Creato da: a.benassi il 10/08/2006
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E intanto Gofredo va avanti...

Post n°46 pubblicato il 25 Giugno 2007 da a.benassi

In attesa del campo acquatico di luglio un invito in apuane non si rifiuta mai, anche se l'ultima volta avevamo gironzolato per meandri in stile lepino le montagne della garfagnana sono generose, ed anche questa volta hanno asciugato i nostri sacchi. Squadra leggera, in cinque con luca, cristina, siria e andrea, idee rilevare il posto impestato dell'altra volta e scoprire se l'ultimo saltino fosse davvero arrampicabile come c'era sembrato l'ultima volta, e sopratutto cosa ci fosse dopo. Per il rilievo tutto confermato, posto fetente da prendere a piccole dosi, mentre il saltino da libera s'è scoperto un'allucinazione collettiva da punta; al suo posto un pozzo scampanante da dieci, di quelli che senza corda li scendi in sola andata. Sotto pochi dubbi sulla via da prendere: un 20 tanto per raggiungere il terrazzo ed affaciarsi alla balaustra del p100 successivo. Tiriamo fuori tutto il cordame, leghiamo lacci da scarpe e brandelli vari tanto che  riusciamo a scendere un paio di rampe, ma l'ultimo piano non ci resta che guardarlo dall'alto fermandoci a 30-40 metri dal fondo. L'acqua in compenso scende sicura verso località culo di mondo. Ad occhio e croce oltre anche questo via ha passato i -800.

 
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Qui se stamo a fa vecchi...

Post n°45 pubblicato il 21 Giugno 2007 da a.benassi
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Riusciremo mai a venirne a capo?

Post n°44 pubblicato il 21 Giugno 2007 da a.benassi
Foto di a.benassi

 
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Ventimila leghe sotto il Malaina

Post n°43 pubblicato il 13 Giugno 2007 da a.benassi
 

Noi le nostre carte le abbiamo sistemate, adesso non ci resta che aspettare fino al prossimo tiro di dadi e vedere se saltiamo noi o se esce 21 e sbanchiamo il banco di calcare fin sotto il mare. Da mercoledì 3 luglio a domenica 8 luglio ci giochiamo fondo e reumatismi asserragliati tra il campo base e la frontiera di -800. E vediamo se volano via col vento anche questi altri 200 metri di cordame.

 
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Il Pozzo Corvane di Pescosolido, ovvero sulle tracce del Kircher

Post n°42 pubblicato il 04 Giugno 2007 da a.benassi

Purtroppo per questa volta il mundus subterraneus dovrà aspettare, però sperare per un attimo che potesse continuare è stato bello ed è valso le quattro ore di camminata...

 
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E' primaverà si svegliano i sifonotti...

Post n°41 pubblicato il 28 Maggio 2007 da a.benassi

Abbiamo passato un inverno a ribaltare il Nessuno come un calzino; c'abbiamo sperato, abbiam fatto delle belle girate in bella compagnia, mangiato fango sul fondo e giocato i soliti numeri da circo traversando per aria a cavallo del solito cinquantino scoppiettante... purtroppo questa volta la montagna s'è proprio chiusa. Due settimane fa abbiamo disarmato tutto con la certezza che chi troverà la prosecuzione sarà proprio bravo. Abbiamo concesso a trapani corde e ferramenta una decina di giorni di vacanza, anche loro si meritano la cura del sole prima di rientrare nel sottomondo, dalla prossima settimana l'unica luce che vedranno per moltissimo tempo sarà l'acetilene. Il fine settimana tra l'8 ed il 10 giugno i sifonotti escono dal letargo e scatta la pre-punta per trasportare il materiale intorno ai -400 al Pratiglio. Corde, 200 metri, attacchi almeno 30, un paio di sacchi a pelo per il futuro-prossimo campo di ventimila leghe sotto i mari nella sala della frattura intorno a -700. Questo è l'anno buono, per settembre si deveno chiudere i giochi, quindi il motto da tatuarsi sulle mute per quest'estate è "O fondo o morte"

