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I loschi affari della Acanfora

Post n°154 pubblicato il 30 Luglio 2010 da lorenzo_na
 
Foto di lorenzo_na

La Presidente della Piccola industria è stata arrestata nei giorni scorsi per estorsione e favoreggiamento alla camorra. Nelle intercettazioni emerge il solito intreccio tra politica, affari e criminalità organizzata.

Leggendo le intercettazioni della squadra mobile di Napoli alla Acanfora si resta interdetti. Ne emerge un quadro sconcertante: un intrigo complesso che tocca ambienti della politica, delle imprese e della camorra.
Quando l’hanno prelevata a bordo del suo motoscafo nel porto di Castellammare di Stabbia per condurla in questura, abituata com’è a non farsi mancare nulla, la signora ha avuto un lieve malore. La rampante imprenditrice partenopea, presidente del gruppo Piccola industria dell'Unione industriale di Napoli, è accusata di estorsione aggravata dal favoreggiamento nei confronti del clan dei D'Alessandro. Il suo arresto nasce da un filone d’inchiesta sull’omicidio del consigliere comunale stabile Luigi Tommasino, ucciso il 3 febbraio 2009, proprio da esponenti della famiglia D’Alessandro per delle somme di danaro non restituite. Ma è nelle intercettazioni nella sua Bmw mentre è al telefono che la Acanfora rivela i suoi imbrogli, incastrandosi da sola. Si va dall’estorsione all’architetto Pino Celotto, alla prassi consolidata dello scambio di fatture inesistenti con il consigliere comunale poi ucciso (il giro di fatture false ammonterebbe a circa 5 milioni e 800 mila euro).
Al telefono con il fratello del consigliere ucciso la Acanfora dice:” Pino (Celotto) mi aveva fatto arrivare una parcella di 400 mila euro e ne ho dovuti 200 mila. A un certo punto Gino (Tommasino) disse: Non ti preoccupare, io lo faccio chiamare. È stato chiamato (Celotto) perché nel frattempo è successo quello che è successo. Io la transazione l'ho fatta, ma è servita a dargli 210 mila euro.” In pratica l’architetto aveva presentato una parcella di quattrocentomila euro alla Acanfora per aver eseguito i progetti di ristrutturazione del centro di riabilitazione psicomotoria di Castellammare di cui l’imprenditrice è componente del cda. Lei allora si rivolge a Tommasino che contatta esponenti della famiglia D’Alessandro per intimidirlo e fargli accettare solo la metà dei soldi. L’architetto all’inizio non cede alle minaccie, ma il giorno dopo l’omicidio di Tommasino accetta e prende i soldi. “Per questa transazione gli ho pagato 15 mila euro” si lascia scappare al telefono la Acanfora, che quindi ha pagato il clan per il disturbo.

Quando scopre di essere stata scoperta dalla polizia parla disperatamente al telefono con il marito:” Sanno tutto del fatto di Celotto, capito? Che c'è stata l'intermediazione per farlo firmare, per questo sono certa che ha parlato Libera (vedova Tommasino). Adesso non lo so... se hanno interrogato quello stronzo di Celotto?”. Ma dice anche altro, come quando parla della festa alle Terme e all’Unione Industriali:” Devi chiamare a quello, vedi se riesci a sapere qualcosa prima di andare... pure se si indaga sui nostri conti correnti... una tangente... Io direi di prendere un appuntamento con quello lì e di dire: noi vogliamo dire questo, questo e questo: va bene? Per essere sicuri che... Dobbiamo secondo me dire questo: siccome mi accingevo a fare, ad avere questo incarico di rappresentanza... avendo moltissimi problemi nei pagamenti... avevamo cercato di recuperare fatture di comodo per le spese che affrontavo.” Poi cerca di preparare le risposte alle possibili domande degli inquirenti:” Ma quando quello dice: ma come ve li dava i soldi? No, parte erano vestiti che avevamo comprato e parte con difficoltà ce li ha ridati un po' alla volta. Perché altrimenti, scusa, ma come si giustifica?". Il marito le domanda: "Loro ti chiederanno: questi soldi in nero a te a cosa servivano?". E lei spiega: "Eh! Sono spese di rappresentanza dell'Unione... perché l'Unione... io spendo 40, 50 euro al giorno di parcheggio. Mi sono dovuta comprare più vestiti perché era un ruolo. Solo questo possiamo dire... Confindustria non ti dà niente e quindi mi ero procurata un po' di finanze... però io non lo so se questo è un reato... Spese di rappresentanza... Che storno i fondi di bilancio e tutto il resto, io questo lo devo dire o non lo devo dire?". Poi  per non dare nell’occhio suggerisce al marito:”  Secondo me dobbiamo fare la vita più regolare possibile, andiamo a Roccaraso... non lo so... se stiamo sotto osservazione", ed il marito: "Quali sono le altre spese che sosteniamo?", risposta: "Non possiamo dire per la barca... quello ti dice: chi ti dice di tenere la barca?".
L'interrogatorio dalla polizia c'è stato, ma è stato presto interrotto perché emergono continuamente altri elementi a suo carico. Per esempio, nella voragine dei conti della Sanità campana, mentre chiudono cliniche private e convenzionate e si perdono posti di lavoro per i mancati rimborsi regionali, le uniche società in Campania a incassare puntualmente i soldi pubblici sono le sue.  Si tratta di un’altro spunto investigativo offerto da una attenta verifica contabile che è stata compiuta dalla Agenzie delle entrate. Insomma, è un’estate calda per la cinquantatreenne imprenditrice stabiese, e stare un po’ al fresco le farà bene.

 

pubblicato su
http://www.tuttiinpiazza.it/articoli/regione/i_loschi_affari_della_acanfora/i_loschi_affari_della_acanfora.asp

 
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