò soprattutto d'imparare il coup de théâtre, dote di cui avrebbe fatto sfoggio in numerose circostanze; da Amintore Galli, docente di storia e filosofia della musica, apprese i principi fondamentali dell'estetica wagneriana in rapporto alla tecnica armonica; infine, tramite gli spettacoli cui assistette alla Scala e nei teatri minori - quasi tutte le opere maggiori di Bizet, Gounod, Thomas - stabilì subito quel filo diretto col mondo francese che sarebbe divenuto uno dei tratti distintivi della sua sensibilità. Da studente compose un Preludio sinfonico in La maggiore nel 1882, e l'anno successivo il Capriccio sinfonico, come saggio di diploma, che Franco Faccio, il più celebre direttore italiano, eseguì, alla guida dell'orchestra del Conservatorio, il 14 luglio 1883, e propose altre due volte a Torino nell'anno successivo. Il lavoro di Puccini ebbe un successo notevole, e piacque molto al critico Filippo Filippi, in prima fila fra i sostenitori in Italia della musica sinfonica e lirica del romanticismo tedesco. Il Capriccio è un brano di rispettabili proporzioni per grande orchestra vicino alla forma del poema sinfonico e dimostra che Puccini era capace d'ingegnosità formali e di un'inventiva timbrica sconosciute agli operisti che trattarono il genere descrittivo. Ma è più interessante il Preludio, basato su un'estrema concentrazione del materiale, in cui è palese, nella sonorità incorporea dell'inizio, il richiamo al preludio del Lohengrin. Peraltro la migliore composizione di Puccini, al di fuori della produzione operistica, è senza dubbio la Messa a quattro voci con orchestra. I brani dell'ordinario liturgico hanno sempre acceso la fantasia degli operisti, i quali vi hanno individuato un evidente principio rappresentativo (e si pensi alla Messa da requiem di Verdi). In questa prospettiva vanno valutati l'attacco marziale del Gloria com'anche il tema iniziale del Credo, tuttavia non mancano alcune caratteristiche specifiche dello stile sacro, come all'inizio del Kyrie, caratterizzato da un elegante contrappunto corale a quattro parti in stile osservato. L'opera è piena di spunti rilevanti, in un arco di situazioni che passa dall'intensa drammaticità del Credo alla fatua eleganza dell'Agnus Dei, ed è sempre sorretta dall'orchestra, che qui ha un'autonomia più marcata rispetto gli usi del tempo. Nella Messa si rivela tutta la fantasia di un giovane di talento che, traendo partito da una grande e vitale tradizione familiare, seppe superarne i condizionamenti provinciali, creando i presupposti utili a sviluppare il naturale istinto per l'opera. La tecnica ragguardevole che dimostrò in quest'occasione è davvero la premessa di un futuro in cui il lavoro sull'affinamento del linguaggio avrebbe giocato un ruolo fondamentale per la realizzazione dell'effetto teatrale.
L'intricato nodo del libretto di Manon Lescaut, cui dal 1889 lavorarono dapprima il compositore-letterato Leoncavallo, poi Marco Praga e Domenico Oliva, e in cui ebbero parte sia Giuseppe Giacosa sia Giulio Ricordi, si sbrogliò grazie a Luigi Illica nel 1891, che raddrizzò i punti che Puccini sentiva deboli, senza intaccare l'equilibrio fra le parti già composte. Egli introdusse alcuni personaggi secondari, rese più lirico l'inizio del III atto e suggerì per la sua conclusione una «perorazione a tempo di marinaresca». Ma soprattutto risolse il problema del concertato con l'appello declamato dei nomi delle prostitute, indicando al compositore una precisa strategia formale: Puccini riuscì così a trasformare uno statico concertato in un brano d'azione, un obiettivo che lo stesso Verdi s'era posto nel terzo atto di Otello senza venirne a capo. In Manon Lescautil genio di Puccini esplose: l'invenzione è a getto continuo, l'ispirazione vi domina, né risulta percepibile all'ascolto l'accurato calcolo formale che solo lo studio della partitura può rendere palese. Un calcolo che giunge sino al dettaglio e garantisce all'opera il suo enorme impatto emotivo. Dopo il mezzo fallimento di EdgarPuccini affrontò concretamente il problema dell'opera in musica posto da Wagner, e riuscì