 
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3° puntata settembre 2005

Post n°40 pubblicato il 13 Aprile 2007 da a.benassi

Guido all’improvviso si ricorda di essere predestinato ad un radioso futuro da ingegnere,  la tesi non può aspettare, più che soddisfatto della sua posizione post sifone a -350, declina educatamente l’invito e rifiuta categoricamente di tornare nel fetido marciume. Noi che il marcio lo abbiamo in testa, siamo invece in pieno tilt esplorativo. Ma se deve collegarsi a Campo di Caccia, come fa a scendere così in fretta? Mancano quasi due chilometri, dov’è la riviere tutta spiagge gallerie e ombrelloni? Si decide che forse bisogno cominciare a giocare verticale, corde a go-go, e visto che abbiamo lo sponsor portiamo dentro anche la tenda, tanto l’ultima volta dalla Foce del vento in fondo al pozzo si vedeva un bel fondo largo e bianco. Lungo la strada raccogliamo tutto, corde nuove, corde vecchie, fettucce delle serrande, è tutto buono.  Sarà essere di nuovo in due, ma questa volta l’acqua è più fredda, in compenso facciamo voto di furbizia, e visto che invece di gallerie e spiagge per ora ci sono pozzi e strettoie, sopra la muta ritorna la tuta, e visto che ci siamo spuntano anche i guanti in neoprene. Rapidamente siamo a Tomba di Guido e quindi alla Foce del Vento;  l’aria è veramente notevole, di quelle che ti fanno venire mal di testa dal freddo, non è proprio un posto comodo per giocare al piccolo martellatore, meglio affidarsi a madre natura con i suoi meravigliosi naturali; una grande colata c’accompagna per quindici metri, poi scopriamo che il fondo non c’è e il bianco era solo dipinto sul muro. Altro tiro di dadi: escono due naturali e un altro salto da 15, poi forse si tocca terra, anzi acqua. Nasce così il pozzo dei Gorgonauti. Niente fondo asciutto,  niente campo, e la tenda continua a venirci appresso. Di pozza in pozza scendiamo un paio di saltini, finché dopo la seconda serie di bracciate arriviamo sul bordo di un posto nuovo. Attento quando esci dalla vasca, potresti scivolare, se poi il fondo non c’è potresti precipitare. Questa volta per levarsi dall’acqua fino alle orecchie tocca armare un pozzo serio,  50, 60 chi può dirlo, e soprattutto bisogna girarci attorno per evitare l’idromassaggio. Facciamo la conta per vedere a chi tocca la penitenza, poi si comincia il giro di giostra. Pianta in su pianta in giù , basta che ne pianti. Un paio di cenge, l’acqua cade convinta, è posto da cappuccio calato, posto da elettrica e dove è meglio guardare in basso e non pensarci a cosa ti cade in testa. Alla fine raggiungiamo un bel terrazzo, ci sarebbe l’ultimo salto, ma la corda non basta per qualche metro, il posto sconsiglia ogni scemenza, quindi ci accontentiamo di vedere che sotto non è ancora posto da tenda. Un grande lago se la ride sotto di noi. L’autunno è alle porte, e siccome preferiamo non scoprire cosa succede da queste parti, questa volta ci fermiamo a -470

 
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Storia del Pratiglio (2° puntata luglio 2005)

