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Come valutare l'efficienza delle organizzazioni umanitarie. L'ultimo lavoro di Peter Singer

Post n°21 pubblicato il 19 Maggio 2010 da ltedesco1

Alberto Mingardi sulle pagine dell'inserto culturale del Sole 24 Ore del 9 maggio scorso, recensendo il recente La carità che uccide (Milano, Rizzoli) di Dambisa Moyo, sottolineava come gli aiuti delle varie agenzie internazionali si siano dimostrati incapaci di attivare nel tempo meccanismi di sviluppo nei Paesi beneficiari. Il volume della global economist, originaria dello Zambia, offre allora l'occasione per richiamare l'attenzione sull'ultimo lavoro del filosofo australiano Peter Singer, Salvare una vita si può. Agire ora per cancellare la povertà (Milano, Il Saggiatore), passato abbastanza in sordina dalle nostre parti. La prospettiva da cui muove Singer è diversa da quella di Moyo; essa, infatti, non è diretta a promuovere la crescita economica e fa propria la risposta caustica che Bill Gates diede al Forum economico mondiale del 2007 all'economista William Easterly, insofferente nei confronti della politica degli aiuti, giudicata incapace di incrementare il Pil africano:<<non prometto - disse allora il fondatore della Miscrosoft - che salvando un bambino aumenti il prodotto interno lordo. Credo che la vita in sé sia un valore>> (p. 118).

D'altronde lo stesso Singer riconosce che per aumentare la ricchezza dei Paesi poveri sarebbe utilissimo eliminare barriere commerciali e sussidi che Europa e Stati Uniti concedono a piene mani alla propria agricoltura come anche definire quadri giuridici certi. Riecheggiando quanto sostenuto tra gli altri da Hernando de Soto (seppur non citato) nel suo celebre e discusso Il mistero del capitale (Milano, Garzanti), ai fini della promozione dello sviluppo economico non possono essere sottovalutati per Singer <<l'importanza di istituzioni e norme valide, quali il principio di legalità, la protezione della proprietà privata, un governo efficace, convenzioni sociali che promuovano un clima di fiducia, il diritto a un'istruzione di qualità per tutti, e un basso livello di tolleranza della corruzione>> (pp. 118-9). Singer aggiunge però che la capacità del singolo individuo del ricco Occidente di modificare assetti istituzionali e strategie commerciali statali, poste a presidio di interessi agguerriti e influenti, è pressoché nulla. Il singolo, viceversa, può ben disporre che parte del proprio reddito sia destinato ad aiuti. Se è vero, poi, che alcuni studi hanno mostrato come nei Paesi destinatari la politica degli aiuti abbia frenato la crescita delle industrie ad alta intensità di manodopera e di quelle volte all'esportazione, altri hanno invece chiarito che a partire dagli anni Novanta questo nesso si sia rivelato sempre più debole. In alcuni casi, poi, come in Mozambico, Botswana e Uganda, gli aiuti internazionali sono stati accompagnati da incrementi notevoli del tasso di crescita economica reale procapite (ma lo stesso Singer non si spinge a indicare un rapporto di causa-effetto).

Ma, e questa considerazione rivela una sensibilità affine a quella di Moyo, anche Singer non risparmia critiche nei confronti di istituti internazionali, quali Banca mondiale e Fondo monetario internazionale, e delle stesse Nazioni Unite le cui azioni sarebbero caratterizzate <<da ambizioni troppo elevate, dall'abitudine a pianificare al vertice senza sapere quanto accade ai livelli inferiori e da una mancanza di senso di responsabilità (p. 113) nonché da interferenze politiche e pesantezze burocratiche. Cosa può fare allora la singola persona? Donare risorse alle organizzazioni non governative, suggerisce Singer. Già, ma quali? L'agenzia americana di rating Charity Navigator, fondata nel 2001, è tra le più famose nella valutazione delle performance delle organizzazioni umanitarie. Nel suo sito (www. charitynavigator.org) è pubblicata la classifica delle agenzie che hanno il peggior rapporto tra spese amministrative e denaro raccolto. Nel 2007 nasce poi Give Well, agenzia senza fini di lucro finalizzata a monitorare trasparenza ed efficacia delle associazioni umanitarie, che ha pubblicato nello stesso anno gli esiti delle indagini effettuate sulle organizzazioni di beneficenza impegnate a incrementare le condizioni di salute delle popolazioni africane. I loro fondatori, Holden Karnofsky ed Elie Hassenfeld, scelsero nel 2006 di destinare parte dei propri guadagni in beneficenza ma, da strapagati consulenti finanziari di un fondo hedge del Connecticut quali erano, come non avrebbero mai <<investito in una società senza disporre di informazioni dettagliate sulle capacità di questa società di realizzare i propri obiettivi>>, allo stesso modo, forse per deformazione professionale, decisero che anche nel settore degli aiuti dovesse essere praticata la via dell'allocazione ottimale delle risorse, via che anche Singer suggerisce caldamente al proprio lettore.

 

Luca Tedesco

 

 
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