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"LA FINE DEL LIBRO"

Post n°82 pubblicato il 04 Marzo 2014 da Marvelius
 

 

 

La fine del libro : racconto breve del 1994 riadattato in

forma piu sintetica per il blog. 

 

Quella notte Lorenzo capì che un pendolo non può oscillare all’infinito, lo aveva compreso guardando il grande orologio a muro del suo salone, aveva ridacchiato tra sé  gli aveva dato un ultima carica, così, quel misurino del tempo aveva ripreso la sua altalenante condanna tra un tic tac banale e ripetitivo.

Poi si era sistemato comodo sulla sua sedia a dondolo, si era coperto le gambe con un ampio plaid di lana scozzese e aveva dato un occhiata alla sua stanza ben ordinata, infine, si era tolto gli occhiali, li aveva infilati nella tasca della giacca e si era addormentato

pian piano ...



Lorenzo era cresciuto in un vecchio istituto di frati insieme a tanti altri ragazzi che come lui custodivano le speranze di genitori troppo impegnati per occuparsi di loro, ma abbastanza orgogliosi da pretendere per essi un futuro che li ripagasse degli sforzi sostenuti per mantenerli negli studi.

Fin dall’infanzia era apparso evidente che Lorenzo sarebbe stato un ragazzo modello. Ordinato e meticoloso, si immergeva nello studio con una caparbietà ad altri sconosciuta, ma si sa la vita toglie e la vita dà e a quel ragazzo a cui la natura aveva concesso un intelligenza fuori dal normale gli aveva negato il carattere, la forza e quel pizzico di malizia che prepara alla vita, così era finito per diventare il buon Lorenzo a cui impartire ogni tipo di scherzo e di sopruso. Ma Lorenzo non era un codardo, il suo carattere mite lo predisponeva alla tristezza della vita, ad incassare i colpi più amari e a perdonare senza rancore. Si caricava dei problemi degli altri ragazzi ed era sempre pronto a ripartire da zero. Aveva imparato  presto che la fiducia riposta nei suoi compagni lo ripagava spesso con vergate e punizioni da parte dei suoi precettori ma ciò nonostante era sempre pronto ad assolvere e sopportare  .

A volte, quanto più dura era stata la giornata,con le lacrime negli occhi si rinserrava sotto le coperte e rannicchiandosi nel letto ricordava i suoi genitori. 

Di suo padre aveva un ricordo vago e distaccato, un ombra vagheggiata

tra le tinte fosche della notte, un uomo assente che presto li aveva abbandonati per svanire insieme alla sua inutilita di padre e marito.

Sua madre era precipitata nella spirale della depressione, un lungo tunnel fatto di angoscia e un melanconico nichilismo che la portava a rifiutare persino suo figlio ma lentamente era uscita dal baratro con l'aiuto del suo medico e  come in una favola a lieto fine si era risposata. Da quella unione era nato un figlio che pian piano aveva rimpiazzato il buon Lorenzo raccogliendo ogni attenzione e tutto il suo affetto di un tempo, quasi che lui fosse tutto ciò che ancora la legasse al suo primo marito.

Così quel collegio era finito per diventare la sua vera casa a cui si era adattato pur tra le visite  sempre più rade di quella donna bionda e alta che oramai da anni non rivedeva più.

Dopo i suoi studi aveva preso a scrivere e recitare, ma la sua voce stridula e goffa mal si adattava ad un palcoscenico e ai testi che avrebbe amato interpretare.

Aveva scritto numerosi romanzi e racconti d’ogni genere, ma nessuno aveva voluto pubblicarli, poche risposte fatte di rifiuti e frasi di circostanza.

Le storie sofferte, le vite spezzate e i sogni infranti che prendevano vita nei suoi romanzi non trovavano l’interesse degli editori, troppo cupi e pieni di tristezza dovevano apparire a quel mondo a cui lui sembrava non appartenere più.

Così lentamente si era spenta la sua vena creativa e si era messo da parte rinunciando a tutte le  aspirazioni di un tempo, ai sogni coltivati nel chiuso della sua anima .

