Creato da occulto50 il 29/12/2008
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Ciao, ma la tua sensibilità ed intelligenza ti porta...
Inviato da: occulto50
il 30/04/2009 alle 16:34
 
Le tue poesie,sono molto profonde,un saluto,Oretta
Inviato da: ferrarioretta
il 30/04/2009 alle 11:06
 
Ciao, serena Pasqua
Inviato da: occulto50
il 10/04/2009 alle 19:57
 
ciao,ms
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il 10/04/2009 alle 18:29
 
Ciao, apprezzo sempre di più i tuoi commenti, se hai...
Inviato da: occulto50
il 26/03/2009 alle 11:39
 
 

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PERSONALITA' ASTROLOGICA

 

Mi ritengo persona leale e sicura, legato alle tradizioni come fossero parte di me stesso.

I miei umori e i propositi possono essere mutevoli come il pianeta dominante del mio segno, la Luna.

Questo mio auto-contraddirsi è comprensibile, quando è riconoscibile come parte della natura innata dell'individuo.

Sono amante della casa, della vita familiare e della tranquillità domestica ma mi diverto anche con viaggi e avventure.

Adoro il passato e a volte vivo praticamente in esso, così si spiega il modo in cui ricerco il presente sempre tornando al passato.

Sono molto sensibile, anche se spesso faccio di tutto per non dimostrarlo. Le discussioni mi logorano, le critiche mi feriscono e come il granchio mi rintano nel mio guscio. Anche se cauto, apprezzo i divertimenti e la vita sociale. Spesso sono vivace e generoso, devoto alle cause perse.

 

LA VERA STORIA DI BIANCANEVE

 

La Germania del terzo millennio, in cerca delle sue radici nel passato prenazista, si rivolge al mondo delle favole, come sempre avviene peraltro nei periodi di depressione economica o politica.

La ragazza molto bella, cresciuta dopo la morte della madre con una matrigna gelosa della sua avvenenza, che ad un certo punto viene mandata a vivere lontano e finisce anche avvelenata (nelle favole dopo avere addentato una mela offerta dalla strega), nella realta' si chiamava Margaretha von Waldeck, ed è vissuta nel XVI secolo.

Anche Margaretha era cresciuta con una matrigna dopo la morte della madre e con il crescere era diventata di una bellezza travolgente. Per questo motivo a 16 anni il padre la mando' via da Waldeck, un paesino dell'Assia, su istigazione della seconda moglie. Nella favola dovette attraversare le foreste ''dei sette monti'', nella realta' la catena del Siebengebirge (che significa appunto Sette Monti) per arrivare alla corte imperiale di Brabante, l'odierna Bruxelles. Qui sarebbe dovuta diventare dama di corte, ma la sua bellezza attrasse l'attenzione anche dell'erede al trono spagnolo, il futuro Filippo II, e improvvisamente la sua salute comincio' a peggiorare, fino alla morte avvenuta quando aveva 21 anni. Dai documenti trovati negli archivi statali di Bad Wildungen, una localita' di cure termali tuttora in funzione a pochi km da Waldeck, da un ricercatore di tradizioni popolari in Assia, Eckhard Sander, risulta che la giovane Margaretha mori' avvelenata. Forse costituiva un rischio per il futuro dinastico di Filippo?

 
La storia  arrivò alle orecchie dei fratelli Jacob e Wilhelm Grimm, che nel 1812 pubblicarono per la prima volta la favola di Biancaneve ed i sette nani, diventata uno dei prodotti di maggiore successo mai esportati dalla cultura tedesca.

 
Alcuni parenti stretti dei Grimm trascorrevano regolarmente periodi di cure termali a Bad Wildungen, ed e' risaputo che i due fratelli per le loro storie si rifacevano ai racconti popolari, raccolti di persona oppure ottenuti da intermediari, attingendo ad ampie mani alle storie tramandate oralmente.

 

I MIEI QUIZ

 

Questo risultato riflette una mente sicuramente matura e disillusa, che ha saputo fare tesoro dell'esperienza accumulata durante il corso della vita, breve o lunga che sia. Si potrebbe definire tale mentalità anziana, ma nel senso positivo del termine, ovvero quello di "saggia". Una mente vissuta è caratterizzata da una dose di sano relativismo, spesso sinonimo di apertura mentale, il quale porta ad abbandonare le certezze assolute della gioventù in funzione di un più ponderato e flessibile punto di vista sul mondo. Questo profilo corrisponde in genere a persone di età biologica superiore ai 40 anni, responsabili e dotate di spirito critico.

