Creato da liberemanuele il 26/01/2009

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C'č solo un' unica exit strategy per evitare l'auspicio di Marx.

Post n°68 pubblicato il 14 Novembre 2009 da liberemanuele
 

Ecco il punto della situazione, per ripercorrere le tappe, capirne gli aspetti, fare luce sui termini della crisi economica che stiamo vivendo ben lontani da una solida risoluzione. Una bella rinfrescata per prendere coscienza dei colpevoli e dei pericoli per la nostra libertà e l'identificazione di una via di uscita per evitare ciò che Marx auspicava nel Manifesto del Partito Comunista nel 1848: l'accentramento del credito nelle mani dello Stato.

Banche, governi e fallimento delle economie

Con tutte le misure statali e bancarie l'America ha trasformato la sua economia e sta per cadere in ginocchio nell'inconsapevolezza generale

di Gerardo Coco

Mentre la stampa generalista degli Stati Uniti rassicura sulla ripresa dell'economia, il dibattito fra gli specialisti oscilla tra due opposti scenari: inflazione e deflazione. Per capire le conseguenze che questi fenomeni possono avere sull'economia bisogna avere una concezione chiara del significato del loro termine e della loro genesi. L'inflazione è l'aumento della quantità monetaria in relazione alla quantità dei beni prodotti. Per una lunga tradizione teorica che ha trovato in Milton Friedman il suo più recente e prestigioso interprete, l'inflazione è sempre e dovunque un fenomeno monetario. Se l'offerta di denaro aumenta le persone hanno più denaro da spendere in beni e servizi, ma se l'offerta di questi ultimi non accresce nella stessa misura dell'aumento della quantità di denaro, i prezzi  aumentano e l'unità monetaria si svaluta. L'aumento generale dei prezzi e la perdita del potere d'acquisto sono dunque la conseguenza dell'inflazione. Tuttavia quest'ultima viene definita dai banchieri, dai politici e dalla stampa come aumento generale dei prezzi, cioè in modo tautologico. Questa nozione è fuorviante perché, separando o volendo separare la causa del fenomeno (l'aumento dell'offerta di moneta) dai suoi effetti (l'aumento dei prezzi dei beni) crea la convinzione che l'inflazione sia conseguenza di fenomeni operanti per proprio esclusivo conto come la speculazione, l'irrazionalità del mercato, l'aumento del costo di alcuni prodotti che devono essere contrastati da misure di stabilizzazione e di controllo. Il governatore della Banca Centrale Americana (Fed), Ben Bernanke in un famoso discorso definiva l'inflazione, appunto, come l'evidente inesorabile aumento dell'aumento dei prezzi dei beni e dei servizi. Ma, successivamente, smentiva questa definizione affermando che, per  prevenire una depressione, un governo, in un regime di moneta cartacea, può sempre generare una spesa più elevata e di conseguenza, causare  una esplicita inflazione... perché... il governo dispone di  una tecnologia, chiamata stampa ... per produrre  tutti i dollari di cui ha bisogno praticamente a costo zero. Si può definire l'inflazione con parole più chiare e nello stesso tempo più sfrontate di queste? Bernanke ammetteva che lo Stato ha il potere assoluto e illimitato di contraffare legalmente il denaro.

Per contro, la deflazione è il fenomeno monetario opposto all'inflazione, cioè un processo di contrazione monetaria. Essa è la conseguenza di una precedente orgia inflazionistica e di un eccesso di indebitamento nell'economia. Ma arriva sempre il momento in cui i debiti si devono pagare e gli inevitabili aggiustamenti comportano la liquidazione degli investimenti sbagliati che danno origine, appunto, alla deflazione. Se il processo di aggiustamento dell'economia ritarda, gli effetti della deflazione si trasformano in depressione. La deflazione è la purga "naturale" che l'economia dovrebbe patire dopo un periodo di intossicazione per essere in grado di ripartire da posizioni più sane. La deflazione si traduce in una contrazione della domanda e della spesa provocando una diminuzione del livello generale dei prezzi. Se si lasciasse libero corso a questo processo, esso agirebbe da antidoto alla deflazione permettendo all'economia di risollevarsi. Infatti, la diminuzione temporanea del livello di tutti i prezzi, compresi salari e stipendi, aumentando - al contrario dell'inflazione - il potere d'acquisto del denaro permetterebbe alla diminuita quantità monetaria di sostenere lo stesso livello di spesa della precedente quantità monetaria inflazionata. Tuttavia, come è ben noto, ci sono formidabili ostacoli che si oppongono a questo processo di aggiustamento spontaneo. Non ultimo la fallace definizione della deflazione, intesa come diminuzione generale dei prezzi e dei salari e non, invece, come contrazione monetaria. Infatti, come avviene per l'inflazione, anche nel caso della deflazione, banche centrali e governi confondono la causa con l'effetto. Se è vero che la diminuzione del livello generale dei prezzi è una conseguenza della deflazione cioè di una crisi, è anche vero che essa, di per sé, è indice di produttività e di prosperità economica. La diminuzione dei prezzi è infatti la caratteristica naturale dello sviluppo economico: comportando continui aumenti di produttività, esso crea una maggiore offerta di beni associata a una riduzione di costi e prezzi. Nel XX secolo è stata la diminuzione dei prezzi dei beni, cioè la produttività dell'economia, a permettere a masse crescenti di consumatori di avere accesso a una maggiore quantità di beni e a migliori standard di vita. Tuttavia, banche centrali e governi (identificando la deflazione con la diminuzione dei prezzi e ravvisando in quest'ultima il sintomo di una caduta della domanda e della spesa) la contrastano con politiche monetarie espansive "stabilizzatrici", che hanno come conseguenza il rialzo dei prezzi, e cioè l'inflazione. Questo è il circolo vizioso dell'interventismo che vanifica i benefici dello sviluppo economico trasformandolo in recessione.

