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Quando i siciliani sfidavano gli alligatori…

Post n°72 pubblicato il 16 Agosto 2015 da ltedesco1

Sul ‘Domenicale’ del 9 agosto 2015, a p. 25, Raffaele Liucci recensisce Storia vera e terribile tra Sicilia e America (Palermo, Sellerio) di Enrico Deaglio.

Nella recensione leggiamo come, nella Louisiana in cui nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, per rimpiazzare gli schiavi neri, emigrarono circa centomila siciliani, questi fossero «accolti al grido di “andate a casa” o “assassini”». Perché allora i siciliani partirono alla volta di terre dove avrebbero incontrato «zanzare, paludi, alligatori, febbre gialla, alluvioni […] e violenza, tanta violenza»?

Si potrebbe rispondere che non lo sapevano che avrebbero fatto la conoscenza degli alligatori e del resto o forse, insieme a Lucci e Deaglio, convenire con quanto osservava un ex schiavo afro-americano, Booker Taliaferro Washington, e cioè che «la condizione del contadino di colore nelle parti più arretrate degli Usa è incomparabilmente migliore delle condizioni e delle opportunità offerte alla popolazione agricola della Sicilia».

Per le stesse ragioni, conclude Liucci, «oggi come ieri, è impossibile convincere un emigrante a restarsene a “casa” propria».

 

Luca Tedesco

 
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Hitler è stato un uomo o un cammello? Il male assoluto non può invecchiare e circondarsi di un fox terrier

Post n°70 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da ltedesco1

«Troppo umano»; è questa l’accusa mossa a un’opera artistica rea di aver ritratto un Hitler stanco, pieno di acciacchi e che quindi potrebbe ispirare compassione nel pubblico. Si tratta del romanzo Sirius di Jonathan Crown (pseudonimo dietro cui si cela il giornalista tedesco Christian Kämmerling), uscito quest’estate in Inghilterra, Francia, Olanda e Spagna. Questa accusa non è nuova. «Troppo umano» giudicò ad esempio Wim Wenders La caduta – Gli ultimi giorni di Hitler di Olivier Hirschbiegel, del 2004, in cui si sarebbe indugiato eccessivamente sui tremiti parkinsoniani di un dittatore oramai spossato e sfibrato.

«E come avrei dovuto rappresentarlo Hitler? Come un cammello o un elefante?», ha risposto ai suoi critici l’autore del fantaromanzo, facendo propria una celebre battuta del critico letterario tedesco Marcel Reich-Ranicki, una battuta caustica, sferzante, alla- potremmo dire in questi giorni- Charlie Hebdo.

Se per gli Ḥadīth il Profeta non può neanche essere ritratto, per il buon cittadino democratico, a prescindere dalla sua confessione religiosa, Hitler può essere sì ritratto, ma solo nelle fattezze di un cammello o di un elefante. Un Hitler bipede, insomma, non è accettabile. Perché questo atteggiamento? Forse perché, ma questa è solo una delle possibile spiegazioni, Hitler e il suo sistema criminale sono scomparsi con la guerra. Quest’ultimo non ha avuto quindi la possibilità di riformarsi.  Ciò non ha potuto che favorire una lettura demonologica di Hitler e della sua creatura. Hitler e il nazismo diventano tra le due guerre il male assoluto e nella guerra muoiono come male assoluto.In verità, c’è chi ha provato ad immaginare l’evoluzione della storia mondiale con un Hitler vittorioso. Robert Harris, nel suo Fatherland, del 1992, disegna un’Europa nazificata contrapposta all’alleanza russo-statunitense.  Siamo nell’aprile 1964 ed è proprio Hitler, e non Krusciov, a tentare la carta della distensione tra i blocchi invitando il Presidente Kennedy a Berlino.Certo, Harris non si arrischia a disegnare scenari di riforma del sistema nazista ma in una prospettiva ucronica, di storia alternativa, perché non ipotizzare, in una Germania nazista e vittoriosa nella seconda guerra mondiale, un Krusciov tedesco e nazista-revisionista che di Hitler denuncia culto della personalità, eliminazione fisica degli avversari, campi di sterminio e avvia un processo di dehitlerizzazione?Perché non immaginare un Gorbaciov tedesco, segretario del Partito nazionalsocialista ma nella sostanza postnazista che avvia nel proprio Paese glasnost, perestrojka e la distensione con Reagan?Se questi scenari si fossero verificati, la rappresentazione del nazismo come male assoluto si sarebbe probabilmente affievolita e questo processo avrebbe altrettanto probabilmente incrinato l’interpretazione satanica del suo fondatore.Nessuno si scandalizzerebbe, presumo, se si raffigurasse uno Stalin che accarezza amorevolmente un fox terrier, il Sirius dell’omonimo romanzo.Di più, a nessuno verrebbe in mente di dire che il dittatore sovietico non fu un uomo  ma un cammello, anzi un elefante.

