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Filo spinato

Post n°143 pubblicato il 20 Aprile 2008 da DerSpinne

Ci sono precisi momenti, in cui ti accorgi di essere come il filo spinato.
Non si tratta di essere sbagliati o giusti, di fare bene o fare male.
Si tratta di essere una linea metallica nell'oscurità, ritorto, spigoloso, appuntito.

E' la tua natura e non ne conosci altre. Tagli con un segno netto ogni volta, fa i continuamente righe tra quello che non ti interessa, e quello che ti interessa.

A veder bene, probabilmente, è un carattere del cazzo. Ma madre natura quello mi ha dato.

Non ho mai avuto mezze misure, il complesso di piacere, la necessità di socialità forzata.
Amo l'interazione, ma solo con le persone con cui voglio interaggire.
Non considero il resto del mondo una ricchezza.

Il resto del mondo è solo il resto del mondo, ed è pieno di postulanti, gente che ci marcia, e che non ho interesse a conoscere.

Vado per lunghezze d'onda. Chi è sulla mia frequenza, non ha mai problemi con me.

Dovessi dire un perchè, spiegare, dipanare la mattassa, non arriverei a nessuna conclusione.

So di essere intollerante, nel senso di non tollerare quello che non mi piace, che non condivido. Rispetto le idee altrui, ma come altrui le sento.

In una parola, sono netto. Sono il filo spinato al bordo del campo recintato.
O sei dentro, o sei fuori.

Eppure la mia socialità e pure troppo accentuata, la gente continua a parlarmi, cercarmi, e finchè è la gente che mi piace e mi interessa, è una ricchezza. Il problema è che lo fanno anche le persone verso cui, in maniera manifesta, non nutro interesse o stima.

Me ne faccio una ragione. C'è gente che ama essere trattata male.

Eppure a volte, mi sento fuori dal mondo e nel mondo al tempo stesso. Non trovassi per strada persone come me, forse, mi sentirei solo. Ma non sono una persona sola o almeno non più di quella cifra di solitudine che in maniera imponderabile tocca a tutto.

Eppure il ferro spinato sta teso, ostile, al confine. Solo chi sa, chi può, si addentra e ne esce. Entra in questo mio emisfero occidentale. Non migliore di tanti altri, non peggiore. Ma tutto mio. Fatto delle cose che ho da dare e da dire, di tutti i miei difetti.

Il resto del mondo non esiste, è solo gente che passa, vestiti, cappotti, coppiette, passeggini, notizie sui giornali.

La vita è solamente ricca con la vicinanza. La vicinanza è una scelta, non un dovere.

Tutto quello che sta al di là del filo spinato, sono solo chiacchiere.
Che svaporano in lontananza.

 
 
 

RIENTRO

Post n°142 pubblicato il 10 Aprile 2008 da DerSpinne

Entro apro il portone, guardo nella casetta della posta, è piena. Apro, veloce, apro e prendo una manciata di posta, la guardo, scivolano i fogli elettorali in terra. Ho fretta non li raccolgo. Prendo l'ascensore. Stringo tra le mani qualcosa, una busta, un foglio, forse una bolletta, ho fretta. Apro l'ascensore, un viaggio interminabile.

Non ci sono. Sono fuori, per la strada, con la macchina, accellero, negli occhi le luci di Roma. Giovedì sera, strade deserte, lampioni, auto, fari, marciapiedi disconnessi, un vecchio palazzo, un'altro vecchio palazzo.
Ho voglia di accellerare. Accellero. Scarto, supero una macchina. Accendo la radio su una canzone qualunque. Non conosco la canzone, è solo note, musica, non l'afferro, non la sento. Guardo e basta.
Le foglie sono illuminate dal riflesso giallo dei lampioni. La strada è asfalto rabberciato, disconnesso, bucato. Beirut. Il Libano. Una katiusha che spara razzi sull'asfalto. Luci, ancora Luci. Palazzi a perdita d'occhio.
Una città. Finestre, balconi, portoni. Grate alla finestre. Le trovo assurde.
Dentro ogni casa una vita. Sono amante, amore, amico, fratello, figlio, padre, nonno. Sono parte integrante di ogni luce che esce dalle persiane. Sono vetro che si dilania, schegge che si dipanano, curve, dossi, sanpietrini. Sono una variabile.