La storia economica del XX secolo può essere vista come la storia di due forze contrapposte: l'inflazione monetaria, pianificata dalle banche centrali e dai governi che spinge al rialzo i prezzi distruggendo il potere d'acquisto, e la produttività dell'economia privata che, invece, abbassa costi e prezzi facendo aumentare il potere d'acquisto.

Pertanto ora si possono comprendere tre cose. La prima è che la deflazione non esisterebbe se non ci fosse prima l'inflazione. La seconda è che, con la  fallace definizione dell'inflazione come aumento generale dei prezzi, banchieri e politici cercano di oscurare la sua vera causa: l'aumento artificiale della quantità monetaria, conseguenza del loro interventismo. Ammettere questa definizione sarebbe riconoscere la causa dell'inflazione e dunque essere costretti a rimuoverla. Ma questa decisione comporterebbe una semplice misura: bloccare le politiche monetarie espansive e la spesa pubblica che causano bolle speculative e cicli economici. La terza, meglio approfondita nel prossimo paragrafo, è che l'inflazione è la conseguenza di un processo di contraffazione del denaro.


L'origine dell'inflazione
L'inflazione proviene dall'espansione della base creditizia, che è la componente più importante dell'offerta monetaria, cioè dei mezzi di circolazione: depositi a vista e moneta corrente (banconote e moneta metallica). La tecnica più usata per espandere la base creditizia è rappresentata dalle cosiddette operazioni sul mercato aperto, attraverso cui la Banca Centrale riacquista dalle banche commerciali titoli di Stato già in loro possesso. Lo scopo finale è aumentare la base creditizia per abbassare il tasso di interesse e incentivare gli investimenti. Il controvalore dell'acquisto dei titoli versato sui conti delle banche crea la disponibilità di nuovi depositi a vista sulla cui base le banche possono effettuare nuovi prestiti. Nel momento in cui la banca effettua un nuovo prestito crea nuovo denaro. Ma ogni singolo deposito non dà origine a un solo prestito, ma a un multiplo la cui grandezza dipende dalla frazione di deposito che la banca, per legge, deve trasformare in riserva al fine di far fronte a richieste di immediata liquidità dei depositanti.
Ad esempio, se il deposito è 100 e il rapporto di riserva è pari al 10%, la banca può prestare 90 perché 10 vanno destinati a riserva. Tuttavia poiché i soggetti economici spendono e depositano denaro in continuazione, il prestito originario di 90 dà origine ad un altro deposito e quindi ad un altro prestito di 81 che è 90 meno 10% di riserva. A propria volta, il deposito di 81 dà origine ad un nuovo prestito diminuito della riserva e così via fino ad esaurimento dei riprestati, il cui limite espansivo è 1000 e che si ottiene moltiplicando il deposito originario di 100 per il reciproco del coefficiente di riserva pari 1/0,10. Il ciclo della crescita si completa appunto quando i depositi raggiungono 1000 rimanendo le riserve al 10%, cioè a 100. Un singolo deposito è dunque la base per decuplicare il denaro in circolazione. Ma il denaro complessivamente creato è in realtà molto di più. Infatti, il ciclo di deposti schematizzato nell'esempio va a sommarsi ad un altro identico ciclo, generato in precedenza dall'acquisto da parte della banca centrale del titolo originario di 100 emesso dallo Stato per finanziare la spesa pubblica e che poi è servito per effettuare l'operazione di mercato aperto. Sommando i due cicli di depositi o ripresti, la massa monetaria è aumentata non di 10 ma di 20 volte, cioè il denaro creato è stato di 2000 a fronte di un singolo deposito di 100. Questa metodologia di moltiplicazione del denaro si chiama sistema di riserva frazionaria, perché la crescita dei depositi è un multiplo della loro riserva. Se la banca centrale, invece di espandere, volesse ridurre il denaro in circolazione dovrebbe fare l'operazione opposta, cioè vendere titoli alle banche in cambio di denaro, riducendo così i loro depositi da destinare al prestito. Questa è l'essenza della politica monetaria: espandere e contrarre la massa monetaria e, in corrispondenza, abbassare o alzare rispettivamente il tasso di interesse.