Ogni tanto riapriva il cassetto della sua scrivania prendeva dei fogli bianchi e li riponeva sul tavolo, restava delle ore a guardarli mentre con il pensiero li sfogliava ricoprendoli di tutti i racconti che avrebbe voluto scrivere, poi con tristezza li riponeva lentamente nel cassetto.

In quei giorni era venuto a trovarlo, dopo molti anni, l’unico vero amico dei suoi freddi inverni nel vecchio Istituto San Bernardo, Lorenzo nel vederlo ebbe un sussulto di gioia e fu felice come forse mai lo era stato.

Luca era un uomo alto e magro con i capelli brizzolati ed un aspetto elegante, il volto scavato dalle occhiaie tradiva il suo stato di salute che lo aveva accompagnato fin dalla giovinezza. Lorenzo al contrario era un uomo robusto dalle guance rosse ed il viso glabro, portava degli occhialini tondi che lo rendevano simpatico e goffo allo stesso tempo. I capelli corti ne ispessivano il capo ma nell’insieme della sua figura

era un uomo che ispirava serenità, fiducia e molta dolcezza.



Luca si era fermato alcuni giorni a casa sua, avevano ricordato i tempi della scuola, delle ore di latino e greco e dei seminari passati a farsi dispetti, poi una sera gli aveva confessato di essere gravemente ammalato e che quella sarebbe stata la sua ultima visita.

Lorenzo non aveva saputo dire niente, ascoltando e soffrendo come aveva sempre fatto, in silenzio, ma nel suo cuore vi era un tormento che Luca conosceva bene per questo aveva cercato di cambiare subito discorso.

Andarono a dormire a notte fonda, l’indomani Luca sarebbe partito.

Ma fu una notte in cui Lorenzo non riuscì a dormire visitato dai fantasmi della sua giovinezza e dal circolo dell'esistenza  fatta di distacchi e addii laceranti. Un altro pezzo della sua vita se ne stava andando verso una deriva che languida lo trascinava al ricordo di una vita piatta e noiosa come i suoi libri, un vortice di immagini lo rapiva e lo stordiva confinandolo in un tartaro fatto di echi e sprazzi di colori informi ... poi tutto era stato risucchiato dal buio e dal silenzio della notte .

L’indomani Luca e Lorenzo si salutarono tra lacrime mal celate e quando Luca entrò nell’ascensore richiudendo la porta alle sue spalle Lorenzo si vide solo in un mondo a lui estraneo.

Si affacciò dalla finestra del suo studio con un senso di estraneità opprimente e vide la gente, frenetica, attraversare la strada, entrare ed uscire dai negozi fra gli sguardi assenti, macchine in coda tra i fumi dei motori e i suoni isterici dei clacson.

Una moltitudine di vite continuamente alla ricerca  di una felicita  che scivolava dalle mani come pioggia sulla pelle, un effimera chimera che regalava apparenza per poi lasciare il  vuoto di un insoddisfazione costante.

Si sentì triste e per la prima volta non ebbe voglia di reagire si strinse nelle sue spalle strette e appoggiandosi al muro ruppe in un pianto muto e soffocante.

Assaporò quasi sadico quel suo tormento, sentiva il petto stringersi in una morsa devastante, un nodo alla gola gli serrava il respiro e tutta l’inutilità della sua vita gli scorreva davanti agli occhi pieni di lacrime.

Gli venne in mente sua madre, la ricordava sorridente e delicata accarezzargli le guance, ne ricordava il profumo dolce che gli lasciava sugli indumenti. Rivide i suo occhi verdi guardarlo con dolcezza e la su avoce sottile e delicata infondergli coraggio e sicurezza, ricordò i suoi abbracci i bisbigli tra i suoi capelli e il calore della sua pelle sulla sua.

Singulti acerbi da troppo tempo trattenuti nell’anima si fecero strada a ondate, con un fazzoletto bianco con ricamate le sue iniziali di azzurro si tamponava gli occhi,  ma senza una via di uscita da quel suo mondo in declino si arrese alla disperazione e al fallimento.