a conciliare la propria tradizione con la realizzazione di un equilibrio diverso fra tutte le componenti dello spettacolo, puntando ad un amalgama indissolubile, sorretto da strutture formali tese e coerenti. «L'opera è l'opera: la sinfonia è la sinfonia», aveva scritto Verdi al conte Arrivabene nel 1884 criticando gli Intermezzi delle Villi. Il suo appunto era peraltro indirizzato solo all'inserimento di brani orchestrali di carattere descrittivo. Ma nel primo atto di Manon LescautPuccini passò i confini di quel genere, adattando con abilità strutture di tipo sinfonico alle esigenze dell'azione. Il contatto con Wagner si sostanzia soprattutto nel rigore e nella coerenza con cui Puccini s'impossessò della tecnica leitmotivica, fondendola alla concezione italiana del dramma in musica, il cui pilastro rimaneva la melodia. Il materiale tematico impiegato nell'opera determina un articolato sistema di relazioni, che lega i personaggi alle situazioni vissute e agli stati d'animo relativi, in rapporti dove sovente la musica assume un peso decisivo, svincolandosi da pure e semplici necessità narrative per creare sofisticate associazioni simboliche. Si pensi al tema del nome («Manon Lescaut mi chiamo»), anticipato all'arrivo della carrozza ad Amiens: da questa sequenza Puccini trasse lo spunto, variandolo come un Leitmotiv, per numerosi momenti chiave della vicenda, quasi che nella musica della protagonista fosse contenuto in potenza il suo futuro e quello del suo amante. Anche il piano tonale fu strutturato a fini di rendere coerente l'intreccio. Il primo atto tende un arco da La a Mi maggiore, la scena ‘settecentesca' (II atto) gravita nelle tonalità di Re e La maggiore e si collega all'Intermezzo mediante il Si minore, mentre il tema della protagonista attraversa varie tonalità (Si bemolle, Sol maggiore e altre) per essere assorbito nell'ultimo atto dal Fa diesis minore, relativo della tonalità iniziale. Spesso nella critica d'oggi tali rapporti vengono sopravalutati, oppure cercati dove non sono in nome della coerenza compositiva, ma la precisione con cui Puccini collega in Manon Lescaut le tonalità in quanto espressione di temi e melodie ricorrenti rivela precisi intenti drammatici. Nella trattazione dei soggetti Puccini s'attenne sempre ad un saldo principio operativo: delineare sin dalle prime battute di un'opera l'atmosfera in cui si sarebbe svolta l'azione. In Manon Lescautegli si prefisse di tratteggiare la couleur locale storica del XVIII secolo, particolarmente nei suoi tratti ipocriti e leziosi. Per imitare musicalmente il Settecento Puccini utilizzò alcuni lavori precedenti, fra cui i Tre minuetti per quartetto d'archi, composti nel 1884 da cui trasse il tema dell'inizio dell'opera e la musica per il ballo. Nella prima parte del secondo atto va in scena la vita d'alcova. La rappresentazione della galanteria dei cortigiani, si oppone col massimo contrasto al clima del successivo duetto d'amore, dominato dalla più sincera delle passioni, ma al tempo stesso contaminato moralmente dalla solare corruttibilità della protagonista. Il madrigale, i minuetti, la canzone pastorale risuonano nel salotto di Geronte per far vivere agli spettatori il tempo interiore della mantenuta, motivandone le reazioni. A partire dal finale del second'atto, quando rientra Geronte sorprendendola fra le braccia dell'amante, la situazione precipita e inizia il cammino di Manon verso la morte, di cui Des Grieux diviene impotente spettatore. L'intermezzo ci introduce all'atmosfera desolata del terzo atto: da qui fino alla fine l'applicazione della tecnica della reminiscenza, incrociata con quella leitmotivica, si fa assai estesa. Il compositore ribadì nell'estenuante conclusione nel deserto della Louisiana il tema centrale dell'opera: l'amore inteso come «maledizione» e passione disperata, dando il suo primo esempio di «musica della memoria», come farà in modo altrettanto indimenticabile in occasione della morte di Mimì, Butterfly e Angelica. I temi già uditi si susseguono, facendo interagire il passato col presente, e quel poco d'invenzione realizza