Ma la domanda a questo punto è: con quale denaro la banca centrale ha pagato originariamente allo Stato l'acquisto del suo titolo per permettergli di effettuare la spesa pubblica?
Il denaro proviene forse da risparmio, cioè da potere d'acquisto reale precedentemente creato nel corso di qualche processo produttivo?  No, la Banca lo crea arbitrariamente, iscrivendo simultaneamente nell'attivo del proprio bilancio l'acquisto del titolo e, nel passivo, il credito a favore dello Stato, che così può emettere assegni e spendendo può esercitare un potere d'acquisto extra e fittizio che diluisce tutto il potere d'acquisto preesistente a spese dei soggetti economici privati. Così tutto il denaro che è stato creato è fittizio perché, sostanzialmente, la banca e lo Stato si scambiano pezzi di carta che avranno un tremendo impatto sull'economia: la costruzione "piramidale" dell'inflazione. In generale, quando le banche prestano denaro ai privati o allo Stato, non riprestano denaro già esistente che la gente ha risparmiato facendo sacrifici, come si crede. Esse concedono prestiti creando all'istante i depositi sui loro conti correnti. Quando si usa l'espressione stampare denaro ci si riferisce proprio a questo processo, che oggi con un termine propagandistico ed elegante come quantitative easing e altro non è che un gigantesco schema inflazionistico basato sulla contraffazione legale del denaro. Questa è la conseguenza del monopolio dell'emissione del denaro da parte delle Banche Centrali. Essendo le politiche monetarie e economiche inseparabili, lo Stato e il sistema bancario hanno bisogno l'uno dell'altro per crescere e pertanto la conclamata indipendenza dall'istituto di emissione dal potere politico è una semplice finzione istituzionale.

Il programma inflazionistico americano
Tutto quanto è stato detto può forse aiutare a comprendere la situazione dell'economia americana e a pronosticarne l'evoluzione.

La housing bubble americana del 2008 è stata la conseguenza di un'espansione inflazionistica del credito innescata dalla meccanica sopra descritta (naturalmente con cifre di dodici zeri, essendo ormai il trilione l'unità di misura delle manovre monetarie inflazionistiche). Per evitare lo sviluppo dei casi di insolvenza causati dall'eccessivo indebitamento, la Fed ha imposto una severa stretta del credito, che ha innescato la deflazione, e cioè la contrazione monetaria: con il suo corollario di fallimenti, calo dell'attività produttiva e del volume della spesa dei consumi, riduzione dell'occupazione. Da quel momento si è parlato erroneamente di crisi del credito e si è diffusa la convinzione che ciò di cui l'economia avesse bisogno era soltanto credito. In realtà la crisi era ed è rimasta una crisi del debito. Per contrastare la recessione il governo federale e la Fed hanno adottato misure di salvataggi aziendali e di antirecessione come il Recovery and Reinvestment Act (2009), un pacchetto di spesa di circa 800 miliardi di dollari che, lungi da includere iniziative per aumentare la capacità produttiva dell'economia, è stato destinato alla creazione di nuovo debito: finanziando sanità, assistenza sociale, formazione, energia. Non appena questa spesa sarà amplificata dal meccanismo di riserva frazionaria sopra descritto, essa si tradurrà in pura inflazione, perché un'economia in calo non può assorbire gli effetti inflazionistici di una spesa pubblica in crescita. Alla fine di ogni ciclo di spesa, gli incrementi registrati dal PIL rispecchieranno solo l'espansione monetaria, mentre il loro vero significato economico sarà l'ulteriore contrazione dell'economia privata.

Siccome questo pacchetto non ha prodotto gli esiti sperati di rilancio, il governo si prepara ad approvare altri pacchetti che andranno ad alimentare ancor più il debito pubblico e a creare nuova inflazione.

