Il partito “piglia-tutto” delle scorse europee non c'è più: dal 42% ottenuto a maggio, il Pd scivola infatti al 36,3%. A raccontarlo è l'ultimo sondaggio realizzato da Demos nel fotografare tutta una serie di cambiamenti in atto nello scenario politico: intanto il primo calo di consensi per Matteo Renzi(sceso tra ottobre e novembre dal 62% al 52%) e del governo (dal 56% al 43%, a giugno era al 69%), poi il forte avanzamento della Lega(10,8%) e di Matteo Salvini (32%). Infine, tolto il M5S fermo al 20%, la ripresa degli altri concorrenti del Pd che messi insieme (il 16,2 di Forza Italia, il 10,8 della Lega, il 3,6 di FdI e il 3,8 di Ncd-Udc) arriverebbero al 34,4%, a soli due punti dal Partito Democratico.
Partiamo infatti da quest'ultimo dato, ossia la ricomparsa di una possibile alternativa a Renzi. Non è un caso che Silvio Berlusconi sia tornato a parlare, proprio in questi giorni, di unità del centrodestra e che Forza Italia e Ncd abbiano ripreso a dialogare. La pace tra l'ex Cavaliere e Angelino Alfano è forse un'ipotesi ancora troppo remota, ma tutti sanno – e loro per primi – che prima o poi dovranno ripensarci. Almeno perché hanno un ostacolo in comune: la Lega. Salvini e Alfano si detestano apertamente, e per quanto riguarda Berlusconi non esiste certo il rapporto che l'ex Cavaliere aveva con Umberto Bossi. D'altra parte la road map di Salvini sembra già abbastanza chiara: accordarsi con i Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni per le prossime regionali, continuare a sottrarre consensi a Forza Italia cavalcando temi come l'uscita dall'Euro e l'immigrazione, lanciare un'opa sul centrodestra e alla fine candidarsi a sfidare Matteo Renzi.
È vero che tra i due ci sono ancora una ventina di punti di distanza, ma la rincorsa di Salvini è veloce. Nonostante il premier resti ancora saldamente in testa alla classifica dei leader più apprezzati (anche più del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano), il fatto che a piazzarsi alle sue spalle sia "l'altro Matteo", è per lui comunque un bel problema. Intanto perché il segretario della Lega non è un capo sulla via del tramonto come quelli che Renzi ha avuto gioco facile nel rottamare all'interno del suo stesso partito. E poi perché, abbandonata la bandiera secessionista a favore di quella anti-Europa, anti-immigrati e anti-Rom (il 77% degli italiani si dice a favore degli sgomberi), Salvini sta facendo proseliti anche al Sud dove la sua "popolarità" è arrivata addirittura al 30%.
Per la prima volta, invece, ad avere un problema di immagine e di consenso è proprio il segretario-premier: la fiducia nei suoi confronti è precipitata, in un solo mese (tra ottobre e novembre) di ben 10 punti, dal 62 al 52%. È vero che il suo gradimento resta ancora molto alto sia tra gli elettori democratici che tra gli altri, ma il calo è vistoso. Il problema sta forse nel fatto che per gli elettori del Pd Renzi è troppo di destra e per gli altri ancora troppo di sinistra. Tra chi vota Fi l’indice di fiducia cala infatti di 17 punti, dal 46% al 29%. Di 13 punti nella base leghista: dal 41% al 28%. Anche chi, benché politicamente distante dall'area progressista, aveva deciso di dare fiducia al leader di quell'area perché sufficientemente post-ideologico per abbatterne i simboli e imprimere una sterzata liberista alla politica economica e occupazionale del nostro paese, adesso inizia a fare marcia indietro, a sospettare che Renzi non abbia effettivamente né la forza né gli strumenti né una maggioranza parlamentare abbastanza solida per concretizzare le sue tante promesse di cambiamento.
Non a caso a registrare il calo più consistente è il governo. I consensi verso l'attuale esecutivo restano alti soltanto tra chi crede ancora in una ripresa dell'economia e nell'illusione tutta renziana di un rilancio generale del sistema-Italia. Mentre è tra imprenditori e lavoratori autonomi (dal 64% al 42%), casalinghe e disoccupati che si registra la maggiore disaffezione. Ossia tra quelle categorie che di fronte all'inarrestabile calo del Pil e all'aumento continuo della disoccupazione, hanno smesso di farsi illusioni. Ed è proprio per questo che adesso Matteo Renzi si trova davanti a un bivio: rischiare il tutto per tutto e andare al voto in primavera prima di perdere altro terreno, oppure – come è più probabile – provare a sopravvivere davvero fino al 2018. Come? Continuando ad andare veloce, per inseguire se stesso sperando che nel frattempo qualcun altro non lo superi.