un'unità poetica saldissima col materiale di tutta l'opera. La musica non deve descrivere nulla, perché nulla accade che non sia il logico effetto di ciò cui abbiamo assistito. La fine di Manon è l'inevitabile conseguenza del suo modo di vivere e assurge ad evento metaforico perché a morire non è soltanto un personaggio, ma un imbarazzante simbolo d'amore, come la disperazione non è solo quella di Des Grieux, ma di tutto il pubblico partecipe di quella morte. Capolavoro del tardo romanticismo musicale, il quarto atto di Manon Lescautfa tornare in mente le conclusioni di Don Carlo e Aida. E ci rende palese l'enorme distanza col melodramma di Verdi, là dove la morte era l'unica possibilità per gli individui, oppressi dal potere, di realizzare le loro legittime aspirazioni terrene. «Non voglio morir!» urla solitaria, Manon. Gli amanti pucciniani continuano ad avanzare nella sabbia del deserto, fino all'ultimo cercando un'impossibile salvezza, perché l'unica certezza è la vita. Sono questi i valori disperati e sensuali dell'inquieta fin de siècle: la sensibilità moderna comincia qui dove il cielo scompare. Tra realismo e poesia La Bohème nacque in clima di aperta concorrenza artistica fra Puccini e Leoncavallo, ognuno dei quali rivendicava per sé la priorità sul soggetto. Probabilmente aveva ragione il compositore napoletano, ma ciò ha poca importanza, poiché egli portò a termine il suo lavoro con notevole ritardo, oltre un anno dopo il suo rivale e oggi la sua Bohème è soltanto un documento del gusto d'epoca, mentre l'altra domina fin dal suo debutto il repertorio internazionale. Illica e Giacosa riuscirono nell'arduo compito di ricavare una coerente azione operistica dal romanzo Scènes de la Bohème, in cui Henri Murger aveva rifuso propri raccontini brevi nel genere della narrazione d'appendice. I versi e le peculiarità drammatiche del libretto che fornirono a Puccini postulavano una musica che aderisse con la massima naturalezza a un'azione prevalentemente priva di episodi statici, del resto trovare un nuovo rapporto fra un'articolazione serrata del dramma e le tradizionali necessità liriche era un problema che tutti i colleghi di Puccini si erano posti, poiché alla fine del secolo in Italia non esistevano più confini rigidi fra generi. Riusciti esempi di commistione si potevano ritrovare in alcune opere di Verdi, e grazie alla Traviata Puccini aveva già potuto comprendere come si potesse stilizzare senza forzature l'elemento quotidiano all'interno del codice melodrammatico. Fu però dal Falstaff, praticamente costruito su una mobile successione di recitativo e arioso, che Puccini ebbe la definitiva conferma di quale fosse il modo migliore di evadere dalle costrizioni dell'opera divisa in arie, duetti e concertati, per creare un organismo unitario e coerente. Nella Bohème egli doveva trattare un'azione dove ogni gesto rispecchiasse la vita di tutti i giorni, al tempo stesso doveva conquistare un livello narrativo più alto, comunicando per metafora l'idea di un mondo in cui il tempo fugge, e di cui la giovinezza è protagonista: un ironico disincanto è sempre immanente anche nei momenti più intensamente poetici e il lato sentimentale sorge senza soluzione di continuità da un meccanismo che ha necessità di natura concreta, e ad esso ritorna trasformato in emblema. Nei primi due quadri dell'opera l'elemento comico ha larga parte e convive con quello sentimentale, ne è prova il temino puntato e timbricamente sfaccettato dell'inizio - che torna sovente per ricordare come l'amore sia solo uno fra i tanti momenti dell'esistenza -, trattato con una concezione simile a quello esposto nelle tre battute iniziali del Falstaff. Per fissare un ritratto individuale e collettivo del gruppo di artisti squattrinati Puccini coordinò in scioltezza diversi parametri creando un continuum sonoro: estese melodie liriche, agili cellule motiviche, tonalità in funzione semantica, colori lucenti e vari in orchestra. Il telaio dell'azione poggia su temi che animano i diversi episodi in cui i protagonisti rivelano il proprio carattere, e anche l'incontro