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« INCONTRO-GEMELLAGGIO TRA...MARIA ALBERTA FAGGIOLI SALETTI »

MARIA ALBERTA FAGGIOLI SALETTI

Post n°224 pubblicato il 11 Aprile 2010 da marialberta2004.1
 

Maria Alberta Faggioli Saletti-da spigolature.net

Ludovico Ariosto- Satire, ediz. critica e commentata a c. di Cesare Segre, Einaudi, Torino 1987. 

Le sette Satire, pubblicate postume, furono scritte presumibilmente tra il 1517 e il 1524, ossia nel periodo seguente la prima edizione a stampa dell’Orlando Furioso (1516).

Grazie alla “terza rima” usata dall’Ariosto (la terzina, ABA BCB CDC, ecc.), le Satire in endecasillabi, presentano con garbo e senza enfasi, confessioni, episodi di vita sofferta, suggerimenti morali. La forma epistolare, cioè la presenza di un corrispondente diretto, dà concretezza ed efficacia al tu e all’io, usati dal poeta per infondere un andamento dialogico e confidenziale.

I motivi dei componimenti sono vari: la difesa del proprio rifiuto di seguire in Ungheria il cardinale Ippolito d’Este, e il ricordo dei guai passati mentre è stato al suo servizio, la denuncia dell’adulazione, vizio della corte (Satira I); la partenza per Roma dove l'Ariosto si reca per risolvere i problemi legali connessi al beneficio ecclesiastico di Sant'Agata in Faenza (Satira II); il nuovo lavoro come salariato di Alfonso I d’Este, l’elogio della vita sobria, a casa propria nella propria città (Satira III);  il bilancio del duro lavoro di Governatore del difficile territorio della Garfagnana in nome del duca d’Este, la nostalgia della sua donna, e della scrittura letteraria (Satira IV); i vantaggi e gli svantaggi del prendere moglie (Satira V); una richiesta al letterato-amico Pietro Bembo che gli procuri per il figlio Virginio, studente a Padova, un precettore di greco, raccomandandosi che sia affidabile per dottrina e costumi (Satira VI); il rifiuto della carica di ambasciatore estense presso il papa Clemente VII (Satira VII).

Se il modello, per lo stile di vita, è il grande poeta latino Orazio, inconsueto a quei tempi, lo stile letterario si eleva nei brani autobiografici dove  espressione e linguaggio,  si fanno ancor più incisivi, indignati e risentiti. L’analisi è tanto ampia da costituire, secondo Cesare Segre, il più autorevole studioso delle Satire ariostesche, una “rappresentazione” conforme alla realtà del bene e del male, ad esempio a proposito della corruzione politica e amministrativa dei tempi.