Il partito “piglia-tutto” delle scorse europee non c'è più: dal 42% ottenuto a maggio, il Pd scivola infatti al 36,3%. A raccontarlo è l'ultimo sondaggio realizzato da Demos nel fotografare tutta una serie di cambiamenti in atto nello scenario politico: intanto il primo calo di consensi per Matteo Renzi(sceso tra ottobre e novembre dal 62% al 52%) e del governo (dal 56% al 43%, a giugno era al 69%), poi il forte avanzamento della Lega(10,8%) e di Matteo Salvini (32%). Infine, tolto il M5S fermo al 20%, la ripresa degli altri concorrenti del Pd che messi insieme (il 16,2 di Forza Italia, il 10,8 della Lega, il 3,6 di FdI e il 3,8 di Ncd-Udc) arriverebbero al 34,4%, a soli due punti dal Partito Democratico.
Partiamo infatti da quest'ultimo dato, ossia la ricomparsa di una possibile alternativa a Renzi. Non è un caso che Silvio Berlusconi sia tornato a parlare, proprio in questi giorni, di unità del centrodestra e che Forza Italia e Ncd abbiano ripreso a dialogare. La pace tra l'ex Cavaliere e Angelino Alfano è forse un'ipotesi ancora troppo remota, ma tutti sanno – e loro per primi – che prima o poi dovranno ripensarci. Almeno perché hanno un ostacolo in comune: la Lega. Salvini e Alfano si detestano apertamente, e per quanto riguarda Berlusconi non esiste certo il rapporto che l'ex Cavaliere aveva con Umberto Bossi. D'altra parte la road map di Salvini sembra già abbastanza chiara: accordarsi con i Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni per le prossime regionali, continuare a sottrarre consensi a Forza Italia cavalcando temi come l'uscita dall'Euro e l'immigrazione, lanciare un'opa sul centrodestra e alla fine candidarsi a sfidare Matteo Renzi.
È vero che tra i due ci sono ancora una ventina di punti di distanza, ma la rincorsa di Salvini è veloce. Nonostante il premier resti ancora saldamente in testa alla classifica dei leader più apprezzati (anche più del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano), il fatto che a piazzarsi alle sue spalle sia "l'altro Matteo", è per lui comunque un bel problema. Intanto perché il segretario della Lega non è un capo sulla via del tramonto come quelli che Renzi ha avuto gioco facile nel rottamare all'interno del suo stesso partito. E poi perché, abbandonata la bandiera secessionista a favore di quella anti-Europa, anti-immigrati e anti-Rom (il 77% degli italiani si dice a favore degli sgomberi), Salvini sta facendo proseliti anche al Sud dove la sua "popolarità" è arrivata addirittura al 30%.
Per la prima volta, invece, ad avere un problema di immagine e di consenso è proprio il segretario-premier: la fiducia nei suoi confronti è precipitata, in un solo mese (tra ottobre e novembre) di ben 10 punti, dal 62 al 52%. È vero che il suo gradimento resta ancora molto alto sia tra gli elettori democratici che tra gli altri, ma il calo è vistoso. Il problema sta forse nel fatto che per gli elettori del Pd Renzi è troppo di destra e per gli altri ancora troppo di sinistra. Tra chi vota Fi l’indice di fiducia cala infatti di 17 punti, dal 46% al 29%. Di 13 punti nella base leghista: dal 41% al 28%. Anche chi, benché politicamente distante dall'area progressista, aveva deciso di dare fiducia al leader di quell'area perché sufficientemente post-ideologico per abbatterne i simboli e imprimere una sterzata liberista alla politica economica e occupazionale del nostro paese, adesso inizia a fare marcia indietro, a sospettare che Renzi non abbia effettivamente né la forza né gli strumenti né una maggioranza parlamentare abbastanza solida per concretizzare le sue tante promesse di cambiamento.
Non a caso a registrare il calo più consistente è il governo. I consensi verso l'attuale esecutivo restano alti soltanto tra chi crede ancora in una ripresa dell'economia e nell'illusione tutta renziana di un rilancio generale del sistema-Italia. Mentre è tra imprenditori e lavoratori autonomi (dal 64% al 42%), casalinghe e disoccupati che si registra la maggiore disaffezione. Ossia tra quelle categorie che di fronte all'inarrestabile calo del Pil e all'aumento continuo della disoccupazione, hanno smesso di farsi illusioni. Ed è proprio per questo che adesso Matteo Renzi si trova davanti a un bivio: rischiare il tutto per tutto e andare al voto in primavera prima di perdere altro terreno, oppure – come è più probabile – provare a sopravvivere davvero fino al 2018. Come? Continuando ad andare veloce, per inseguire se stesso sperando che nel frattempo qualcun altro non lo superi.