amoroso di Mimì e Rodolfo, pure improntato all'espansione lirica e dunque alla dilatazione psicologica del tempo, presenta un'articolazione narrativa da ‘canto di conversazione'. Il frequente ricorso ad elementi che possano denotare e connotare la vita di tutti i giorni nella Bohème deve invece essere inquadrato nell'ambito generale di una maggiore attenzione rivolta nella seconda metà del secolo dagli artisti di tutta Europa alla rappresentazione della realtà nei propri lavori. Tale ‘realtà' permea particolarmente il colorito affresco del secondo quadro, dove Puccini riuscì a coordinare una elevata quantità di eventi, affidandoli a piccoli gruppi corali e ai solisti, e lo fece assicurando al contempo le opportune sincronie e una fulminea rapidità, con un taglio quasi cinematografico. Non c'è un solo episodio che perda di rilievo all'interno di un unico blocco concertato con piccoli episodi solistici, dove l'ambiente prende parte attiva nel dramma, e non si limita ad essere color locale, come in Mascagni o Leoncavallo. Se nei primi due quadri della Bohème l'allegria regna sovrana, tutto nei secondi due parla di nostalgia, dolore e morte. La simmetria dell'intera struttura è stabilita dall'ultimo quadro, specchio del primo (siamo nella stessa fredda soffitta), più concentrato nelle dimensioni ma analogamente diviso in due metà dal carattere contrastante, gaia la prima, drammatica la seconda. Il tempo dell'azione non è specificato, si sarebbe quasi tentati di affermare che non ne sia passato dall'inizio dell'opera, oppure che si viva già nell'eterna primavera del ricordo. La netta impressione del déja vu è confermata dalla ripresa del tema con cui l'opera iniziava, ma in orchestra non c'è più la frammentazione dell'avvio, bensì il timbro impastato degli strumenti, che introduce concretamente un discorso già iniziato. Questo accorgimento si può leggere in chiave formale, come momento di amplificato riepilogo in una forma ciclica, ma è del pari evidente che l'esasperata dinamica produce una sensazione di enfasi quasi a voler nascondere la nostalgia, sentimento dominante della scena in cui Marcello e Rodolfo ricordano le rispettive amanti. Tutte le emozioni che la fine di un essere amato può procurare sono sistemate secondo una scaletta che porta infallibilmente alla commozione il pubblico di ogni razza e d'ogni età. Tanta efficace universalità non è dovuta al solo potere evocativo della musica, ma anche alla sapiente strategia formale che governa la partitura: il ritorno nei momenti più opportuni dei temi che descrivono il carattere e le emozioni di Mimì l'hanno resa familiare e indimenticabile al tempo stesso. Inoltre la musica, riepilogando il già trascorso, va incontro al tempo assoluto, raccogliendo ogni sfumatura semantica del testo e ricostituendo una nuova entità, la memoria collettiva, sulla base dell'ordine in cui i temi sono riproposti. «Sei il mio amor e tutta la mia vita». Qui si chiude il circolo vitale di Mimì, ormai divenuto sineddoche dell'amore romantico, perduto ma eternamente rimpianto. L'ultimo ad accettare la sua morte è Rodolfo: la sua invocazione disperata, vista come un cedimento di Puccini alla pratica del verismo, risponde invece a una logica che sarà applicata anche nel finale di Tosca: a un tema significativo è affidato il gesto che esprime il compimento della tragedia. L'opera si conclude con la stessa cadenza della commovente «Vecchia zimarra» di Colline, ed è un modo per scrivere con la musica la parola addio, ricordando il saluto commosso che il filosofo aveva rivolto al pastrano. La cadenza è il congedo più suggestivo da un mondo fatto di persone e di cose, un mondo di cui la morte di Mimì ha decretato la fine traumatica. Liberati dai vincoli di una narrazione convenzionale, possiamo avvertire il peso metaforico di un evento tragico che interrompe bruscamente il flusso del tempo. A Rodolfo, e a tutti quelli che dividono le sue emozioni, non rimane il tempo di riflettere: la tragedia ferma l'azione e fissa quel dolore nell'eternità dell'arte, permettendo così alla Bohème di vivere per sempre.
