Maestra Mecala

tra clown, educazione e sogni da praticare

 

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LETTERA AD UNA BAMBINA. (CREPET)

Vorrei che i tuoi Natali non fossero colmi di doni-segnali a volte sfacciati delle nostre assenze ma di attenzione. Vorrei che gli adulti che incontrerai fossero capaci di autorevolezza, fermi e coerenti: qualità dei più saggi. La coerenza, mi piacerebbe per te. E la consapevolezza che nel mondo in cui verrai esistono oltre alle regole le relazioni e che le une non sono meno necessarie delle altre, ma facce di una stessa luna presente. Mi piacerebbe che qualcuno ti insegnasse a inseguire le emozioni come gli aquiloni fanno con le brezze più impreviste e spudorate; tutte, anche quelle che sanno di dolore. Mi piacerebbe che ti dicessero che la vita comprende la morte. Perché il dolore non è solo vuota perdita ma affettività, acquisizione oltre che sottrazione. La morte è un testimone che i migliori di noi lasciano ad altri nella convinzione che se ne possano giovare: così nasce il ricordo, la memoria più bella che è storia della nostra stessa identità. Mi piacerebbe che qualcuno ti insegnasse a stare da sola, ti salverebbe la vita. Non dovrai rincorrere la mediocrità per riempire i vuoti, né pietire uno sguardo o un'ora d'amore. Impara a creare la vita dentro la tua vita e a riempirla di fantasia. Adora la tua inquietudine finché avrai forza e sorrisi, cerca di usarla per contaminare gli altri, sopratutto i più pavidi e vulnerabili. Dona loro il tuo vento intrepido, ascolta il loro silenzio per curiosità, rispetta anche la loro paura eccessiva. Mi piacerebbe che la persona che più ti amerà possa amare il tuo congedo come un marinaio che vede la sua vecchia barca allontanarsi e galleggiare sapiente lungo la linea dell'orizzonte. E tu allora porterai quell'amore sempre con te, nascosto nella tua tasca più intima. Paolo Crepet

 

 

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Tra il se' è l'altro: cooperare oltre la retorica

Post n°5 pubblicato il 07 Marzo 2014 da charmelina78

Nessuno è sufficiente a se stesso e necessita della relazione per la Sua sopravvivenza. C'è un bisogno dell'altro con cui l'essere umano da sempre si rapporta, il bisogno di sentirsi riconosciuto di cui tutti siamo portatori sani e in ragione del quale abbiamo necessità di non stare da soli. Sembra un inutile sottolineatura, quasi una ridondanza ricordare questa condizione naturale che ogni essere si trova a vivere insieme al suo simile ma non lo sembra affatto, oggi, purtroppo.  In questo periodo storico la relazione assume sempre di più i colori della pura retorica: ossia la celebrazione esclusivamente teorica di un valore che non trova riscontro nell'esperienza quotidiana. Si parla di rispetto, amicizia, solidarietà usando spesso grandi parole, piene di pathos e mistificazioni  ma si fatica a vivere l'esperienza con l'altro.

La società narcisistica, ormai, sostituisce il legame con l'altro con l'idea di consumo dell'altro: " mi servi e mi piaci finché mi aduli, finché somigli a ciò che di te voglio che tu sia" . Finito questo incanto ti stritolo nella morsa delle disconferme, ti allontano senza prendermene la responsabilità semplicemente ferendoti. Questa la società della deresponsabilizzazione  della cura dell'altro, dove è più semplice fagocitare che condividere le risorse. Dove è più facile confermare e rinforzare le spinte egoistiche legate, fin dall'infanzia al bisogno di autoaffermazione, piuttosto che rischiare di affidarsi nella più genuina fragilità.

Come fare ad esorcizzare questa deriva del senso fondante della stessa umanità ?

Per viverla come esperienza piena ed efficace occorre essere educati, pertanto essa è oggetto di educabilita'. 

  Basta davvero poco per costruire azioni di cooperazione.

  • Cominciamo a ricordarci costantemente che nessuno è sufficiente a se stesso. Senza l'altro con cui rapportarsi l'io perde il senso evolutivo della scoperta di se. Non c'è nulla di scandaloso nel riconoscimento di questa incompiutezza, di questa fragilità, che appartiene a tutti i protagonisti di una relazione, a me quanto all'altro.
  • Non cerchiamo di proteggerci ad ogni costo da delusioni possibili e sofferenze, ma apriamoci all'incontro, al rischio e all'impegno che esso comporta, alla fiducia e alla responsabilità che esso richiede. 
  • Rendiamoci conto che essere autonomi non vuol dire fare tutto da se' ma essere capaci di chiedere aiuto.

 Potremmo, così, costruire delle azioni di relazione vera, un po' come fa la volpe con il piccolo principe .

Le prassi educative alla base del riconoscimento del diritto alla relazione passano per piccoli e semplici occasioni da vivere: 

  • produrre insieme narrazioni, vivere esperienze e raccontarsele, consapevolizzarevi ruoli nelle esperienze. Raccontarsi i vissuti.
  • correggersi scambievolmente gli errori, offrirsi dei feedback, donarsi punti di vista
  • conoscersi reciprocamente aiutandosi l'un l'altro a cercare punti di forza e di debolezza
  • concorrere insieme alla soluzione di situazioni problematiche.
  • guardare negli occhi l'altro e chiedergli come si sente 
  •  ascoltati
  • ascolta per poter andare oltre il limite del giudizio a priori.

 

 

 
 
 
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Data di creazione: 25/11/2013
 

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Mi ricorda un mio post di qualche settimana fa. :)
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