La tua anima è in sintonia con la natura che ti circonda. Sei un grande sognatore, riflessivo, creativo. Nutri profondo rispetto per ogni singolo essere, e ti meravigli anche per una semplice giornata di sole o una farfalla che vola. Questo modo di vivere ti permette di godere delle piccolezze. Non sopporti le persone volgari e maleducate; tendi a rifugiarti nel tuo piccolo grande mondo luminoso, ma questo non fa altro che aumentare in te la malinconia, perchè ti chiedi come mai, se puoi sognare un mondo migliore, questo non debba avverarsi... un consiglio: se vuoi che il tuo "sistema solare" cambi, cambia prima te stesso e agisci. La tua sensibilità ti guiderà nelle tue mosse, contagiando chi ti sta intorno.

I sogni son desideri..di felicità.. Vivi in un mondo tutto tuo e spesso tendi ad esonerarti dalla realtà e da ciò che ti circonda per rifugiarti nelle tue illusioni, sogni, passioni... Sei un tipo dolce e sensibile..basta pochissimo per ferirti o illuderti.. Un consiglio? Occhio a non sognare troppo ad occhi aperti...altrimenti rischi di cadere dalle nuvole, e farti veramente male..

Sei un tipo sui generis: non ami molto la compagnia, la società per te è troppo rumorosa. Tendi ad isolarti, preferisci dedicare tutto il tuo tempo a te stesso o comunque a qualcosa che ti interessa (un obiettivo preciso).

 
 

 

 
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IL NEGOZIO DELLE IDEE

Post n°28 pubblicato il 15 Marzo 2009 da occulto50
 

Vestito di verde, mi avviai verso il centro del mio paese.

   Il negozio dove ero diretto era chiuso e la piazza antistante iniziava ad essere inondata di sole; era giugno ed iniziavo un nuovo lavoro.

<<Benvenuto tra noi>> mi disse il padrone <<abbiamo un nuovo collaboratore>> e così dicendo mi presentò ai vecchi collaboratori che sorridevano di un sorriso che avrebbe rabbrividito il più coraggioso degli uomini.

   Mi ritrovavo, in quel periodo, in gran ristrettezza economica e dovetti abbandonare nuovamente gli studi universitari per ritornare a lavorare. Questa volta la scelta era caduta su di un negozio al centro del paese, un bel negozio con la più grande vetrina ed al tempo stesso con il più gran caos.

   Subito dopo i convenevoli, fui affidato nelle mani di una signorina che in pochi minuti mi relazionò l'ambiente e in breve tempo mi ritrovai seduto davanti a dei registri a cancellare numeri scritti a matita.

   Non passarono cinque minuti che fui spostato di peso in un grande stanzone, dove  incrociai un giovane che veniva anch'esso spostato verso il mio posto iniziale. Intanto continuai  a cancellare quei numeri, mentre sudavo per il gran caldo, e rabbrividii alle parole: <<Stiamo perdendo tempo, giovanotto?>>. Era il padrone che, con passo felpato, aveva disturbato la mia intimità lavorativa. <<Qui bisogna lavorare>> continuò.  <<Che cosa sta facendo?>>  <<Cancello,>> risposi <<riordino i registri>>. <<No, no!>> gridò <<Signorina, signorinaaa...>> ed apparve per incanto una signorina tutta seccata e dispiaciuta di essere stata svegliata dal mondo dei sogni.

   <<Signorina, illustri al giovanotto il nostro lavoro e che non si perda più tempo!>> e con passo felpato, sparì.

   Ancor più velocemente della sua apparizione, la signorina mi descrisse il lavoro, descrizione che in seguito mi rifiutai di usare, quando dovetti addestrare nuovi dipendenti. Così, tra la confusione generale, terminò il primo giorno di lavoro, che fu tremendamente uguale all'ultimo ed a quelli che intercorsero tra il primo e l'ultimo.

  Mi accorsi subito che la maggiore attività del negozio era la vendita delle idee, forse troppe. Bastava che il cliente più educato dicesse <<Vorrei un'idea>> che si mettevano in moto i mille ingranaggi del cervello ed, attraverso una fessura chiamata bocca, le idee uscivano veloci, così veloci che qualche volta se ne potevano raccogliere, per terra, una grande quantità.

Era scontato che tutti, dal più piccolo al più grande dei dipendenti, avessero enormi capacità intellettive e ciò mi spaventò molto, avendo io, invece, una media intelligenza che mi portava a ragionare con criterio logico.