Poi a fatica si diresse al suo studiolo e allungando le braccia cercò la sua poltrona immersa nella penombra, vi si  adagiò come a perdersi nel vuoto, e in una caduta esanime ed eterna  cercò di ricordare qualche momento di felicità, ma sapeva che erano stati ben pochi ed effimeri. Così allungò una mano fino a raggiungere il cassetto dove teneva i suoi fogli bianchi li tirò fuori e quasi inconsapevolmente iniziò a scrivere.

Aveva superato la cinquantina e l’amore lo aveva puntualmente evitato, non che non avesse mai provato dei sentimenti per una donna anzi , ma c’era stato sempre chi prima o poi lo aveva scavalcato nell’attesa che  lui dichiarasse le sue intenzioni, così, era diventato un custode di segreti, un amico con cui confidarsi e niente più ma si era adeguato, come sempre, a questo ruolo accettandolo serenamente ma in un  oceano di rimpianti e una sconfinata delusione che sapeva ben celare .

Passati gli anni della giovinezza anche questo ruolo lo aveva ripudiato ed ora si ritrovava solo nell’intimità della sua casa come una torre diruta che attende il crollo dopo anni di solitudine e abbandono.

Il suo libro intanto lentamente stava prendendo forma, scriveva in ogni ora del giorno preso da una frenesia che non pensava più di possedere.

Una mattina era sceso a comprare il solito giornale,  lì sotto la sua casa aveva conosciuto Giulia, una donna intorno ai quaranta, bella come Lorenzo ne aveva visto poche nella sua vita, avevano scambiato qualche chiacchiera sul vago, ma presto si erano ritrovati ogni mattina dallo stesso giornalaio e preso a frequentarsi. Lorenzo era affascinato dalla bellezza di Giulia, dalla sua vitalità per ogni cosa che faceva ed in breve tempo erano diventati buoni amici.

Più volte avevano pranzato insieme e trascorso molte ore nei parchi della città a chiacchierare dei loro interessi, delle loro passioni fino a scoprirsi tanto simili da restarne a volte meravigliati entrambi.

Lorenzo per la prima volta era veramente felice, si accorgeva di quanta energia gli emanasse Giulia e pian piano si era innamorato di quella donna elegante e raffinata che gli aveva aperto le porte della sua vita.

Lei sembrava assecondarlo, gli confidava ogni cosa e gli si stringeva tra le braccia cercando di metterlo in imbarazzo tra la gente per poi scoppiare a ridere con la sua voce cristallina che accendeva Lorenzo di passione.

Un giorno gli aveva confidato di essere sposata, ma di vivere lontano dal marito oramai da anni. Gli aveva più volte ripetuto di aver attraversato momenti terribili con quell’uomo ma che da qualche tempo aveva ritrovato una serenità ed una voglia di vivere nuova e Lorenzo in questo si sentiva felicemente responsabile.

Tutto procedeva nel migliore dei modi, il libro era quasi finito e Giulia non gli negava quei sorrisi e quelle piccole carezze che il tempo, sperava Lorenzo, avrebbe tramutato in un affetto più profondo  mentre in lui l’amore lo ardeva e lo consumava come un adolescente.

Si alzava sempre più presto la mattina con l’idea di incontrarla e andava a letto sempre più tardi immaginando il sorriso di lei nei suoi occhi e trovando nei sogni e nei pensieri il coraggio di parole che nella realtà, di fronte a lei, non riusciva a pronunciare

Quella mattina attese a lungo il suo arrivo ma lei non venne. Quando il campanello suonò era ormai sera, Lorenzo si alzò di scatto dalla poltrona e si precipitò a lunghi passi ad aprire il portone e lei  apparve come un angelo a dargli sollievo nel mezzo della selva delle sue preoccupazioni .