Ho un improvvisa voglia di picchiare qualcuno, di dare un bacio, di fare l'amore, di alzare il volume dello stereo, di fare qualche bassezza, qualche grande gesto. Accellero. Voglio arrivare a casa, scrivere, buttarmi, raccontare la scossa, l'attimo. Affermare in maniera ineluttabile..

L'ascensore è lento, lento. Ho fretta, fretta.

La targa INA del palazzo, ad ovest del nulla, era incrostata dalla sporcizia, polvere, inquinamento, sedimenti. Troveranno un giorno, gli archeologi, di oscure civiltà, la targa incrostata.
Troveranno un giorno i maghi, la stele di rosetta di ogni mio amore, ogni viso passato, scrutato, svuotato. Dalle finestre mi guardano, mentre sfreccio, stridulo, nel tempo.

Eppure c'è un uomo che porta a spasso una bambina, con le treccine. La tiene per mano, ed è irreale. Perchè niente tiene, e tutto si disgrega, perchè sono assurde le luci rosse dei semafori, ed assurdo è il ciuffo che ha il tizio della macchina accanto.

Eppure ho fretta, fretta, fretta, una dannata  fretta di arrivare.
Verso un nulla, una parola, l'inizio, la fine. Affermare che sono una freccia, scagliata, inutilmente.

Arriva l'ascensore, apro la porta, poi la porta di casa. La finestra è aperta. L'asfalto grida di macchine che passano. E sono qui che scrivo, perchè è inutile, dannatamente inutile. Perchè non c'è un perchè. Un dove, un come. Non esiste nulla.
Attimi che collidono, luce fioca, rumore, musica in lontananza.

La città dorme, la città non esiste, mentre io sono qui.
E sono vivo.

 
 
 

EXTRATERRESTRI

Post n°141 pubblicato il 06 Aprile 2008 da DerSpinne

Era qualche anno fa. Mi ricordo che stavamo stesi sul tavolo di pietra della pineta. La pineta dietro il bar "La rotonda". Ovviamente i gestori non avevano una gran fantasia, di rotonde sul mare è piena l'italia, prima e dopo la canzone di Gino Paoli.

Era una sera d'estate di quelle in cui le luci delle stelle filtravano tra i rami degli alberi della pineta.
Eravamo io e Daniele, e stavamo lì in una di quelle sere che non si sapeva mai cosa fare.

A quel tempo mi facevo un mese di mare. Non era una vacanza. Era vivere una vita diversa, lontano dai soliti posti e dalla solita gente. Ed accadeva anche che in qualche sera, ci si annoiava. Ma era sempre meglio della città, dei doveri, della solita gente e dell'afa che ti tagliava il respiro.

Anche nella noia c'era tutta la magia dell'estate, tutto il brillare incostante e spezzato dai movimenti degli alberi, delle stelle. Il mare come un sottofondo, e due ragazzi che nel pieno della notte si mettevano a ragionare della vita, dell'amore e delle altre sciocchezze.

E lì che sono nati i miei alieni.

Perchè in quella sera abbiamo iniziato a supporre l'esistenza di una forma di vita superiore, che era lì, nel cielo, da qualche parte. Ed aspettava solo un cenno per visitare questo pianeta coperto per i suoi 3/4 di acqua.

Così abbiamo iniziato ad immaginare un'invasione aliena.

Non poteva uscirne fuori un quadro in cui gli alieni erano sicuramente meno stronzi dei terrestri, ed appena sbarcati, si sarebbero incazzati come iene.