<<No>> mi disse un giorno il padrone <<la logica è la virtù dei deboli; i migliori,   i potenti, quelli in pratica che comandano, non agiscono con logica, ricordalo!>>

   Così capii il perché delle mille situazioni esistenti nel mondo, dei mille problemi mai risolti nel nostro come negli altri paesi e giustificai il fatto, pensando che queste persone, i forti, i potenti, avevano, beati loro, superato lo stadio intellettivo della logica e si trovavano in ben altre e alte sfere del pensiero, vale a dire nell'Arte.

<<I nostri padroni sono degli artisti>> comunicai ad un collega.

<<Dici! Quale opera hanno composto?>>

<<L'opera dei cazzi propri...>> e mi allontanai, lasciando il collega che, messo in moto  il  cervello, con  la  bocca  aperta, aspettava che le idee gli uscissero e  con le mani si torceva le orecchie nella speranza di fare più in fretta.

   L'onestà è una qualità che ho sempre apprezzato, ma ben presto ho capito che è molto difficile praticarla senza cadere nel banale.

   Un uomo intelligente, in gamba, certamente non sarà onesto, onesto potrà essere un uomo qualunque, uno che non vale niente, uno che ha padrone.

   <<Tu sei un uomo onesto>> mi dicevano in molti ed io ero contento.

   In fondo, a che serve un onesto? Che ci fai con un onesto fra i piedi?

   "Esso" è un oggetto, un peso morto, "esso" è come un praticante in Dio.

   Gli onesti non hanno mai comandato, non hanno mai "contato", ma servono a coprire e salvaguardare la disonestà dei loro padroni. Ben presto, però, questo nemmeno basta e ti si dice: Ragazzo, cerca di aprire gli occhi, fatti furbo!

   Tu apri gli occhi, ti fai furbo e ti rendi conto che puoi ragionare con la tua testa, ma allora ti si dice: Non devi pensare, ragazzo, non è compito tuo! Tu, che sei onesto e poco intelligente, prendi la frase alla lettera e diventi imbecille. Una volta imbecille, chiunque ti potrà vendere idee; tu vuoi acquistare, perché sei giovane, sei onesto, e loro giù a vendere. Fino a quando durerà la vendita?

   Il disonesto, invece è più utile. Ti ruberà? Ruberà anche agli altri. Ti aggirerà? Essendo furbo, aggirerà anche gli altri. Diverrà tuo padrone? Questo no, perché ci sarà sempre quella persona onesta, il fesso, che ti difenderà, ti avvertirà del pericolo e tu sarai salvo, guadagnando dal disonesto e sfruttando l'onesto.

   Tonino era convinto delle cose or ora esposte e perciò da molti anni era al servizio del sig. Vittorio, proprietario del negozio. Quando lo conobbi, aveva circa sessant'anni, capelli bianchi, viso butterato e faceva sfoggio di una gran furberia d'adolescente.

<<Ti troverai molto bene>> mi disse ridendo di gusto <<Sai qui basta far guadagnare al padrone e tutto andrà bene>>

<<Ma vorrei guadagnare anch'io!>> 

<<Ah! Quante storie, il tuo guadagno verrà dopo, in seguito. Se sei in gamba guadagnerai tanto, ma così tanto che ti basterà per non lamentarti dello stipendio che ti passerà il sig. Vittorio.>>

<<Ma io voglio lavorare e ricevere uno stipendio adeguato, mica voglio rubarli i soldi.>>

<<No, no! Chi dice di rubarli. Non hai capito, non sei furbo ragazzo, vedrai che imparerai anche tu.>>

   Ecco, mi dissi, questo è un uomo in gamba, uno che sa il fatto suo, un modello a cui ispirarmi, un vero disonesto.

     

      Passarono i giorni e non avevo imparato ancora il mio mestiere, quando fu deciso di trasferirmi alla sorveglianza del personale di vendita.

<<Abbiamo bisogno di gente onesta>> mi disse il sig. Vittorio, mentre m'illustrava il da farsi.

   Il padrone ero molto perspicace ed aveva ben capito di aver fatto un buon affare ad assumermi. Era così ansioso di sfruttare al più presto le qualità da me possedute, che non si accorse della mia perplessità, scaturita da quella sua affrettata decisione. D'altronde il padrone era lui e non dovevo essere di certo io a fargli comprendere il grande errore che stava commettendo.

