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Amarcord - Piccoli imprevisti Laotiani

Post n°61 pubblicato il 06 Ottobre 2007 da a.benassi

Non tutte le spedizioni riescono col buco. Dopo una serie di bei risultati a spasso tra vietnam e laos alla fine degli anni '90, ci ritroviamo all'alba del nuovo millennio con un improvviso calo di vocazioni a partire in tre: Pollo, Pacu ed io, il posto lo conosciamo bene, ormai il centro laos lo sentiamo quasi casa nostra, le grotte che continuano ci sono... si, siamo pochi, ma cosa potrebbe mai andare storto?

Domenica 24.12.2000

 

Villaggio di Ban Thong, di nuovo prigionieri, questa volta con cinque fucilieri attorno. Bene che ci vada ci vogliono cacciare o per Nakai o per Gnommalat, ma scortati. La situazione è tesa ed ingarbugliata; strano modo di passare la vigilia di natale, non so come andrà a finire, ma le cose sanno ormai poco di speleologia, strani loro, strani noi. Bisognava andare via di corsa ieri sera, prima di dargli il tempo di pensare(…) Riusciamo a rinunciare ai cinque fucilieri, ma il carretto ci porta obbligatoriamente lontano dalle grotte; non sappiamo se la scorta è appostata in giro o se ci segue. La situazione sa un poco di guerriglia. Siamo sul fiume Nam Koang, ad un paio di chilometri dal sistema lasciato in sospeso l’anno scorso, tre chilometri invece ci separano da Vangyen: decidiamo che valga la pena provare a dare un’occhiata all’imbocco e verificare la situazione. La sfortuna che ci accompagna dall’inizio ci segue ancora; la grotta è piena d’acqua, tutto l’imbocco ed il corso del fiume è cambiato. Impossibile entrare dall’ingresso basso, se non bastasse in giro si vedono tre armati che somigliano molto a quelli della mattina. Decidiamo di andare al paese, questa volta la cosa sembra giusta e la situazione pare girare al meglio. Al villaggio si ricordano di noi e ci accolgono a festa, niente armati e si comincia a bere alla grande. Buona anche la cena a suon di pollo e polenta che ci pacifica con il mondo, o almeno così ci sembra. Qui siamo in Laos, non sappiamo realmente quali strani meccanismi possano operare sulla realtà; forse il potere del presidente del villaggio di Ban Thong si estende anche nella sfera dell’invisibile, fatto sta che Giovanni deve averlo fatto incazzare di brutto tanto da farsi mandare con successo una maledizione ad effetto immediato. Se ormai ero abituato a svegliarmi di colpo sentendo Pacu vomitarmi vicino, il botto di questa notte era decisamente nuovo e c’abbiamo messo un po’ a capire che il sacco a pelo di Pollo non conteneva più Pollo, che invece gemeva contorto sotto la casa, tre metri più in basso. Sporgendosi dal parapetto della veranda era venuto giù lui, la sigaretta che si stava fumando e tutta la veranda. Dopo un triplo carpiato, che purtroppo nessuno ha fotografato, era atterrato alla grande su schiena e spalle. Una gran bella botta da rimanerci secco ma che fortunatamente sembra aver avuto scarse conseguenze serie, se non mettere fuori combattimento un terzo della spedizione. E così ancora una volta per ora niente grotte. Un santo natale con botto di capodanno in anticipo.

 

 

25.12.2000 Lunedì

Natale in casa Vangyen; invece di una spedizione speleo sembra un ospedale da campo, qualcosa tipo MASH; tra centro traumatologico, ulcere gastriche e fegati spappolati, più tutti i pazienti locali che soffrono di tutto quello di cui si può soffrire, vero o finto che sia, più i rimedi alle erbe che stanno testando su Giovanni, comincio ad aver paura a stare ancora bene. Che altro potrà ancora succederci in 19 giorni? (…) Con Pacu facciamo un giro per vedere le condizioni delle grotte vicine e ci ritroviamo di nuovo nel clima di guerriglia. Anche qui sanno e ci fanno capire che se andiamo in grotta arrestano prima loro e poi noi. La cosa comincia a diventare pesante, in giro nella boschina si ha un certo timore d’incontrare i cecchini. Molto pesante.Come se non bastasse l’acqua è alta anche qui, mi faccio la terza grande nuotata, facciamo il traforo dell’anno scorso, e naturalmente quando c’è da trovare la grotta che forse prosegue, e per cui abbiamo corda e tutto il necessario, sbagliamo imbocco ed esploriamo una grottina nuova ma con poche pretese. Ormai è tardi e comincia a farsi buio, il clima è simpaticamente ostile e torniamo al paese fingendoci animali selvatici, con il rischio di farci sparare non una ma due volte. Il peggio deve ancora arrivare. La discussione notturna di tutto il villaggio ha noi come argomento, i toni sono accesi e si capisce da quanto curano il Pollo, che non vedono l’ora che ci leviamo di torno.