Per quanto riguarda le misure strettamente monetarie, per evitare il fallimento delle banche la Fed ha scambiato i suoi titoli del Tesoro con i titoli tossici delle banche, riversandoli nell'attivo del proprio bilancio. Il bilancio delle banche è migliorato, ma quello della Banca Centrale è peggiorato. Si osservi che se è solido il bilancio di una banca centrale è solido anche l'intero sistema finanziario così come la sua valuta. Tutta la base monetaria di un paese è infatti inscritta al passivo del bilancio della banca centrale e se l'attivo si deteriora, si deteriora anche il potere d'acquisto della valuta tanto all'interno del Paese come all'esterno, rispetto alle altre valute. Il primo problema della Fed è stato dunque come risanare il proprio bilancio senza privare di liquidità il sistema finanziario. All'insieme di questi tentativi è stato dato il nome di exit strategy. Fra questi tentativi, uno è stato estremamente grave: contravvenendo al suo statuto la Fed ha salvato anche istituzioni finanziarie non bancarie tecnicamente fallite, erogando loro prestiti sempre contro garanzia di titoli tossici, oppure rilevando azioni di aziende insolventi e perseguendo, insomma, una "politica industriale" senza precedenti. Il Giappone, a partire dal 1990, fece lo stesso e condannò la propria economia a una stagnazione permanente.

Poiché la sola politica di acquisti di titoli e partecipazioni non era sufficiente a salvare il sistema bancario, la Fed si è inventata ulteriori programmi di credito, prestando denaro a istituzioni bancarie e non bancarie contro "carta commerciale": praticamente cambiali senza garanzie reali e altri strumenti finanziari che ne hanno ulteriormente peggiorato il bilancio senza peraltro riattivare il mercato del credito. Infatti, la politica di riduzione dei tassi di interesse praticamente a zero non incentiva le banche a offrire credito alla clientela privata. I depositi che le banche detengono presso la Fed, cioè le loro riserve (in sostanza, i prestiti non garantiti), sono ora retribuiti dalla stessa Fed con un interesse superiore a quello che le banche otterrebbero prestando denaro alla clientela e quindi rischiando qualcosa. D'altra parte, tassi bassi non richiamano dall'estero credito sotto forma di capitale, né incentivano, all'interno, la formazione di capitale sotto forma di risparmio necessario a fare ripartire l'economia.

Questa, per sommi capi, è stata la politica della Fed: artifici contabili che farebbero approdare una normale banca in tribunale mentre la massa monetaria degli Stati Uniti è raddoppiata in meno di un anno, un fatto senza precedenti nella storia di questo paese. Intanto l'economia è in declino. Speriamo che gli economisti capiscano, finalmente, che la moltiplicazione del denaro in un'economia non porta automaticamente alla moltiplicazione dei beni, ma alla loro eliminazione. Alcuni commentatori sostengono che l'attuale ritrosia delle banche a erogare il credito creato ex nihilo dalla Fed potrebbe far riprendere la deflazione, la quale obbligherebbe i soggetti economici a svendere i propri attivi per fare cassa, licenziare o fallire, portando l'economia alla depressione. Altri paventano il contrario: la Fed e il governo federale, considerata l'infruttuosità di tutti i tentativi finora compiuti, potrebbero varare altre misure di stimolo stampando e spendendo denaro senza limiti. Nel momento in cui le banche riprendessero a erogare credito si scatenerebbe una iperinflazione. Intanto la "produzione industriale" di dollari da parte della Fed viene comprata dai paesi in cambio di beni reali, come ad esempio fa la Cina, che ripresta questi stessi dollari al governo federale dopo che questi li traveste da titoli. Ma fino a quando le economie potranno funzionare scambiando "carta" con prodotti? Fino a quando un'economia può indebitarsi più di quanto possa produrre?

Conclusione
La ripresa americana è un miraggio mentre sono stati creati tutti i presupposti per una depressione inflazionistica. L'America del dilettante Obama e del Mefistofele dell'inflazione, Ben Bernanke, ha perseguito la politica di John Law, il finanziere scozzese del Settecento che, credendo bastasse stampare moneta fiduciaria (cioè cartacea) per dare una solida base finanziaria ai Paesi, distrusse l'economia francese. Ironia della sorte, la Fed, il salvatore di ultima istanza, è tecnicamente fallita.

Se si verificasse un default, solo il governo federale potrebbe salvarla e cosi si compirebbe quel destino che Marx aveva auspicato nel Manifesto del Partito Comunista del 1848: l'accentramento del credito in mano dello Stato mediante una banca nazionale con capitale dello Stato e monopolio esclusivo. Così si vedrebbero anche realizzate le dottrine di Oscar R. Lange, Abba Lerner e H.D. Dickinson, gli economisti socialisti che insegnavano economia negli Stati Uniti durante gli anni Trenta del secolo scorso e sostenevano che gli investimenti di capitale dovessero essere determinati da funzionari di Stato piuttosto che dal mercato.

Non è forse quello che sta già accadendo?

Con tutte le misure statali e bancarie l'America ha trasformato la sua economia e sta per cadere in ginocchio nell'inconsapevolezza generale. C'è solo una vera e unica exit strategy da applicare prima che ciò accada. Restituire l'economia al suo legittimo proprietario: il mercato.

 

 
 
 
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