Perchè tu prendi e parti e ti fai decine di milardi di anni luce, per andare a vedere un pianeta che da lontano risplende di tante belle cose, e poi ti accorgi che a comandare tutta la catena alimentare è una creatura sciocca come l'uomo.

Avrebbero visto in maniera lampante la poca grandezza e la tanta miseria del nostro mondo, le guerre, i leasing, gli spettacoli in televisione.
Si sarabbero domandati perchè le donne più belle vanno sempre in giro con gli uomini più idioti, perchè bisogna lavorare e fare un mese di vacanza invece del contrario.
Si sarebbero, immediatamente accorti, come ce ne accorgevano lucidamente noi, di tutte le storture del mondo. Non l'avrebbero presa bene.

In sostanza, eravamo convinti che dopo aver visto che casino avevamo tirato su in questi secoli, gli alieni avrebbero punito il genere umano con una gigantesca inculata collettiva .
Avrebbero ripreso le loro navette e se ne sarebbero tornati a casa lasciandoci alquanto doloranti in questa valle di lacrime.

Mi ricordo che quella sera ho riso fino alle lacrime, pensando agli alieni "pipanti".
Magari la cosa in se non era questa gran trovata. Ma l'odore dei pini, la salsedine il mare le stelle ,dava un gusto a tutto la discussione che mi è rimasta chiaramente impressa a distanza di anni.

Così a volte, quando vedo qualche bruttura, qualche piccola prepotenza, qualche gesto di maleducazione, che non fa altro che sottolinerare la stupidità del genere umano e l'inevitabilità del Ragnarok, mi ritrovo ad invocare lo sbarco dei miei adolescenziali alieni pipanti.

Forse è il crescere che ti fa scordare l'importanza delle sciocchezze, l'assenza di tempo, i doveri, gli amori, le vite che si dipanano con te e vicino a te.
Ma un pò perdi quella capacità di ridere di cose sciocche e futili. Di passare una sera a divagare su mondi che non esistono, mentre il resto del mondo scopa, ama, lavora e s'uccide.

Perdi la capacità di perdere tempo.

A volte però, quando sei chiuso nell'abitacolo della tua macchina, ed invochi la vendetta degli Dei sul cretino che ha lasciato la macchina in seconda fila, bloccando la consolare, a volte, proprio in quei momenti, ti assale la stessa assurda e lucida stupidità.
Pensi ad un chiaro ritorno degli ufo pipanti, che puniranno il trasgressore con qualcosa di ben più doloroso e meno definitivo di una multa.

Lo spazio del sogno rimane ancora vivo. Ed è quel sogno così diverso da quello stereotipato e commercialmente venduto di case in collina e amori infiniti.

E' un sogno che fa ridere e che ti vendica della stupidità del mondo. Uno di quei sogni, che ti manda a casa con un sorriso soddisfatto, proprio perchè inutile.

Perchè per quanto ci sforziamo non siamo gli alieni pipanti e siamo stronzi anche noi, più o meno come tutti gli altri abitanti del pianeta

 
 
 

Gatti

Post n°140 pubblicato il 05 Marzo 2008 da DerSpinne

Non so bene, perchè scrivo qui.
Forse perché a volte è necessario aggrapparsi alla scrittura per dire quello che si vuole dire, raccontare quello che si vuole raccontare.
O forse, perchè qui rileggerò questo post tra qualche anno e non andrà perso nel caos di fogli, foglietti, file sul computer.

E quando lo leggerò mi ricorderò del mio gatto.

Il mio gatto è sparito sabato sera, e non è più tornato. Conoscendolo, così come ho conosciuto ogni mio gatto,  ormai non credo che tornerà mai più.

Il mio gatto si chiama "Pippo" un nome un pò banale forse, ma mia madre non ha mai avuto una grandissima fantasia con i nomi.