Post n°39 pubblicato il 10 Aprile 2007 da a.benassi

Adesso sappiamo dove andare a piantare il nostro campo sponsorizzato. Il ritorno al pratiglio è d’obbligo, e visto l’adrenalina in circolo dopo il passaggio del sifone decidiamo che è il caso di provare a filmare il tutto, giusto per far vedere a quelli di fuori come si divertono i sifonotti, l’intento di sconvolgere è dichiarato ed evidente. Guido è fresco d’Honduras, a parte tutto ha fatto anche la sua buona figura a Cielo di Pietra, l’idea di svezzarlo al Pratiglio non è così folle. Poi, anche se non dovrebbe, lui si fida. Visto il mezzo affogamento dell’ultima volta però bisogna che entrambe i sifonotti si rinfreschino i concetti base dell’apnea. Sincronizziamo gli orologi, Paolo mette a letto la famiglia completa di suocera, e ci ritroviamo tutti e tre in una notte senza luna sulla spiaggia di nettuno, in tenuta da incursori. La vicinanza con la zona militare aizza l’ardimento. Con la muta, senza la muta, con la maschera, senza la maschera, con la luce,  senza la luce. Capriole, apnee, prove di resistenza e tutte le cazzate che ci vengono in mente. Dopo un paio d’ore passate al largo decidiamo che il training è concluso, che ormai nessun sifone può farci paura. Puntiamo le  flebili lucine della spiaggia ed usciamo dall’acqua tra lo stupore un gruppo intento a fumare canne sotto gli ombrelloni chiusi. Sempre con gli orologi sincronizzati ci separiamo dandoci appuntamento di li ad un paio di giorni alla pizzeria di Fabiola. Il nostro contatto a Supino. A parte la perplessità di guido nel vicolo delle madonne, la discesa procede tranquilla fino allo spogliatoio. Siamo pieni di sacchi dalle forme strane, un paio di bidoncini rimbalzano nel meandro. Dentro telecamera e altre amenità infrangibili conoscono la bellezza dei meandri lepini. Il buon senso l’abbiamo lasciato fuori come l’altra volta, troppo ingombrante e spigoloso, così le prime riprese risentono di una certa follia a tre. La nostra è una chiara e dichiarata azione di commando, siamo in guerra con il sifone, dopo attenta progettazione a tavolino, il programma prevede che il più fesso passi come l’altra volta, e una volta dall’altra parte trovi il modo d’abbassare la soglia per permette un transito decente agli altri. Un ora e molti laghi dopo, siamo nuovamente di fronte al passaggio a nord ovest, questa volta le maschere sono intere. Dopo democratica votazione si decide che sia io a passare per primo, ne sono quasi commosso. Comunque mentre passo abbastanza tranquillo con la maschera, mi domando come m’è venuto in mente di fare la stessa cosa senza. Una volta dall’altra parte il più fesso decide che per allargare bene ha bisogno di altri due fessi. In quanto giovane aspirante sifonotto è la volta di guido, anche perché le sue perplessità stanno aumentando, quindi una gagliarda spinta e via nel sifone. Riemerge con sguardo allucinato, trainato dal canapone, molto contento di essere vivo. A paolo ormai presto poca attenzione, nonostante sia perplesso come la scorsa volta, ormai lui è ben svezzato. Il training al mare ha dato i suoi frutti. Ora che il commando è sul posto si tira fuori la magica pala da scavo di guido e sempre immersi nel putridume si comincia a scavare sulla soglia del saltino. Il latte di monte è più alto di quanto sperassimo, in breve si forma un solco, poi un canale, rapidamente il flusso dell’acqua aumenta, il lago sifone si sta svuotando. In mezz’ora il livello è sceso di 15-20 cm, ormai il passaggio non si riconosce più, la testa è quasi tutta fuori. La vittoria è totale. Ormai il passaggio a nord ovest non esiste più, la via è definitivamente aperta. Decidiamo di fare finalmente le riprese del passaggio. Prima era impensabile da riprendere. Il gruppo si trasforma in troupe e sempre immerso nell’acqua gira  una decina di ciak. Avanti e indietro. La telecamere si trova ad un palmo dal pelo dell’acqua, le luci non sono il massimo e gli attori nonostante tutto quando girano la scena nel sifone non sono ancora così naturali e tranquilli.  Un paio di passaggi avanti e indietro: “…viene meglio con la luce di profilo, ripassa, più lentamente…” finchè Paolo manifesta il suo disappunto con un sonoro “’emò mavete rotto er cazzo!” Prima che il gruppo si ammutini e decida d’affogare il regista, decidiamo d’amore e d’accordo che le riprese per oggi terminano qui. Richiudiamo il tutto nei bidoni spigolosi e lasciamo i sacchi pascolare liberi nel sifone, tanto loro galleggiano. Adesso è il momento di suonare in blues, è il momento di far cantare martelli e piantaspit, è il momento di filare come ragni lungo le corde, è il momento d’esplorare. Rapidi raggiungiamo il pozzo dei sifonauti, l’altra volta mancava poco al fondo, continuiamo a credere nei buoni armi naturali e tocchiamo rapidamente il fondo. L’acqua non molla, un altro paio di saltini e siamo in una stanzetta con due vie. Da una parte l’acqua continua a scendere dall’altra un condotto strettino s’affaccia su un salto asciutto. Guido intanto comincia a dare segni di cedimento strutturale. Sarà l’improvviso calo d’adrenalina, ma decide di fermarsi li. Il posto ovviamente prende ad imperitura memoria il nome di Tomba di Guido, onorevole citazione in riferimento alla Tomba di Loco, altro posto infame nelle fetenti regioni del Khyber Pass nel lontano Marguareis . Scendo rapido nella via dell’acqua, un paio di salti, 15 metri e di fronte si para un bel lago, due bracciate ed è evidente che sifona. Il ramo del sifone morto. La via, era chiaro è l’altra, un bel bypass; il vento non può sbagliare. Passaggio stretto, soprattutto con la muta che s’impiglia ovunque, uscita di testa su saltino da 7, ed siamo appena di fianco al ramo del sifone morto, pochi centimetri di roccia ci separano. Di fronte un altro passaggio basso e stretto, Paolo prova per primo, tira un vento incredibile, scende qualche metro e s’affaccia su un pozzone. Siamo evidentemente oltre le nostre corde. Lasciamo tutto, riprendiamo Guido e al grido di ‘onj ‘onj guadagniamo rapidamente la via del ritorno. Il sifone ormai non fa più paura a nessuno.