   Avrei voluto disobbedire, ma ciò significava essere licenziato. Erano gli anni in cui la disoccupazione dilagava nel nostro paese e nessuno ancora aveva la volontà di cambiare le cose, perchè tale situazione faceva comodo, anche se a poche persone, e cioè a coloro che contavano, per cui decisi, mio malgrado, di adeguarmi alla situazione.

   Molti sono stati e sono i compromessi a cui ho dovuto sottostare, ma questo fu indubbiamente quello più pesante.

  Il nuovo compito era quello della spia o propriamente detto del "confidente".

 All'inizio pensavo che tutto si sarebbe svolto alla luce del sole, ma ben presto mi accorsi che il più delle volte si doveva, purtroppo, agire alla luce della luna.

<<Giovanotto!>> mi disse dopo pochi giorni il padrone <<Giovanotto, lei deve sapere che qui tutti mi derubano. Io li pago, ed anche bene, ma loro hanno innato il vizio di rubare, perciò ho fede in lei, non mi faccia più derubare, la prego, mi aiuti a smascherare i banditi.>>

   Dopo quella supplica da perfetto uomo che prega, mi assegnò un cavallo bianco, due pistole e la licenza di cogliere il ladro di galline.

 

  La più grande difficoltà fu di cavalcare il cavallo bianco e, nello stesso tempo, non calpestare le idee che a fiumi scorrevano tra i corridoi del negozio. Ed era impossibile  spargere con le pistole olio bollente e colpire il bandito di turno senza danneggiare le sue idee.

  Mi affezionai quasi subito al caro cavallo bianco, uno di quei cavalli potenti, maestosi, che ti mettono soggezione, ma che in seguito riesci ad amare.

  Tutte le mattine iniziavamo la giornata facendoci un giretto di perlustrazione nel negozio vuoto, io avanti e Stallone, il cavallo, a seguire. Il primo ad ossequiare il nuovo giorno era il direttore, uomo al di sopra di ogni sospetto che, ancora pieno di sonno e deluso di essersi svegliato, preparava la sua postazione, caricava la sua mitragliatrice e, all'ora esatta, comandava al trombettiere di annunciare  l'apertura del negozio.

  Al suono della tromba, come per incanto, spuntava dal suolo tutto il personale di vendita; salito a cavallo, indossato i paramenti di giudice e giustiziere, con una mano distribuivo le schede marcatempo e con l'altra ricevevo quelle già timbrate dall'infernale macchinetta segnatempo.

  Una volta che tutti erano al loro posto, si dava inizio alle danze. Dopo aver aperto   le porte di cristallo ed   inserite le cassette nei mangianastri, iniziava un nuovo giorno.

  Stallone divenne, ben presto, il mio più grande amico e confidente, e quando il mio  pianto  si  faceva  copioso sul mio volto da fallito, era la sua criniera a pulirmi dall'oggetto della vergogna.

  Una sera, come tante, forse, ma più buia per me, Stallone mi parlò, o meglio riuscì a farsi comprendere e, commosso, mi disse <<Non ti voglio consolare, non hai bisogno di consolazione, ma di fatti, di azioni concrete, di qualcuno che ti porti via di qui, e questo qualcuno sarò io>>.

  Il cavallo sapeva che da solo non sarei stato in grado di liberarmi di quei luoghi, soprattutto perché non ne conoscevo altri; ragion per cui mi prometteva che un giorno, quando avrebbe accumulato abbastanza coraggio, avrebbe dato inizio ad una grande galoppata e via per altri luoghi, per altre mete. E così, abbagliati dal nostro miraggio segreto, continuavamo il nostro giro nel negozio tra la folla dei clienti e le idee moribonde che, come ultimo atto di vita, si aprivano alla fecondazione.

  Un giorno, per caso, sentii un breve lamento, fermai Stallone e saltai dietro il bancone di vendita da cui esso proveniva e, con mia grande sorpresa, vidi nell'angolo una piccolissima idea che, forte di natura, ma debole per età, era stata abbandonata; la presi, la strinsi, la rubai; subito dopo montai Stallone e mi nascosi nel retrobottega.

<<Vedi Stallone, un'idea, una tutta nostra, tutta mia, tutta tua>> e piansi di gioia, dimenticandomi di averla rubata.

  Dopo l'emozione del primo momento, ci rendemmo conto di dover trovare un nascondiglio: <<Nella criniera>> urlò Stallone <<qui starà al sicuro e potrai averla sempre con te>>.