Non è stato il primo gatto che ho avuto. Il primo si chiamava "Tommy" era un siamese con gli occhi azzurri ed è vissuto per 13 anni.

"Tommy" era il primo gatto veramente mio. Che stava a casa mia e non da mia nonna in campagna.

Io ho sempre creduto che "Tommy" fosse la reincarnazione di mio nonno che non ho mai conosciuto.
Aveva gli stessi occhi azzurri, privi di cattiveria. A guardare le due foto, l'uomo e l'animale, nulla è uguale. Tranne quell'azzurro così intenso, così privo di malizia, di qualsiasi pensiero cattivo.
Ho sempre pensato che mio nonno, anche se non l'ho conosciuto, doveva essere stata una persona buona.

"Tommy" è morto, e per me è stato perdere come un fratello, una presenza costante, giornaliera per 13 anni. Un compagno silente che ti accetta al di là di tutto.
E' stato un dolore davvero forte, perché era parte della famiglia.

L'altra mia gatta è "Milly" è una bella certosina di 16 anni, ormai vecchiotta e longeva, anche lei trovatella come "Tommy". L'ho trovata qualche anno dopo nel portone di casa, e l'ho tenuta.
"Milly" è una vecchia gatta ormai, ma l'affetto che nutre per me (in particolare) è immutato. E finchè ce l'ho, me la godo ogni volta che posso.

Poi la scorsa primavera è capitato "Pippo". Un batuffolo di pelo che veniva a mangiare.
Non si sa quanto ci è voluto prima di riuscirlo a toccare.
Ho passato ore intere a giocarci per poterlo afferrare e spupazzare un pò.

"Pippo" è bellissimo. Incrocio con un gatto norvegese, una coda che sembra un castoro, pelo lungo e sguardo da lince.
E' entrato a far parte della famiglia, conquistandoci con la sua bontà.

Si, perchè anche gli animali hanno un carattere, anche gli animali hanno una personalità.

Da dove nasce questo mio amore per i gatti? Io credo che dipenda dalle notti estive.
Quando in campagna mi siedevo nel campo del vicino, in mezzo al fieno appena tagliato. Quando l'odore della campagna sa di estate come nessun'altra cosa. Quando le stelle sono così grandi e luminose, che non puoi fare a meno di starle a guardare.

Lì, nella solitudine e nella campagna, si avvicinava sempre un gatto, e mi teneva compagnia.
Le sue fusa erano l'estate e mi amava dell'amore temporale, che solo gli animali sanno dare.

Perchè gli animali sono innocenti. Sono gli unici ad esserlo.

C'è chi dice che i gatti sono opportunisti. Luoghi comuni di chi non ha mai avuto un gatto. Un gatto è semplicemente indipendente. Da quando vuole dare. Ma lo fa incondizionatamente.

Perchè ad un gatto non importa nulla, che sei bello o brutto, che sei stupido o intelligente. Per un gatto conta solo che gli vuoi bene.
Si certo, il mangiare è importante, altrimenti non sarebbero gatti.
Ma non è mai solo quello.

Quindi il mio amore per i gatti nasce da queste notti estive, dove eravamo io ed un gatto e la campagna.

Nient'altro in giro. Nient'altro sulla terra.
 
Da questa estrema complicità è nato questo legame così forte.
Questo mio ammirare i gatti pur sentondomi, di carattere, più vicino al lupo.

"Pippo" se n'è andato ed è andato incontro alla notte. Cercando qualche gattina. Non è ancora tornato e ormai dubito che tornerà. Questo mi riempie il cuore di tristezza.

E' un pò come con le donne, un pò come con l'amore. Ogni volta ti dici che ti da tanto, ogni volta che lo perdi, ti dici che non lo rifarai. Ogni volta lo rifai.

Così va la vita, così sono i gatti. Io gli voglio bene e gliene vorrò a distanza di anni. Così come ho voluto bene a tutti i gatti della mia vita.