 
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Vecchie storie e nuovi pozzi

Post n°38 pubblicato il 08 Aprile 2007 da a.benassi
Foto di a.benassi

Il posto è un po fuori mano, lontano da roma, lontano dalle strade e
quel chilometro di dislivello da farsi fiacca un pò la fantasia,
probabilmente qualcuno c'è anche passato, visto che in paese lo
conoscono bene, anzi si divertono a raccontare di quando c'erano le
scale di pietra che giravano tutto intorno, ti raccontano della neve
che ci raccoglievano... poi magari quando insisti a chiedere come
chiude viene fuori che proprio sotto loro non ci sono mica scesi, che
ci vogliono le corde, ch'è profondo e pericoloso, che le scale erano
vecchie quando loro erano giovani, e forse anche prima. Qualcuno
girando l'avrà pure visto, considerato che si vede anche da
satellite, o almeno dalle foto di google, però che ne sappia io a
catasto da noi non c'è. Bel gioco la speleologia, un tiro di dadi,
qualche ora di cammino e scopri che nel lazio si riescono ancora a
trovare ingressi di questo genere... anzi del genere che descrive il
buon padre Kirker.

"Il paese ha un monte altissimo nelle sue vicinanze, chiamato monte
di Peschio Solido dal quale nella stagione estiva ricavano ghiaccio
per la mensa. Ci accostammo finalmente alla montagna ricchissima di
ghiaccio, che presenta una bizzarra costruzione naturale. Il monte ha
forma di cono rovesciato, nel più basso giro si vede un ampia
apertura, attraverso la quale le piogge e le nevi, come attraverso un
imbuto si scaricano in una grotta profondissima che si estende in
lungo ed in largo ai piedi della montagna. Entrati in essa, la
trovammo piena di cristalli Stirii di mole enorme, che pendevano
dalla volta, e anche al di sotto una tale quantità di ghiaccio da
crederla sufficiente al mercato del ghiaccio e di neve di tutta
l'Italia. Il ghiaccio è limpidissimo come puro cristallo di cui si
riempivano recipienti d'ogni foggia…"

Kirker Athanasius, Latium id est nova et paralleli Lati, tum veteris
tum novi descriptio, Amsterdam, 1671

Forse chiude, i suoi venti metri li fa per forza, poi magari la
galleria che si vede in fondo potrebbe anche decidere di continuare...
e in tutti i casi fa ben sperare per tutti gli ingressi nuovi, aperti
e pronti all'uso che ancora aspettano in giro.

 
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Sifonauti e sifonotti tra il Malaina e la follia (2005 l'inizio della storia)

