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Marvelius

Elrond lands :dove il mito e la fiaba, la realtà e la fantasia si incontrano al crocicchio del vento

 

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L'Illuminazione I

Post n°73 pubblicato il 02 Novembre 2013 da Marvelius
 

 

 

Quando l’alba  giunse con le sue pennellate

magenta carezzando le cime dei monti e

ricoprendo di luce le vallate, si mossero

spingendo

 le cavalcature oltre le barriere d’erba alta.

Calpestarono i prati coi loro cavalli sbuffanti,

lasciando  dietro di loro  il terreno brullo e

devastato dagli zoccoli ferrati.

Nei loro petti il freddo inverno della loro rabbia,

nei loro cuori la lava bollente dei loro artigli

ancorati alla vita ma che di lì a poco, per molti,

sarebbe scivolata come pioggia sulle foglie

nella rossa spremitura  di virgulti.

Lo aspettavano giungere con la sua armatura

 brunita, cimiero cremisi al vento, lo scudo

scarlatto con ali di falco e un destriero scuro

come penne di un corvo, spillando  dalle froge

bruma  densa simile a  schiuma di mare.

Si sarebbe abbattuto sulle  schiere nemiche

come un angelo mietitore che ha dismesso da

tempo pietà e misericordia e affronta i suoi

demoni brandendo lunghe spade fiammeggianti.

Al suo fianco colui che mai lo avrebbe abbandonato,

l’amico di cento battaglie,  sprezzante della vita e

del dolore, di ferite sul corpo dolorante come

infitte cuspidi lancinanti che lo avrebbero

accompagnato  per sempre nelle lunghe notti di

insonnia .

 

La luna era alta nel cielo e spandeva la sua luce

come una mondina semina junte di riso.

Lylieth se ne stava al fuoco del suo bivacco

con un morso di pane non lievitato tra le mani e

lo sguardo perso su un orizzonte lontano.

Tenebre oltre la notte e la luce delle stelle tra

fiamme ritorte, lingue di un vermiglio fulgore a

incendiare l’aria e la legna scoppiettante.

Lo avrebbe atteso invano nel silenzio della

radura.

Nel vento avrebbe udito i gemiti e il lamento

delle sue ferite e al vento avrebbe consegnato le

preghiere come note di metallo per ammantarne

e proteggerne la vita tra lo stridore delle armi

 e il pianto sincero delle donne .

Lunghi capelli neri su guance di luna

appena ombrate dal rosso pallore del freddo

La bocca era un fico spezzato e i suoi occhi

  pozzi d’ardesia  nella nivea coltre d’inverno

 d’una pelle simile a seta, la dove ogni mistero

avrebbe

                         perso le chiavi del suo  oscuro segreto.                            

Lo avrebbe atteso invano come invano avrebbe

ascoltato null’altro che non il vento stormire tra

le foglie.

Come gocce di un ruscello lontano avrebbe

udito tra il fogliame il tintinnio dei suoi cenni.

Ma Lui non c’era già più in quel mondo,

non era più il Principe  del suo regno,

il Signore delle sue terre, il Dominus del suo

castello, sentiva  bisogno di mutare  il corso delle

 sue cose, cambiare il fato che lo stava avviluppando

come mai così ferocemente era stato nella sua vita.

Come un baco nel suo bozzolo filava le sorti del suo

trasmigrare, lentamente, costantemente nel volgere

del suo pensiero che si cristallizzava nella rinuncia.

Buttò le sue armi a terra e lascio scivolare la

corazza di metallo ai suoi piedi come una pietra

 che precipita nel silenzio della notte, poi diede un

colpo sui garretti del suo cavallo e lo lasciò

andare al suo destino.

Si sedette a pensare alle cose caduche  e al tempo

che stava smarrendo su un fiume troppo impetuoso

da guadare.

Der suchende … der  suchende  si ripeteva tra

labbra morse e sanguinanti, ne aveva consapevolezza

come aveva ben presente le mancanze del suo

cercare, il tragico epilogo della sua vana mèta.

Cercava nelle cose esteriori ciò che non trovava nel

suo io, anzi aveva del suo io la visione di qualcosa

di unico e irripetibile ma più cercava di identificarne

i caratteri più si accorgeva di non conoscerlo affatto,

di avere di esso una conoscenza tanto vaga

quanto quella di un perfetto sconosciuto.