Gli exempla delle Satire: apologhi, favole, aneddoti, novelle

A questa rappresentazione concorrono i famosissimi ed ancora attuali exempla delle Satire: l’apologo dell’asino entrato nel granaio per una fessura, e del topolino che, vedendolo troppo grasso per la comodità del cibo, gli consiglia di cominciare a vomitare, per far calare la pancia e tornare fuori senza rompersi le ossa (Satira I, v. 247); l’apologo sulla pazzia delle “ranocchie” che van cercando a chi scoprire il capo e piegar le “ginocchie” (Satira III. v. 19); la favola (di tradizione fedriana) della gazza, già molto apprezzata dal padrone-pastore, e della grave siccità che, obbligando tutti ad andare lontano dalla terra d’origine, e a scavare un pozzo, fa comprendere al pennuto di doversi trovare, da solo, almeno un rigagnolo, per non morire di sete, dato che, secondo le nuove regole della ristrettezza, resterà dietro gli altri, poiché egli non è parente del pastore e non lo ha aiutato a scavare il pozzo (Satira III, v. 142); la favola degli uomini che vivevano nel fondovalle e volevano la luna, la più bella e più chiara, così corsero in gara sulla cima della montagna, chi con un canestro, chi con un sacco, ma si accorsero di non averla raggiunta, mentre quelli dietro di loro credevano che stessero toccando luna e cielo (Satira III, v. 208); l’aneddoto del veneziano che, dopo aver avuto in dono dal re del Portogallo un eccellente cavallo bèrbero,  per governarlo, usa la stessa tecnica del pilotare le barche (Satira IV, v. 208); la novella licenziosa del pittore (secondo alcuni, Galasso, maestro di Cosmè Tura, il grande pittore ferrarese), e del diavolo riconoscente per essere stato dipinto senza corna né artigli d’uccello al posto dei piedi (Satira V, v. 298); l’aneddoto dello spagnolo che, dopo la confessione, torna dal confessore per dirgli di aver dimenticato un “peccadiglio”, quello di non credere alla Trinità cattolica (Satira VI, v.34); l’apologo della zucca, che divenne tanto alta da coprire le cime del vicino pero, abbandonatosi a un sonno di tre mesi, dopo aver lottato per trent’anni contro afa, venti e gelo. Svegliatosi, il pero chiese alla zucca il suo nome, il luogo dov’era stata interrata e dove si trovasse quand’egli si era addormentato. La pianta, rispondendo alle domande, precisò di essersi spinta a tanta altezza in soli tre mesi, per aver saputo accelerare il passo, ma il pero le anticipò con certezza, che essa, in breve tempo inaridita, sarebbe crollata secca al suolo (Satira VII, v. 70); l’aneddoto di Paolo Emilio, il quale, a chi lo rimproverava di aver ripudiato la bella, ricca e onesta moglie, mostrò il calzare, bello d’aspetto e nuovo, di cui solo lui sapeva dove desse dolore (Satira VII, v. 145).

Nelle Satire, meglio che nelle Commedie, l’Ariosto è riuscito non solo a fissare, come detto, in forma di dialoghi confidenziali, le parole sue e di altri personaggi, storici o immaginari, ma le ha anche rese dei “condensati vocali della memoria o dell’immaginazione” che “hanno la vitalità e la precisione del giudizio acuto del poeta” (L. Ariosto, Satire, cit., p. XI).

Incipit e destinatari

Satira prima, al fratello Alessandro Ariosto e a Ludovico da Bagno, segretario del cardinale Ippolito d'Este:

Io desidero intendere da voi,/ Alessandro fratel, compar mio Bagno,/ s’in corte è ricordanza più di noi….

Satira seconda, al fratello Galasso Ariosto:

Perch’ho molto bisogno, più che voglia,/ d’essere in Roma, or che li cardinali/ a guisa de le serpi mutan spoglia….

Satira terza , al cugino Annibale Malaguzzi:

Poi che, Annibale, intendere vuoi come/ la fo col duca Alfonso, e s’io mi sento/ più grave o men de le mutate some….

Satira quarta, al cugino Sigismondo Malaguzzi, dalla Garfagnana:

il vigesimo giorno di febraio/ chiude oggi l’anno che da quesi monti,/ che danno a’ Toschi il vento di rovaio,/ qui scesi….

Satira quinta, di nuovo al cugino ad Annibale Malaguzzi:

Da tutti li altri amici, Annibale, odo,/ fuor che da te, che sei per pigliar moglie:/ mi duol che ‘l celi a me, che ‘l facci lodo (lodo che tu faccia il matrimonio).

Satira sesta, a Pietro Bembo (amico dell’Ariosto, grande umanista, importante per la “questione” della lingua italiana):

Bembo, io vorrei, come è il commun disìo/ de’ solliciti padri, veder l’arti/ che essaltan l’uom, tutte in Virginio mio.

Satira settima, a Bonaventura Pistofilo, segretario del duca Alfonso I d’Este, elaborata in Garfagnana:

Pistofilo, tu scrivi che, se appresso/ papa Clemente imbasciator del Duca/ per uno anno e per dui voglio esser messo,/ ch’io te ne avisi, acciò che tu conduca/ la pratica;… 

 

 

 
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