Luca Tedesco

 
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Nelle urne livornesi ha vinto Kant

Post n°69 pubblicato il 22 Giugno 2014 da ltedesco1
 
Tag: Kant, Livorno, Pd

Alcuni avranno ravvisato nella débâcle del Pd in quella Livorno che diede i natali al Partito comunista d’Italia dei Bordiga, Gramsci, Terracini e Togliatti l’ennesima conferma della consunzione definitiva di culture politiche, legami comunitari, riti identitari e parole d’ordine portatrici di senso. Magari rammaricandosene.

A noi piace pensare, invece, che i livornesi che nelle urne hanno rifiutato di dare il proprio voto al PCd’I-Pci-Pds-Ds-Pd (che governava la città ininterrottamente dal secondo dopoguerra) non lo abbiano fatto per spregio nei confronti dei Padri della Patria, del nonno o bisnonno partigiano, di Bella Ciao o della Costituzione più bella del mondo, ma perché, seppure inconsapevolmente, hanno dato alla domanda su cosa sia l’illuminismo la stessa risposta che diede Immanuel Kant nel 1874.

In quell’anno, infatti, il filosofo tedesco nel suo Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? (per l’appunto Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?) così scriveva:

l’illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a sé stessi è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza esser guidati da un altro. […] E’ tanto comodo essere minorenni! Se ho un libro che pensa per me, un direttore spirituale che ha coscienza per me, un medico che decide per me sulla dieta che mi conviene, ecc., io non ho più bisogno di darmi pensiero per me. Purché io sia in grado di pagare, non ho bisogno di pensare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione. A far sì che la stragrande maggioranza degli uomini (e con essi tutto il bel sesso) ritenga il passaggio allo stato di maggiorità, oltreché difficile, anche molto pericoloso, provvedono già quei tutori che si sono assunti con tanta benevolenza l’alta sorveglianza sopra costoro. Dopo averli in un primo tempo instupiditi come fossero animali domestici e aver accuratamente impedito che queste pacifiche creature osassero muovere un passo fuori del girello da bambini in cui le hanno imprigionate, in un secondo tempo mostrano ad esse il pericolo che le minaccia qualora tentassero di camminare da sole. Ora questo pericolo non è poi così grande come loro si fa credere, poiché a prezzo di qualche caduta essi alla fine imparerebbero a camminare: ma un esempio di questo genere rende comunque paurosi e di solito distoglie la gente da ogni ulteriore tentativo. È dunque difficile per ogni singolo uomo districarsi dalla minorità che per lui è diventata pressoché una seconda natura. E’ giunto perfino ad amarla, e attualmente è davvero incapace di servirsi del suo proprio intelletto, non essendogli mai stato consentito di metterlo alla prova. Regole e formule, questi strumenti meccanici di un uso razionale o piuttosto di un abuso delle sue disposizioni naturali, sono ceppi di una eterna minorità […].

Luca Tedesco

 
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Se non ho bisogno di Dio (e del mio rene). L'ultimo lavoro di Flores d'Arcais

Post n°68 pubblicato il 23 Marzo 2014 da ltedesco1
 

 

“La democrazia ha bisogno di Dio”. Falso! (Laterza, 2013) di Paolo Flores d’Arcais è uno scritto che si sviluppa secondo una logica ferrea, stringente, priva di chiaroscuri e incertezze. Da certe premesse non possono che derivare certe altre conseguenze. Fine della storia.

Quale è la premessa, allora, quali le fondamenta sulle quali l’autore costruisce l’intero suo edificio teorico?

Che la sfera pubblica debba essere popolata solo da «fatti accertati + logica + valori repubblicani». Ciò la cui esistenza non può essere accertata, e quindi e soprattutto Dio e l’aldilà, argomenta categorico Flores d’Arcais, non può prendere parte all’agorà democratica ma deve essere costretto alla dimensione intima, privata.

Questa tesi è accompagnata da un nutrito elenco di esempi in cui, invece, limitando lo sguardo all’Italia, la Chiesa cattolica fa irruzione arbitraria e illegittima nel discorso pubblico, nel tentativo di trasformare la sua precettistica in legge dello Stato, quindi erga omnes.

Tra i casi più eclatanti, ovviamente, l’eutanasia. La Chiesa, infatti, osserva d’Arcais, pretende che il legislatore imponga anche ai non credenti la sua posizione dottrinale secondo cui un uomo non può disporre pienamente della propria vita e del proprio corpo.

Ma un legislatore laico e democratico, obietta Flores d’Arcais, non può che riconoscere a ogni uomo la piena disponibilità di sé: «la vita umana è tale solo perché personale e irripetibile, tua, mia, sua […]. L’eguale libertà di ogni individuo rispetto alla propria e irripetibile vita è perciò l’irrinunciabile primum della democrazia liberale».

Questa posizione, che non concede ad altri, a Dio ma anche evidentemente ai miei consimili, il diritto di mettere becco nelle mie faccende private e quindi, prima di tutto, nella gestione della mia vita e del mio corpo potrebbe però portare alla rivendicazione di diritti, sulla cui legittimità, forse, anche lo stesso Flores d’Arcais finirebbe per nutrire qualche dubbio.

Se, insomma, io e solo io sono giudice della mia vita e del mio corpo, posso vendermi un rene? E un polmone?

Luca Tedesco

 

 

 

 
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