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« Gli orti di Pannella e i...Quel che i dati Istat no... »

Il welfare sussidiario di Treu e quello 'lenitivo' di Ernesto Rossi

Post n°23 pubblicato il 27 Giugno 2010 da ltedesco1

Il dibattito sul cosiddetto welfare sussidiario, avviato da qualche giorno sulle pagine del «Corriere della Sera», ha il merito indubbio di dare una fisionomia meno confusa e nebulosa alla oramai quasi da tutti invocata, sotto i fendenti della crisi economico-finanziaria, economia sociale di mercato. Mauro Ceruti e Tiziano Treu, in particolare, hanno sostenuto che l'attribuzione dell'aggettivo sociale all'economia comporta che questa non possa «essere lasciata solo al mercato, e neppure che i contenuti sociali possano intervenire solo dopo che l'economia abbia fatto il suo corso, secondo logiche indifferenti ai risultati sociali» («Corriere della Sera» del 20 giugno scorso). Per potersi fregiare del titolo di sociale, quindi, alla politica economica non sarebbe sufficiente «regolare gli eccessi della finanza o intervenire nei casi di fallimento del mercato accertati ex post, quando i guasti si sono già prodotti e si può solo indennizzare le vittime sociali con un welfare risarcitorio». Welfare ex post o welfare risarcitorio; ecco, queste ci sembrano due categorie analiticamente limpide e utili per misurare la distanza dell'impostazione appena illustrata da quella più marcatamente liberista e che resiste in settori, seppure numericamente marginali, del nostro panorama politico. Se si sfogliano, ad esempio, le relazioni del congresso del 2009 dei Radicali italiani, tra le ultime nobili 'ridotte' liberiste del nostro Paese, come anche le proposte di legge da essi presentati nella passata legislatura, si constata agevolmente come il welfare universalistico prospettato dai radicali, che si ispira al welfare to work e si traduce in ammortizzatori sociali generalizzati e in misure per reinserire nel mercato del lavoro i lavoratori disoccupati, proprio all'idea di uno Stato sociale risarcitorio si affida. Come dire; si lasci al mercato la più ampia libertà d'azione, si permetta pure che esso distrugga ciò che è economicamente obsoleto, inefficiente e dissipatore di ricchezza, consentendogli di convogliare quest'ultima verso lidi più promettenti e redditizi. Solo dopo la salutare scossa tellurica, si intervenga, infine, per prestare soccorso a tutti i terremotati, e non solo alcuni, e per avviarli ad occupazioni meno fragili e incerte.

Questo welfare ex post, d'altronde, a testimonianza della coerenza del percorso liberista dei radicali, era stato già formulato da uno dei fondatori del partito di Pannella, quell'Ernesto Rossi che già sul «Mondo» del dicembre del 1953 denunciava:«il dinamismo economico ha un costo, rappresentato dalle sofferenze provocate dalla svalutazione degli impianti e delle capacità professionali, che non servono più o servono meno di prima, in conseguenza del passaggio dai vecchi ai nuovi equilibri. Ma rifiutarsi di pagare questo prezzo significa rinunciare al progresso. Quello che si può e si deve fare è lenire le sofferenze dei gruppi particolarmente colpiti dal dinamismo economico, ripartendone il costo su tutta la collettività che ricava vantaggio dall'aumento del reddito nazionale». Un welfare, per l'appunto, verrebbe da dire, e senza alcuna ironia, 'lenitivo'.

Luca Tedesco

 

 

 
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