DIO E GLI UOMINI
Ci sono atei che si interessano a Dio molto più di certi credenti frivoli e superficiali
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Post n°124 pubblicato il 04 Gennaio 2010 da deontologiaetica
Il duo del copia e incolla non conosce "vergogna" «Ma chi, io?». Solo tre sillabe e un punto interrogativo per racchiudere una morale ipertrofica, coraggiosamente egocentrica, remunerativa e inarrivabile ai più, che potrebbe continuare così: «Proprio io, Corrado Augias? Proprio io, Umberto Galimberti? Ma va’. Se c’ero, dormivo. Se non dormivo, avrò preso una svista. Oppure avrò dimenticato per un momento - ma solo per un momento, neh - la retta via. Dio, se poi esiste, o il Signor Rettore dell’Università, o il lettore pagante, o lo spettatore un po’ distratto, mi perdoneranno di certo. Poiché perdonarmi, se posso rubacchiare (ancora) una battuta, è il loro mestiere. Comunque, passiamoci sopra. The show must go on». Ed è così che - resi energici da un’invidiabile fede nell’oblio - i suddetti Corrado Augias e Umberto Galimberti si sono dati appuntamento la vigilia di Natale su Raitre nel salotto televisivo di Augias Le storie-Diario italiano per discutere il tema del giorno: la vergogna. Argomento avventato. Ma andiamo per gradi. E invece tutte queste aspettative sono andate deluse. Augias e Galimberti sono stati di nuovo vittime del tremendo nonché affidabile luogo comune secondo il quale il lupo perde il pelo ma non il vizio. Per tutta la trasmissione, un susseguirsi di zero controllo delle fonti, citazioni approssimative, svariati conformismi intellettuali. Risultato: persino Tullio De Mauro sull’Unità di ieri ha dovuto mettere in guardia spettatori e ammiratori coriacei circa la fragile «base di conoscenza» dei due entertainer culturali. «Conduttore e ospite - scrive De Mauro - sono scivolati verso la sociologia d’arrembaggio e hanno detto concordi che il sentimento della vergogna va scomparendo». Ma tale denuncia era la solita scontata frecciatina al capo di governo e alle sue spudorate squinzie, quindi arriviamo al sodo: «L’etimologia della parola vergogna - ha detto a un certo punto Galimberti - è “vereo gognam”, temo la gogna!», sottintendendo che c’è chi non la teme affatto (leggi: il capo del governo). Ed è stato qui che si sono, ahinoi, di nuovo rotte le uova nel paniere. «In latino si dice “vereor” - corregge De Mauro sull’Unità - e non “vereo”. E “gogna” non è parola latina, ma italiana moderna. “Vergogna”, poi, appartiene alle parole di più sicura etimologia ed è la continuazione popolare del vocabolo “verecundia”, un sostantivo latino tratto da “vereri”. Queste sono cose che si dicono con (appunto) un po’ di vergogna a causa della ovvietà che hanno per chiunque tenga a portata di mano, non diciamo un vocabolario etimologico, ma un qualsiasi buon vocabolario italiano. Sono cose banali e non è un peccato mortale ignorarle. Ma forse è una piccola vergogna, se si impiega e si dissipa l’autorità guadagnata in altri campi per spacciare notizie etimologiche senza fondamento». Che sia stato questo un incidente, «un grave incidente dovuto alla fretta», secondo le parole già usate da Augias per lenire la sua precedente disavventura? Difficile dirlo. Che c’è nella mente di questi due quando accadono tali sviste? «Se avessi un libro che comprendesse al posto mio - scrive Kant - un direttore di coscienza che avesse coscienza al posto mio, un medico che giudicasse la mia dieta al posto mio, non dovrei compiere nessuno sforzo. Altri si assumerebbero questa fastidiosa incombenza al posto mio». Insomma, dietro questi incidenti potrebbe esserci solo banale pigrizia. Comunque molto ben pagata. |
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