Lo guardò con tenerezza e con un po di imbarazzo, allungò un braccio sul petto di lui ma non volle entrare ed accigliando lievemente lo sguardo gli parlò guardandolo dritto negli occhi:

Devo dirti una cosa

e a Lorenzo sembrò più bella che mai.


Ho rivisto mio marito, abbiamo parlato di tante cose, di come eravamo, dei nostri errori. La lontananza ci ha cambiato … ha fatto riflettere entrambi e a me ha dato l’opportunità di conoscerti, sei stato molto più che un amico e a te devo la serenità e la fiducia in me stessa che avevo perduto … tutto questo non lo dimenticherò mai”.

Poi aveva chinato il capo sul suo petto e tratto un lungo respiro, quando rialzò il capo aveva gli occhi lucidi ma pur con la voce rotta dall’emozione continuò a parlargli.

Io e Paolo abbiamo deciso di riprovare a tornare insieme, chissà, questa volta forse sarà diverso e potrà funzionare, domani partiremo per un viaggio spero che sarà felice come lo è stato quest’ultimo periodo”.

Questo gli aveva detto, poi lo aveva baciato su una guancia e se ne era andata nel silenzio ovattato del pianerottolo.

Lorenzo aveva rinchiuso la sua porta e con quella anche la sua anima, era ricaduto nella trappola del suo destino, con le sue gioie effimere ed i suoi baratri  amari.
Un tempo avrebbe cercato una ragione in tutto questo e ripreso la sua esistenza ora avvertiva un distacco nuovo che lo affliggeva e lo consumava, si sentiva avvilito come quando vedeva sua madre salutarlo fuori dal cancello del collegio e svanire con la corriera delle cinque, allora sapeva che prima o poi sarebbe ritornata, almeno questa speranza lo aiutava a superare i freddi inverni della sua mite esistenza e i giorni duri nell’istituto, ora invece questa speranza non c’era e forse non c’era mai stata.

Riprese i suoi fogli, decise che avrebbe finito il suo libro, lo avrebbe spedito all’ennesimo editore per riprendere il ciclo di umiliazioni di un tempo, ma non gli interessava più oramai, tutto era coerente con quella che era stata la sua vita....una banale esistenza fatta di sconfitte e orizzonti grigi.

Terminò il suo ultimo capitolo a notte fonda, proprio quando il grande orologio a muro rintoccava le quattro, Lorenzo si alzò e si diresse verso il pendolo immobile come un chiodo infisso alla parete.

L’editore ricevette il libro alcuni giorni più tardi, sulla copertina una frase: “LA FINE DEL LIBRO” ed un indirizzo, poi nient’altro.

Egli lo lesse attentamente assaporando ogni rigo, ogni frase intimamente costruita in un dramma lungo una vita, capì di trovarsi nell’esistenza di un uomo a cui la vita molto aveva tolto concedendogli ben poco.

Penetrò la grandezza di quell’anima che in molti avevano ignorato e così decise che l’indomani lo avrebbe telefonato per fissare un incontro, poi rilesse con calma il finale del libro:

 


Quella notte Lorenzo capì che un pendolo non può oscillare all’infinito, lo aveva compreso proprio stando davanti al grande orologio a muro del suo salone, aveva ridacchiato tra sé e gli aveva dato un ultima carica, così quel misurino del tempo aveva ripreso la sua altalenante condanna tra un tic tac banale e ripetitivo. Poi si era sistemato comodo sulla sedia a dondolo, si era coperto le gambe con un ampio plaid di lana scozzese e aveva dato un occhiata alla sua stanza ben ordinata, infine,  si era tolto gli occhiali, li aveva infilati nella tasca della giacca e si era addormentato pian piano.........nell’odore acre del gas.

Lentamente il sonno avrebbe lasciato il posto alla morte che in silenzio avrebbe violato il suo corpo mentre la sua anima ormai era già morta da tempo
.


                                                              
MARVELIUS

 
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Nuvola_vola
Nuvola_vola il 15/03/14 alle 20:13 via WEB
Stupendo sai...incantata davvero..senza parole...Un abbraccio!
 
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