 

 

 

26.12. 2000 Martedì

Noi ci proviamo ancora, speriamo sia solo suggestione: zaino tattico, tutto dentro, non diamo nell’occhio, andiamo da soli, forse è la volta buona, dateci due giorni e portiamo a casa i nostri risultati… Non faccio a tempo a scendere la scala di casa che l’intero villaggio ci circonda. Tutto si fa chiaro, spunta un altro fuciliere, capiamo facilmente il messaggio: se proviamo ad andare in grotta non solo c’arrestano, ma ci sparano anche. Praticamente siamo prigionieri in casa a meno d’andarcene a Gnommalat.  Ci sembra tanto, troppo, ma solo perché non sappiamo ancora il resto. Si decide di levare definitivamente il disturbo, convinti ad uscire in due giorni dal paese. Il tocco finale lo troviamo sul sentiero di ritorno; pattuglia militare in divisa, tutta armata, che è venuta a cercarci e ci scorta in amorevole marcia forzata, non a Gnommalat, ma fino a Nakai, alleggerendoci dei nostri passaporti e costringendoci a dormire in qualcosa a metà tra una guesthouse, una caserma e una galera.

 

27.12.00 Mercoledì

“No problem” qui il problema è che non è un problema se vengono a prenderti a fucili spianati e non ti dicono nulla, è questo che preoccupa. La nostra posizione è quantomeno ambigua, aspettiamo, non si sa chi e quando. Non sappiamo di cosa dobbiamo rispondere, possiamo uscire, ma siamo bloccati qui. Guardiamo costruire il palazzo vicino a noi e vediamo la corriera passare, speriamo di non dover vedere il tetto. Pacu aggancia la rete telefonica tailandese e riesce a spedire un messaggio in italia, se non ci sentono tra qualche giorno comincino a cercarci. Gettiamo le basi per una possibile fuga notturna con traversata a nuoto del Mekong in stile rifugiato politico.

Se riusciamo a tornare in Italia si impone una pausa con il sud est asiatico. Mentre ancora non sappiamo nulla sul nostro incerto futuro, già progettiamo la nuova spedizione. Meta l’Honduras, così da mettere un poco di chilometri nel mezzo (…) Mentre aspetto mi sorge il dubbio che, visto come fanno le cose da queste parti, potrebbero anche essersi dimenticati d’averci sequestrato i passaporti (…) A casa bisogna ricordarsi di farsi benedire alla grande, una tale concentrazione di iella non è normale.

 

Le cose cambiano, la ruota gira, oggi siamo qui, domani chissà, 500 kip trovati per terra mi convincono ad essere ottimista. Ci stavamo quasi abituando al nostro status di detenuti amministrativi  come c’eravamo autodefiniti, organizzati con fornello, pentolino e tortellini, quando nei pressi del caffè arrivano i due pezzi grossi attesi da Thaket. Giovane rampante, due stelle che parla inglese, vecchia roccia cortina di ferro a tre stelle che parla russo e vietnamita. Alla fine la nostra situazione non è così grave, il plotone può attendere, ricompaiono i passaporti, anche se nelle loro mani, rinunciamo per il momento ad ogni spiegazione nel dettaglio, come loro rinunciano ad approfondire il misterioso contenuto dei nostri cinque zaini. Diplomaticamente tradotto, non cerchiamoci problemi. Il grande capo è anche visibilmente contrariato d’essere stato scrostato dal suo ufficio in città per venire a risolvere problemi in montagna, tra polvere e montanari. L’accordo è fatto, loro decidono che noi non si deve mettere più piede nelle montagne, che si deve tornare subito a Thaket tutti insieme, e noi decidiamo di rinunciare a visitare le allegre galere e conservare il diritto a tornare in Tailandia. Ci sta tutto benissimo e siamo pronti a firmare. Nella Uaz del capo siamo in sette, oltre a noi arrestati di prima classe, visto che ci siamo ci portiamo via anche due arrestati di seconda classe, due bracconieri vietnamiti beccati in montagna. Capiamo al volo che quelli stanno peggio di noi. Il passaggio a Gnommalat per raccogliere parte dei nostri bagagli  ha del comico, con tutta la famiglia che strabuzza gli occhi vedendoci cosi scortati, non sanno bene se gli conviene salutarci a far finta di non conoscerci, noi si risponde con frasi di circostanza, come a dire: “si deve andare, ci vediamo un’altra volta, forse…”

p.s.

 Sette anni dopo Pacu e Pollo sono ripassati a salutare i nostri amici di Gnommalat, considerato che noi s'era ancora vivi e loro altrettanto come poteva finire se non con grandi bevute di Lao Lao? 

 
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