Sono triste, ma so di avergli dato l'affetto che chiedeva, di aver fatto il possibile per lui. Il resto, come per le persone, le piante, i satelliti solari, e tutti gli oggetti animati ed inanimati, è semplicemente vita.

Sabato pomeriggio dormiva sul mio letto, steso con i suoi quasi 8kg di gatto e pelo (beh non è certo un gattino). Mi sono avvicinato e mi sono steso vicino a lui ed ha iniziato a fare le fusa.

Lo voglio ricordare sempre così. Così come ricordo ogni gatto, ogni amore, ogni persona, che mi ha dato qualcosa nella vita. Di piccolo, o di grande.

Mi lascia un pò più solo. Perchè ogni amico che se ne va, sia esso persona, gatto, cane o altro animale, ci lascia più in balia della nostra solitudine.

Ma la vita è anche questa. Ed un gatto non se ne curerebbe. Cercherebbe il suo cibo, cercherebbe un pò di amore dalla sua famiglia, cercherebbe una gatta per la notte.

Un gatto uscirebbe semplicemente sulla terrazza e canterebbe un "De Profundis" gattesco per ogni amico andato.

Riprenderebbe la sua vita, un pò più solo.

 
 
 

La casa diroccata

Post n°139 pubblicato il 24 Febbraio 2008 da DerSpinne

Mi ricordo, che nel vecchio quartiere c'era una casa diroccata. Usata dai tossici come luogo appartato per spararsi in vena una siringa colorata di morte.

Noi eravamo bambini, e per noi, era qualcosa di più.

Era una casa misteriosa, stregata, incantanta.

Aveva qualcosa da scoprire, qualcosa di pericoloso che ti attrae e respinge.
Era la porta del tempo, l'entrata di shagri-la, del paese dei balocchi.
Era la curiosità, che ci spingeva, inevitabilmente, ad entrare.

Più tardi, crescedo, ho ritrovato la stessa medesima sensazione con le donne che mi attraevano. Ma è un'altra storia.

A quel tempo era solo la magia.
Null'altro che la magia che avevano quelle pareti e quel lento sapore di polvere e muffa

La casa era gialla, sbiadita, scrostata, crivellata dai proiettili del tempo e dalle siringhe dei drogati. Aveva una scala divelta, che un tempo portava al piano superiore. Il resto erano mobili rotti e pezzi d'intonaco divelti.

La polvere era sicuramente polvere d'oro. Venuta dal Klondaike o dallo Yukon. Non poteva essere diversamente. Danzava illuminandosi ai raggi solari della finestra divelta.

Perchè la casa era diroccata? perchè era stata abbandonata così?

Noi non lo capivamo. Le case avevano la gente dentro. Ognuno di noi aveva la sua e così la gente che conoscevamo.

Quella stava lì e sicuramente un giorno era stata abitata, vissuta, pulita, amata.
Non capivamo cosa fosse successo. Una casa deve avere sempre delle persone, non poteva essere altrimenti.

C'entrava sicuramente un qualche sortilegio, una maledizione, un anatema.

Ma mentre stavamo lì, bastava un gatto al piano di sopra, per farci schizzare, correndo fuori. Paonazzi di paura, ci guardavamo divertiti, spaventati.

Ancora una volta la casa aveva mantenuto il suo mistero.
Aveva interrotto in una corsa sfrenata, ogni nostra domanda.
Lasciandoci fuori ad ansimare nel sole, divertiti, felici.

Poi un giorno, sono venute le ruspe. E la casa è stata tirata giù.

Via la polvere dello Yukon, i gatti che ci dormivano, la scala divelta, le siringhe dei tossici piantate nei muri, tutte le domande e tutte le magie.

Ci hanno costruito un supermercato. Forse è stata quello il giorno in cui ho capito.

Capito che la fanciullezza, era ormai andata.

 
 
 

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