Post n°37 pubblicato il 04 Aprile 2007 da a.benassi

Noi lo sponsor l’avevamo chiesto per Campo di Caccia, eravamo proprio convinti di finire i nostri giorni risalendo e girando all’infinito da quelle parti. Qualcuno invece ha deciso diversamente. Ottenuta una bella tendina ed una coppia di sacchi a pelo, mancava solo di portarli al porto delle scimmie o in qualche sala tra Elisea e Anthinea per mettere in pratica la vecchia idea del campo itinerante permanente. Poi però c’è venuto un dubbio: e se ormai non ci fosse più nulla da andare a cercare? Le gallerie di Utopia sembravano chiudere, al fondo l’Ultima Speranza era un posto strano e poco chiaro, forse poteva essere più furbo fare prima una bella punta proprio da quelle parti e vedere cosa ne veniva fuori. Non ci mettemmo molto a capire che l’ultima speranza c’aveva preso in giro per un paio d’anni. Breve saluto al solito sifone, lungo giro sospeso su vecchi meandri e monconi di gallerie, ma il risultato è chiaro: non sembra proprio tirare l’aria giusta per superare il Mare di Lidembrouck. Decisione seria e responsabile, disarmiamo tutto fino alla confluenza e ammucchiamo i sacchi al campo ungherese. Una volta fuori la situazione appare drammatica: che razza di campo andiamo a mettere in un posto che ormai pare finito? Allora torna l’idea malsana di quella colorazione andata buca tra l’Ouso del Pratiglio e Campo di Caccia. Tanta fluorescina buttata così e poi neanche un risultato, forse sarebbe il caso di andare a vedere di persona questo famoso fondo soffiante. E così a breve ci ritroviamo con carta e matita a teorizzare sistemi per superare pseudo sifoni. Maurizio parlava di una lama d’aria di un paio di dita, prendiamo le misure, ma il naso proprio non c’entra. Escono fuori deliri da palombaro con improbabile calcoli sulla pressione che un tubo immerso esercita sui polmoni, le possibilità sono molteplici e tutte entusiasmanti: morire avvelenati dalla propria stessa anidride carbonica nel caso di un tubo troppo lungo, vedersi strappare i polmoni fuori dall’acqua nel caso di un tubo troppo profondo, affogare miseramente nel caso di un onda anomala che sommerga la stazione di partenza. E poi come riportare il narghilè al secondo scemo, come essere sicuri di non rimanere bloccati a putridire. Alla fine prevale il buonsenso della vecchia maschera e boccaglio. Inauguriamo così lo snorkeling da sifone. A questo punto si decide di partire equipaggiati: mute, maschera, torce subacque e una buona dotazione di cordame nuovo nuovo appena tornato dall’Honduras. L’altra volta per buttare la fluorescina c’eravamo piacevolmente risparmiati il famoso vicolo delle madonne, ma non ci mettiamo molto a conoscerlo. Mazzetta in mano continuiamo volentieri il lavoro interrotto quasi dieci anni orsono. I meandri dei lepini non sono mai abbastanza larghi. Giunti alla fine dei pozzi il meandro delle Murge si annuncia simpatico con il suo primo lago. E’ ora di tirare fuori le mute e vedere se tutta l’acqua presa in questi anni è servita a qualcosa. Sarà per la novità, ma il meandro sembra pure divertente, con la muta l’acqua è simpatica, i saltini sono piccoli piccoli, quasi comodi. Alla fine il fondo arriva, laghi e laghetti cedono il posto a qualcosa di più alto. Le dita d’aria sono proprio due, il Barbati non aveva esagerato, l’aria invece è proprio tanta, anzi tantissima, da muovere l’acqua e fare onde. Tanto per rendere la decisione più comoda e ragionata siamo immersi fino al collo nell’acqua, che da questo punto di vista non è proprio calda. Neanche un metro dove fermarsi all’asciutto per raccogliere le idee. Ma forse è meglio così, certe cose a pensarle si finisce per non farle, così apriamo i sacchi alla ricerca di maschera tubo e luce; ne escono luce, tubo e due pezzi di maschera. Ottimo. Siamo in fondo a questa fogna stronca-speleo con l’acqua fino alle orecchie e senza maschera. Meglio non pensare, rapida occhiata alla lama d’aria che corre, posti larghi proprio non se ne vedono, però passetto a passetto si può provare. E poi prima lo proviamo e prima ci leviamo dall’acqua in ogni caso. E così che parto con un capo di canapone legato all’imbraco quale improbabile filo d’arianna. Faccia a mollo nell’acqua fresca, cappuccio calato in testa, tubo in bocca tenuto dritto a fare il pelo alla roccia, torcia