Post n°55 pubblicato il 26 Ottobre 2013 da psico_crazia
"Immagina la mia storia come quella di una ferrovia. Un taglio dentro la terra e un desiderio a cui non sapevo dare nome. Immagina il movimento del treno che si accorda al mio respiro. Avrei potuto continuare a viaggiare all'infinito, senza scendere mai.
E ricordati sempre che tutte le coincidenze hanno un'anima.
Come quando vicino al fiume, quella sera in cui la luna illuminava la campagna, lei, col suo passo stentato, incerto, sull'argine si sciolse i capelli. Mi lanciò il bastone e rimase su una gamba sola, come una cicogna. Cominciò a volteggiare, facendo leva soltanto sulle braccia e sull'unica gamba, e poi si tuffò nell'aria. Per pochi minuti si trasformò in un pesce che guizzava sulla superficie delle cose, in un essere senza peso che danzava sulla luce e attraverso le ombre. Era tutto quello che non mi aspettavo di vedere, un'anomalia, una disubbidienza, la nota più alta di un violino. Il desiderio di chi torna ad essere se stesso da un'altra parte del mondo, su un altro fiume. Avrei voluto scendere su quella riva e mettermi a ballare anche io, ma non ho mai imparato ad ammaestrare le storture, i danni, il rimpianto. Il fiato mi incatenava al luogo da cui osservavo la scena. Ma la sua ribellione mi faceva bene, un po' di quella gioia mi ricadeva addosso come una medicina, strappava le funi che ci legano a terra."
Anche a me ha fatto bene questo gioco visionario, dove la vita vera chiede in prestito a quella fantastica gli elementi per sostanziarsi di significato.
Mi ha fatto bene come quando, nei primi anni '70, guardavo le ultime scene in bianco e nero di un vagabondo che se ne va da solo per una strada di campagna, dondolando le spalle, e andavo a dormire col sorriso, rinfrancato nei miei desideri di bambino.