Creato da liberemanuele il 26/01/2009

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ordine spontaneo vs ingegneria sociale

 

 

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L’irresponsabilità del mito della “gente comune” e l’assurda “decrescita dolce”.

Post n°12 pubblicato il 03 Marzo 2009 da liberemanuele
 

"... l'effetto stressante della civiltà: è disagio a conseguenza del collasso della civiltà chiusa. Lo stress prodotto dallo sforzo che la vita in una società aperta e parzialmente astratta richiede continuamente da noi, con l'esigenza di essere razionali, di rinunziare ad alcuni almeno dei nostri bisogni sociali emozionali, badare a noi stessi e di accettare la responsabilità". Karl R. Popper


Ormai è parte del linguaggio politico, l'uso-abuso del richiamo alla gente comune: "ma tanto alla gente questo non interessa!"; "perché la gente si è rotta le scatole della politica, la gente vuole questo e quello!". Questo tipo di esercizio retorico evidenzia una debolezza culturale della politica, che non sapendo più che pesci pigliare, si attacca alle esigenze elementari e istintive dell'uomo della strada per poter aver qualcosa da proporre. Peggio, legittimata dalla "volontà generale", può arrogarsi qualsiasi tipo di nefandezze. La nostra cronaca politica non manca di darcene prova quotidiana.

Ma non a caso ho usato "volontà generale", concetto introdotto da Rousseau, ispirato a ideali collettivistici e romantici, ma che ha intrinseco passioni riprovevoli (il nazionalismo principio di razzismo). Infatti per Rousseau il popolo, riconosciuta una volontà, doveva elevarla a super-personalità: nel rapporto con lo straniero, esso diventa uno solo, un individuo. Questa "volontà generale" è concetto pericoloso per le potenzialità nefaste che porta.

Chiunque può nascondersi dietro di essa e giustificare le peggiori proposte o evitare riforme necessarie ad un ordinamento democratico. Le ronde di matrice leghista, oggi previste per legge, sono il frutto di questo accresciuto imbarbarimento della proposta politica. La crisi economica che stiamo vivendo, aumenta quel disagio, che Popper direbbe dovuto allo stress della civiltà aperta, è lo esaspera. Allora quella "volontà generale" diventa sempre più "individuo", nella condivisione di intenti, in quel rispolverato "buon senso" della "società chiusa", in quel rifiuto sempre più legittimato dei principi astratti - quali libertà, uguaglianza, umanitarismo -  della "società aperta". Ci si riscopre pragmatici, pronti a voltare pagina in senso opposto: per tornare indietro. Il sindaco di Roma già propone la svolta col coprifuoco del cornetto: niente più fragranti brioche dopo l'una di notte. Oppure si riscopre la caccia anche per i sedicenni: così vanno a letto presto.

Mi sembra molto attuale la descrizione che Benedetto Croce faceva della stagione italiana delle leggi razziali: " ... ciò che mi opprime veramente è la condizione generale degli spiriti in Italia e fuori d'Italia, le malvagità e la stupidità in cui siamo immersi e quasi sommersi ...". 

Questo ritorno a una concezione tribale della società, trova la sua fonte primaria nella "volontà" della gente comune.

 Negozianti sempre più pronti all'uso della pistola - nonostante quello all'autodifesa è discorso a se stante e che meriterebbe una sua trattazione, una diffusa intolleranza allo straniero, il fenomeno di un esasperata pubblicità al Made in Italy e al comprare italiano, un riscoperto anti-cosmopolitismo, l'insofferenza dell'economia nazionale alla competizione e alla concorrenza, forme di assistenzialismo sempre più esasperato. Senza contare che oramai si può prendere qualsiasi tipo di provvedimento e nascondersi dietro il solito: "è la gente che lo vuole!".

La "decrescita dolce".

Nel fronte opposto prendono il sopravvento i pionieri della "decrescita dolce", una trattazione sicuramente più sofisticata del problema politico, ma non meno assurda. Il tema cruciale è uno: l'arricchimento e il sistema che abbiamo adottato fin'ora è insostenibile, bisogna cambiarlo e decrescere. In parte ne ho già parlato nel post precedente, per quanto riguarda le tematiche energetiche. Qui voglio accennare alla questione morale che porta con se la critica al sistema economico odierno.

Innanzi tutto, la prima obiezione che muovo contro i paladini della "decrescita" è che le cause umanitarie le sostengono solo le società ricche. Quello che viviamo oggi è un periodo in gran parte felice, perché possiamo permetterci di dedicare relativamente poco tempo al lavoro, godiamo di una diffusa cultura del tempo libero e abbiamo le risorse per pensare al nostro prossimo.

Si dice che la competizione propria del capitalismo, abbia ridotto i nostri rapporti personali a meri rapporti di forza.

Voglio qui ricordare che, l'autore della "Ricchezza delle nazioni" e padre del liberalismo economico, Adam Smith, si è posto il problema, cruciale nel suo pensiero, dell'allocazione di quei principi umanitari e morali come la simpatia, la benevolenza e l'amore di se.

"Per quanto l'uomo possa essere supposto egoista, vi sono evidentemente alcuni principi nella sua natura che lo inducono a interessarsi della sorte altrui e gli rendono necessaria l'altrui felicità, sebbene egli non ne ricavi alcunché, eccetto il piacere di constatarla".

Il liberalismo economico riconosce un ruolo ben importante al umanitarismo - in gran parte scisso dalla Stato e dal suo ruolo, in quanto concepisce l'economia non riducibile a numeri, ma come quell'insieme che è "l'azione umana" (titolo di uno dei testi di riferimento della Scuola Austriaca di Economia, scritto da Ludwing von Mises).

I rapporti di forza fanno parte semmai di ben altra scuola di pensiero, quella che si richiama a nomi echeggianti, come Platone ed Hegel: che facevano passare l'affermazione di se sulla pelle degli altri, che per natura o capacità non meritavano, arrivando alla teorizzazione della schiavitù. Ma questo è bagaglio culturale di ben altre matrice, profondamente illiberale, a cui si ascrive quella parte di società che crede, e oggi con rinnovato vigore, nella verticalità dei rapporti, che gode nel permettere le cose dall'alto del suo potere, che si esprime in un indecifrabile non senso fatto di paroloni e concetti a sproposito e che si atteggia ad alta autorità.


In molta parte faccio riferimento al pensiero e l'opera di Karl Popper, mi si può accusare di poca originalità, ma non è mia la presunzione di offrire qualcosa di nuovo, più modestamente voglio solo  proporre una chiave di letture dell'attualità politica.



 

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