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Cari amici e care amiche,
PROGRAMMA DI
1. Osservatorio Astronomico di Cagliari 2. Planetario dell’Unione Sarda 3. Teatro Lirico di Cagliari - VISITA GUIDATA ALLE STRUTTURE E AI LABORATORI . 4. POLARIS - Visita guidata al Parco Tecnologico di Pula 5. Cantina Argiolas – Serdiana. Pranzo al ristorante Hibiscus di Quartu S. Elena, dove si svolgerà anche un minicorso di pasticceria con la maestra A. M. Sarritzu. 6. Parco naturalistico di Molentargius (VIsita guidata) 7. Galleria Comunale d'Arte di Cagliari (Percorso guidato)
È anche possibile realizzare un laboratorio per la preparazione del pane tipico sardo (pani pintau) e dei dolci sardi con le maestre A. R. Fadda e A. M. Sarritzu di Quartu Sant'Elena. |
DONNE IN RINASCITA Più dei tramonti, più del volo di un uccello, la cosa meravigliosa Non parlo solo dei dolori immensi, di quelle ferite da mina antiuomo che ti fa la morte o la malattia. Parlo di te, che questo periodo non finisce più, che ti stai giocando l’esistenza in un lavoro difficile, che ogni mattina hai un esame peggio che a scuola….Te, implacabile arbitro di te stessa, che da come il tuo capo ti guarderà, deciderai se sei all’altezza o se ti devi condannare. Auguri a tutte voi, mie dolcissime amiche. |
Gli abitanti della Basilicata sono i piu' ciccioni d'Italia seguiti siciliani e calabresi. Studi recenti dimostrano che l'obesità inizia nel cervello, tramite modificazioni a carico dell'ipotalamo. Esistono due tipi di cambiamenti cerebrali che danno vita a due tipologie differenti di obesità. Il primo tipo di obesità è l'obesità subcutanea. Caso tipico dell'obesità subcutanea è quello dei lottatori di sumo, caratterizzata da una grande quantità di morbido grasso sul torace, braccia, gambe ed anche in faccia, doppio mento e e rigonfiamenti con pelle molle sotto alle braccia. L'obesità subcutanea è comune tra uomini e donne. Il secondo tipo di obesità è viscerale o intra-addominale, ed è caratterizzata dalla classica "pancia da bevitore di birra", con un eccesso di grasso a livello addominale e poco grasso sul gambe e braccia. I due tipi possono presentarsi anche nella stessa persona in misura più o meno variabile. La prima tipologia è chiamata anche a "mela", la seconda tipologia a "pera". Questi due tipi di obesità sono dipendenti dal cervello ed in particolare dal funzionamento del centro dell'appetito e dall'ipotalamo. L'ipotalamo in particolare regola i bisogni primari di alimentazione, sonno e fame, quindi appetito, comportamenti alimentari e tasso di metabolismo. Vi sono in particolare due funzioni a livello neuronale una stimolante e l'altra inibente. Questi sono i due regolatori del metabolismo.
L'ipotalamo regola i bisogni primari di alimentazione, sonno e fame, quindi appetito, comportamenti alimentari e tasso di metabolismo. Vi sono in particolare due funzioni a livello neuronale una stimolante e l'altra inibente. Questi sono i due regolatori del metabolismo.
Quello che bisogna iniziare a fare è trovare un altro piacere... non solo il piacere del cibo, ma anche il piacere del movimento, il piacere di respirare aria buona quando ci muoviamo all'aperto, il piacere di indossare un bel vestito, il piacere di stare con gli altri... tutte cose a cui piano piano gli obesi rinunciano per dedicarsi sempre di più al cibo. |
GITA A ORROLI
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Nickname: ninolutec
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Sesso: M Età: 83 Prov: CA |
Inviato da: Manuela
il 10/02/2015 alle 23:06
Inviato da: giramondo595
il 30/11/2013 alle 10:19
Inviato da: giramondo595
il 18/05/2013 alle 23:30
Inviato da: giramondo595
il 14/04/2013 alle 19:55
Inviato da: giramondo595
il 01/04/2013 alle 23:46