Trovava la superficie delle cose e quanto piu si

affannava più annaspava nelle acque torbide della

sua incapacità di vedere e sentire.

 

 

Si sedette su una pietra come preda dell’ansia,

ma le forze pian piano lo abbandonarono,

la fronte imperlata di sudore  e un disagio che lo

teneva sveglio e palpitante lo proiettavano al di

fuori di sè come un corpo etereo che ha smarrito

la via e il senno..

Tutt’intorno alberi contorti dalle

generose fronde e un verde di cespugli spinosi.

I suoi occhi balenavano come riflessi cangianti

nel brillio dei raggi di un sole splendente e le ore

passarono sui carri del tempo, come anelli di una

catena si fusero le une con le altre, così giunse la

notte e  seguitò il giorno.

Stanco e avvilito, tra i morsi della fame si smarrì,

i giorni si alternarono come le nuvole nel cielo

di marzo mentre lo sguardo si lacerava nel fiume

seguendone il corso.

 

 

Poi giunse la scintilla che tutto incendia, la fiamma

 che spande il calore nei recessi dell’anima e brucia

i covoni ammassati nello spirito come pile di ricordi .

Si alzò di scatto come se il mondo si disciogliesse

davanti ai suoi occhi e di colpo sapesse cosa fare,

in preda al suo pensiero saettante si avviò lungo un

viale d’erba e sassi,  mentre nel suo sguardo la stilla

di un illuminazione profonda aveva l’inconfondibile

segno dell’Uno e dell’Eterno.

In quell’attimo stesso di rivelazione si lasciò alle spalle

le sue vite passate e in quel preciso momento si immerse

come un fanciullo in una nuova vita fatta di promesse e

certezze, di visioni senza inganno e apparenze, anzi le

apparenze divenivano esse stesse verità da sondare e

decifrare immergendosi in esse con tutto il suo essere e

lasciandosene pervadere come quando ci si immerge in

un lago e ci si lascia cadere nel suo fondo fino a toccare il

limo freddo e denso per poi  riemergerne mutati

 nella nuova luce di acque fresche e trasparenti.

Man mano che camminava si liberava degli affanni e

di un velo che lo aveva ricoperto per tutta la sua

esistenza, si spogliava dei suoi vecchi insegnamenti

come una serpe si libera della sua veste  mutando la

sua pelle.

Capiva quanta inconsistenza lo aveva trascinato con sè

e quanti  dogmi lo avevano rivestito di cortecce e idoli,

quante condizioni lo distoglievano dal vivere senza i

vincoli di una liberazione dal dolore e dal proprio io .

Riacquistava dunque  la consapevolezza di se stesso,

del suo Io  pensante da cui tanto era rifuggito in quegli

anni e di cui così poco si accorgeva di conoscere.

Tanto mi è estraneo il Me Stesso che tanto ho vagato

per cercare di distruggerne le catene che mi separavano

da esso
”.. pensò tra  sé e mentre pensava si acquietava

il suo spirito, si ammansiva la sua anima e faceva pace

con l'Io, come due vecchi amici che si ritrovano dopo un

lungo peregrinare tra sofferenze e visioni effimere nel

lungo inverno della vita.

Aveva ritrovato la strada che conduceva a se stesso

 senza bisogno di scarnificare il senso della sua vita e

trovare il mistero tra le rovine della sua dimora,

solo cercando nei segni del mondo, nel vivere del

mondo sentiva la voce che conduce al cuore delle cose.

Ora era semplicemente Lui … l’uno e  il tutto  fusi

nella consapevolezza dell’unicità e della molteplicità,

nella solitudine del mondo aveva ritrovato ciò

che più gli era stato sempre accanto e  in

questa nuova visione di sé  si avviò lungo il corso del

suo fiume tra anse morbide e pennellate da variopinte

chiazze di fiori … mentre il sole indorava le acque che

scivolavano lente verso il suo verde mare …(segue…)

                                                                                               (segue)
Marvelius

 
Rispondi al commento:
freeontheair
freeontheair il 10/11/13 alle 08:21 via WEB
Prima di tutto complimenti per la scelta musicale...è stupenda. L'abbandono che sia di una persona che sia di se stessi crea sempre dolore, ansia indipendentemente dal motivo per cui si fa . Il guerriero cerca la via verso la sua tranquillità e non solo sapendo benissimo le conseguenze...un abbraccio ,dany
 
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