Creato da Marvelius il 21/08/2012

Marvelius

Elrond lands :dove il mito e la fiaba, la realtà e la fantasia si incontrano al crocicchio del vento

 

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Borderline II ...

Post n°102 pubblicato il 09 Maggio 2015 da Marvelius
 

 

 

 

 

 

Giro tra le mani un libro di Terzani , dentro di me ho una gran nausea per come va il mondo, così lo  poso su un tavolo  come un sasso che non rotola ed esco all’aria aperta tra i profumi della notte.

Mi aggiro come un ladro tra le viuzze di pensieri molesti, ascolto i venti e i gelidi bisbigli di parole dimenticate dal tempo, ed’ è come un refrain tra le nebbie di uno spazio sempre uguale a se stesso . Mi siedo afflosciandomi sull’erba come un sacco vuoto, i latrati dei cani infestano la notte squarciandone il silenzio mentre una luna assisa in un cielo nero come una lastra di carbone ne ruba la scena come una gran dama sicura del suo splendore. Tra pietre spigolose e bianche  mi rintano come un animale smarrito e mi scopro granulo  di sabbia che  ha perso il suo mantello d’oro.

Tredici son gli ospiti, porterà mica iattura? E tredici su una bimba che non sa cosa sia la sventura ma solo un dolore che lacera e muta il suo vivere per sempre, un vuoto abisso che mai riempirà svuotando amari ricordi, mentre il sudore si mischia a un sordo piacere di sodali bestie  i cui alibi restano appesi alle loro cintole come stracci putrescenti.

 Una voce echeggia tra i  tartari e le gole dei monti come una reclame pubblicitaria che ha perso i suoi clienti, “è sempre lo stesso mondo dice  e cambia canale, “è un mondo putrido e violento ripete e torna indietro invitando a guardare quel lago tra verdi foreste e fiori pastello immersi tra caule d’erba ondeggianti nel  vento.

È sempre lo stesso mondo… gli rispondo sussurrando tra i denti con lo sguardo emaciato di chi ha visto l’orrore attraversare i secoli e rimpinguarsi d’odio e ferocia, tra  l’indifferenza dei grandi  e l’incapacità dei piccoli , ma sono solo un grano di sabbia e mi affido al vento, così lo prego di portarmi lontano, tra macchine infernali e i tavoli lucidi di raffinati maggiorenti  .

I miei anni sono un vecchio cumulo di battaglie e il mio braccio tornito da vene grosse come giunchi sa ancora afferrare, stringere in una morsa che piegherebbe il ferro,  tu  invece un giovane virgulto, invecchiato osservando nuvole alte nel cielo limpido dell’estate, sordo ai richiami dei papaveri che rossano i campi dell’Ovestfalda  e cieco alle spighe che non ancora mature sono recise  dalle falci messorie di chierici dimoranti sul monte Fato

e intanto un sidro vermiglio  scorre in lindi calici di cristallo.

Svuoto olle fumigati d’unguenti nauseanti e guardo a ostro sui bianchi simulacri del tempo l'immagine di noi sfolgorare tra spire del vento.

 

 

 


 Scheletri rilucono al sole che ne ha spolpato i tendini e la sanguigna carne, finanche la loro storia ora è bruma che si alza muta nel buio di una notte orfana di stelle.

Cosa rimane del nostro stupore, dov’è finito lo sdegno di un tempo, i busti impettiti di rabbia, i pugni stretti nell’attesa di un impeto d’ira furibonda, solo rimandi a un passato gravido di conquiste e laidi oltraggi, eppure un uomo sa scrutare nell’animo dei suoi simili e una donna riconoscere ciò che alberga nel cuore di un figlio , il marcio che rode e consuma gli usberghi  della specie.

 Un ofide striscia tra volute di torba e spire vellutate si attorcigliano ai nostri virgulti, splendide gemme che non fioriranno, occhi diafani e voci stridule strappate anzitempo dal  furore del giorno e dal ghiaccio biancore di una notte d’ argento 

e …  ancora sversa un sidro cinabro in unti calici d’elettro.  

Ho visto sventolare bandiere rigate di bianco e rossi drappi sulle vie dei martiri, scuri sudari mondati dalla pioggia, e al mattino sotto le sferzate del vento i chiari vessilli del potere ghermire il vento come fauci di leoni.

Ho visto tra la sabbia che fa sanguinare gli occhi, schiere di forzati trascinare i corpi donandosi alla morte sui carri di un sole nascente e  popoli dal basso sguardo chinare il capo e con gli occhi in un pelago di rugiada volgere a mancino per non morir vivendo.

Diruti villaggi e pance gonfie di bambini dagli sguardi sparuti, tristi dolenze nella cieca rettitudine di un falcidiante destino e poi …  tavoli d’avorio e bianchi incarti su cui tagliuzzare neri confini  e pingui bottini di malasorte, cupi forzieri di tenebra e specchi di alabastro senza più un  riflesso, tra  spenti fari di un cupo lascito.

 



 

 E ora cosa resta di quel vino in coppe ageminate ... cosa resta nelle mie mani e nel vuoto calco dei miei occhi se non l'inutile fiamma di un commento o l’arsa sete del tetro  Campo di Etrom?

 

MARVELIUS

 

 
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