nell’altra mano. Situazione grottesca e delirante. Uno, due… tre metri, una lama abbassa lo spazio e mi porta con la testa completamente sotto, occhi aperti sul pelo dell’acqua sperando che la cosa non peggiori visto che al ritorno a marcia indietro proprio non ho pensato. Cinque, sei, sette metri, appena meglio, poi una lametta, s’abbassa, ma davanti sembra allargarsi, un altro metro ed è certezza, cammino calmo per evitare che l’acqua sfiori l’imbocco del tubo, un paio di boccate liquide sarebbero abbastanza pericolose in queste condizioni. L’ultimo metro è poi sono fuori, finalmente posso uscire dall’acqua, almeno con la testa, il boccaglio sempre stretto tra i denti e la luce in mano. L’insieme è decisamente raccogliticcio. Urlo a Paolo dall’altra parte per fargli capire che non sono affogato, gli urlo che sono vivo, che sono passato, e che continua. Dall’altra parte risponde con urla degne della situazione. Ci guardiamo da un lato all’altro dello pseudo sifone, visto così non fa neanche troppa paura, certo ad affogarci dentro non ci vuole tanto, però almeno è dritto. Prima di far passare anche l’altro aspirante suicida è bene verificare che proprio prosegue sicuro, dovendo morire affogato credo che a Paolo farebbe piacere spirare sapendo che però prosegue. Slego il canapone d’arianna, lo sistemo su un provvidenziale sperone, e mi aggiro torcia in mano sempre con l’acqua allo stomaco in una fetenzia di meandro galleria, il tubo sempre in mano. E si il tubo è un bel problema, se lo perdi stai sicuro che non torni indietro, quindi è il caso in tutta quest’acqua di trovargli un bel posto sicuro. Spiagge non se ne vedono, quindi lo incastro nella parete confidando nel potere dell’attrito. Dopo una decina di metri il primo saltino, un metro, ma tanto basta per mettersi in piedi ed uscire dall’acqua profonda. Il meandro continua, poi ecco il primo saltino da corda. Torno indietro soddisfatto, adesso tocca traghettare anche l’altro folle. Paolo non è proprio convinto, prima cosa passargli il tubo, come fosse cosa normale lo lego al canapone d’Arianna, sperando che arrivi dall’altro parte. Nonostante si sia separati solo da una decina di metri, sembra di essere sulla soglia di due mondi lontani. Il tubo arriva, poi è la volta del mio casco, tanto per ottenere una luce decente, fortunatamente piezo ed elettrica oggi sono buone. Poi è la volta della torcia da passare a Paolo. Il canapone sembra una teleferica, scorre avanti e indietro traghettando oggetti oltre la linea di non ritorno. Arrivano anche i sacchi con le corde. A questo punto manca solo l’umano. Breve training e ripasso di apnea, poi in caso di affogamento c’è sempre il canapone di sicurezza che dovrebbe permettere un veloce ripescaggio del malconcio. Almeno questa è la teoria. Paolo comincia ad attraversare la linea d’ombra. I primi metri sembrano tranquilli, poi un vago annaspare, rumore di risacca e d’acqua che sciaborda, nel mezzo del fiume rumore di sciacquone e rantoli, c’è solo l’ultima lama tra la salvezza e l’affogamento, alcuni gesti inconsulti propendono per usare il canapone di salvataggio ed accelerare il parto. Il malconcio riemerge con sguardo allucinato e tubo in bocca sputazzando acqua, la prima impressione è quella del gatto idrofobo, poi un paio di boccate d’aria, la sicurezza di non essere morto, la conferma che non siamo nel limbo ma solo nel post sifone, e la situazione psichica si normalizza. Siamo passati, la grotta continua, abbiamo materiale, se usciamo vivi è tutto perfetto. E’ proprio su quest’ultimo passo che Paolo appare turbato. L’idea di rifare il parto acquatico non l’aggrada per niente. Difficile pensare di uscire altrove, e poi passati una volta la seconda è più facile. Il tubo è posizionato gentilmente in un posto sicuro, e si comincia a scendere. Armo veloce, saltino da 6, scivolo inclinato tutto marmitte e fossi, poi il primo pozzo si fa vivo. Armo, traverso, saltino, roccia marcia, ma tanto tiene, scivolo, acqua tanta, armo naturale, e così prende vita il pozzo dei Sifonauti. Le corde sono poche visto che si pensava di andare tutto in piano in galleria, ne abbiamo lasciate parecchie prima del sifone, quindi per la prossima volta c’è pane e companatico. Per oggi è ora d’uscire, vivi e soddisfatti.

 
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