  Subito nascosi Idea e, rimasto scioccato da tale avvenimento, simulando un malore, mi allontanai dal negozio per recarmi a casa, a dormire.

  Amai subito Idea, prima con una passione forte e dirompente, poi con una pace ristoratrice e vitale, ed essa trasformava quei giorni infernali in momenti di pura spiritualità.

 Mi recavo al lavoro, quasi con gioia, al solo pensiero che in quel luogo l'avrei rivista e, dopo i primi giorni, cominciammo a scambiarci i primi pensieri.

<<Grazie di avermi salvata>>.

<<Oh!. Ho salvato forse me stesso!>>

<<No, non puoi capire, oggi tutti ci uccidono, non ci amano, ci lasciano morire>>.

<<Ma mi sembra, che il padrone non vi voglia del male, ha interesse per voi!>>

<<Si, ci vende!>>

<<Beh, ma dovete pur avere un padrone!>>

<<Si, un po' hai ragione, non siamo libere, dobbiamo appartenere a qualcuno, ma quello che voglio spiegarti è che oggi, più che mai, gente come il tuo padrone, ci fa violenza, strappandoci dai nostri padroni naturali e vendendoci ad estranei, solo per confonderci e confondere; stando in guardia che nessuno strappi le loro idee>>.

  Fui subito affascinato dalle rivelazioni della mia amica e, riflettendo, mi accorsi che, in effetti, molte volte avevo scorto Tonino, che di nascosto, cercava di uccidere qualche idea che sfuggiva al mio controllo o a quello del sig. Vittorio. Così decisi che Idea non doveva morire, anzi l'avrei difesa, allevata e al momento opportuno, col suo consenso, fatta mia.

  In quel periodo, andavo sempre più lamentandomi, cercando la comprensione di chi mi era più vicino, ma spesso restavo solo con la mia idea ed ero costretto ad avere colloqui segreti con essa, per paura che me la portassero via.

  Col passare dei giorni, più essa cresceva, alimentata dal mio spirito, e più il  prossimo mi biasimava, biasimava il mio comportamento di povero illuso, di maniaco ingenuo.

<<Non avere fretta, amico>> mi diceva Stallone, e mostrandomi l'orizzonte, m'induceva a scorgere delle speranze che si concretizzavano per attimi; speranze partorite dalla mia mente che voleva ma non poteva  renderle operanti.

  Molte erano le volte in cui Stallone si preparava alla sua grande galoppata, ma altrettante erano le volte che il cavallo non partiva, né al trotto né al passo.

<<Perché non parti, Stallone?>>

<<Perché non vai?>>

<<Perché non mi porti?>>

  E a queste suppliche esso non sapeva rispondere, muoveva la testa in su, in giù e si lamentava della sua condizione di cavallo.

<<Anche i cavalli>> mi diceva <<hanno dei problemi. Oggi, per la presenza dei veicoli a motori, siamo svalutati. A te non ci vuole un cavallo, ci vorrebbe  qualcosa a motore, i cavalli hanno fatto, ormai, il loro tempo>>.

   Affezionato a Stallone, avevo fiducia dei cavalli, mentre i motori, sempre più potenti, sfrecciavano sulla strada, gettando fango ed acqua a chi sui bordi, attendeva la partenza.

  Mentre aspettavo, osservavo gli altri partire e mi rallegravo vedere partire soprattutto chi poco prima era stato al mio fianco; non era dunque cosa astratta, non era immaginazione, non partiva gente lontana, a me sconosciuta, ma il mio prossimo, partiva il mio amico. Vedendoli andare via, mi sentivo come uno schiavo di fronte all'affrancazione di un altro schiavo amico e sentivo che parte delle sue catene mi trascinavano con sé.

<<Prendi le sue catene e seguilo>> mi diceva Stallone.

<<No!. Servirebbe solo a cambiare padrone, non con le catene devo andar via, ma completamente libero da tutti, libero>>. 

  Stallone morì, di vecchiaia e con tanta delusione nel cuore per non avermi potuto aiutare. Persi con lui anche il nascondiglio di Idea, che purificata e grande, matura e pronta, divenne mia, dopo tanto parcheggio e tanto nutrimento nella criniera di un cavallo. D'allora non le parlai più, era lei che parlava con me; loquace e sicura, preparata e pronta, mi dava modo di affrontare con più impegno e con più positività la vita di ogni giorno.

  Come prima cosa, compresi che dovevo prestare più attenzione al mio lavoro, solo così l'avrei potuto abbandonare al più presto. Come seconda cosa, compresi che nessun motore sarebbe stato in grado di portarmi via, neanche i più moderni, perché i motori, come i cavalli, erano senza idee. Come terza ed ultima cosa, scoprii la volontà, che Idea partorì dopo un lungo amplesso con il mio umanissimo orgoglio.

  Volontà nacque alquanto denutrita, come d'altronde ebbe a capitare a suo padre; le altre volontà nascevano ben pasciute, ma la mia no; mi sono sempre, purtroppo, distinto per la mia pigrizia e restai incredulo davanti al concepimento, poco credevo in tale impresa; o meglio, per essere precisi, fu il mio orgoglio a concepire, e forse di tale virtù ne ho avuto poca per emergere e molta per non vendermi completamente, come molte volte fui tentato di fare, spinto dalle necessità della vita.

  Che si può dire della madre? Una madre forse troppo giovane, ma intimamente sana, forse troppo fragile, ma spiritualmente forte, forse troppo innamorata, ma fisicamente femmina.

  Dunque la madre è assolta; la critica si concentra sul padre, ma anche lui doveva sottostare a forze più grandi, più potenti, e così io, padre putativo, dovetti crescermi Volontà.

  I suoi primi giorni di vita furono veramente tragici e ci tennero sempre sul chi va là; si temeva per la sua morte.

<<Vive ancora?>> mi chiedeva la gente, incontrandomi per strada.

   <<Non passerà questa notte>> mi diceva il dottore che veniva a "guardarla" ogni sera, prima di far ritorno - stanco e contento perché un altro giorno era giunto alla fine -  alla sua calda dimora.

  Idea, in quel periodo, piangeva sempre e non riuscivo a consolarla dicendole che altre volontà sarebbero potute nascere. Anzi, ciò la deprimeva di più quindi ero costretto a fingere sintomi di miglioramento per quell'essere che, vittima innocente delle circostanze, non aveva neanche la forza di piangere e la cui vita consisteva soltanto nell'aprire e chiudere molto lentamente le palpebre, infastidita forse dalla luce del giorno che colpiva così violentemente i suoi occhi.

  Pochi giorni dopo la nascita di Volontà, incontrai per caso la compagna, ormai sola, di Stallone che nel sentire il mio lamento, si offrì di nutrire l'infante, pregandomi di trasferirci tutti in campagna dove essa ora abitava, sola, in compagnia dei ricordi del suo caro Stallone.

<<Darò da bere a quell'essere, il mio latte>>.

<<Oh Asina, quanto sei buona! Ma che cosa potrà mai fare!>>

<<Molto, la farà vivere, la farà crescere, la renderà  adulta>>.

<<E non la farà più morire?>>

<<No, ella vivrà e sarà tanto bella e forte, tanto sana e robusta, che la gente non la riconoscerà quando farà ritorno in paese>>.

<<Vorrei crederti, ma ho poca fiducia del latte di un'asina, proverò a convincere Idea>>.

  Lasciai Asina un po' turbata dalla mia incredulità sul suo latte e, di corsa, feci ritorno a casa, dove trovai Idea in lacrime, come sempre, e  subito la consolai con la seppure vana speranza  che Volontà si sarebbe salvata e, caso strano, decidemmo di trasferirci in campagna, spinti dal gran caldo che regnava in paese.

  Dove Stallone ne uscì sconfitto, la sua femmina fu grande; dove i motori più potenti, più sofisticati fallirono, l'amore di una madre, attraverso il suo latte, vinse la morte; dove la scienza fu in dubbio e perplessa, la femmina fu chiara e concreta; dove gli uomini furono scettici e freddi, il calore di un corpo diede vita alla fuga dell'essere.

  Oggi Volontà è grande, è forte, è matura; Idea è una donna bellissima; Asina, che ha trasmesso il suo latte a Volontà, è ormai invecchiata, ed io la mia fuga l'ho fatta, non in groppa ad un cavallo né ad un motore, ma a piedi, non di corsa, ma piano piano, tenendo per mano Volontà ed Idea, e passeggiando per le strade della vita.

  Noi siamo ancora in cammino, abbiamo molta strada da percorrere, anche se ci assale il dubbio che forse vana sarà la nostra fuga in confronto all'umano; così immutabile ed immutato, vestito di nuovo, ma pur sempre vecchio, pur sempre povero, o uomo, un pugno di polvere.

 
 
 
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