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Elrond lands :dove il mito e la fiaba, la realtà e la fantasia si incontrano al crocicchio del vento

 

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IL FAUNO ...

Post n°83 pubblicato il 25 Marzo 2014 da Marvelius
 

 


Le nuvole ricoprivano tutta la porzione di cielo che lo

sguardo poteva abbracciare.

A nord le montagne erano immerse per gran parte

in una nebbia densa che dal bianco scoloriva

in un grigio carico di pioggia.

 A sud, lungo le praterie sconfinate, un mare di bruma

galleggiava sull’erba  assorta nel mormorio del vento.

In questo declivio di un biancore sporco e ovattato

stavano appollaiati a levante e ponente i piccoli borghi

fortificati come nidi di rapaci raccolti nelle loro

cinte merlate.

Castellari dormienti e resi sicuri da solide pietre,

tra torrioni svettanti e masti poderosi, mentre

al loro interno, ancora fumanti, le case di ciottoli e argilla

si tenevano strette l’un l’altra in un abbraccio intimo

e rassicurante.

Sulle torri più alte, verso sera, venivano accesi i

Fuochi dell Alleanza, occhi scintillanti tesi a rinsaldare

un unione che da secoli scacciava

le tenebre della notte segnando il cammino per

i viandanti e  forgiando una catena ideale

per ogni uomo che di quelle terre era sovrano e custode.

 

 

Quando la notte era assisa in cielo e in ogni angolo

di quella terra l’ululato dei lupi segnava il domino

di una natura selvaggia,

tutte le porte venivano sbarrate, i cardini serrati,

i cancelli sprangati, i portali di pietra piombati dai loro ponti

levatoi e ogni borgo, ogni castrum, ogni castellanìa

si rinserrava in se stessa nell’attesa che la notte

giungesse presto al termine .

Fuori ,tra gli alberi alti della foresta, fra i grovigli di cespugli

 e i rovi molestati di spine e bacche dal sapore dolcissimo,

oltre le radure, in ben altro calore forgiavano la loro rabbia

i cuori neri e innominati del bosco.

Non era il fuoco dei camini che li avrebbe tenuti lontano

ne la luce fioca delle candele o l’olio combustibile di

piccole lampade infisse nei muri tinti a calce.

Niente li avrebbe fermati se avessero voluto …

 nessuno avrebbe potuto nulla forse neanche il fuoco.

Ma per ora le grandi mura merlate, i grandi ponti

levatoi e i fossati colmi d’olio nero potevano tutto questo.

Da un secolo l’olio dei fossati era restato spento,

un immoto gorgogliare di liquido scuro e denso che era

bastato a tenere lontano, con il suo odore pungente e

venefico, le bestie della foresta e Lui …

la Belva Innominata

che tutte  teneva avvinte al suo dominio.

Quando la sera giungeva, le ombre della boscaglia

si allungavano fino a ghermire le pietre dei fossati e tutto

tornava a galleggiare nella paura e nel timore,

nell’ansia di ore lente tessute dai ferri di un

Candelaio silente.

Sulle rive del lago immerso nella pallida luce di

una luna piena se ne stava Lui … nudo a guardare

le acque agitarsi tra i riverberi delle sterminate stelle .

I capelli sciolti sulle spalle e le braccia pendule

lungo i fianchi.

 


Si sedette su un trono di pietra, chiuse gli occhi e  si

abbandonò al passato pungente, come una spina

conficcata nel cuore  gonfio di solitudine e tenebra

desiderata, amata e vissuta come ombre raminghe

tra i cespugli della brughiera.

Guardava le creste delle onde rincorrersi nella

penombra e ricordava Lei immersa in quelle acque

d’argento, scivolare  come un anguilla nei fluidi caldi

di quel lacustre catino, circondato da pini vetusti

e giovane  betulle.

La rivide giocare tra le caule in cerca di lucciole per illuminare

la sua notte e allietare i suoi occhi smeraldo.

 


Lungo le bordure del fiume serti di ginestre e felci e,

 tra i greppi , avvolti da trini di fiori scarlatti,

cascate di  asclepias  e canne ondeggianti

si piegavano al suo passo spargendo i loro profumi.

Lì .. tra quei nidi di un intimità inviolata Eco si scioglieva

i capelli corvini come getti e virgulti di una pianta invitta

e Lui ammaliato e piegato da una voluttà plasmata

nel desiderio della carne avrebbe voluto rapirne i pensieri,

per custodirli nel forziere segreto del proprio petto,

sepolti tra le sabbie del suo mare popolato di onde e alichini.

Avrebbe sciolto le catene della rabbia e tratto dalle pietre

antiche

il mormorio di una magia dimenticata per

 farsi acqua e penetrare recessi e anfratti insondati,

rinserrandosi

nei cubicoli inaccessibili di Lei … Lei soltanto.

 

 

Il Fauno piegò il capo vinto dai ricordi e sopraffatto

dalla mancanza della Ninfa.

ECO … sussurrò tra le labbra … Eco …

Una lacrima si fermò sui greppi delle ciglia come un diamante

sospeso sul baratro di un monte.

Il vento gli carezzava la schiena illuminata da un

raggio di luna, mentre i profumi del bosco gli penetravano

dentro come suffumigi di mago.

Strinse i pugni con forza e accigliò lo sguardo ferino,

un onda di odio montò dentro di Lui come le acque

inarrestabili di una diga infranta e ricordò …

Il ricordo di Lei divenne chiaro come le stelle nel buio della

notte, si levò dalle acque prendendo forma e sostanza e

pian piano si ammantò di rimpianto  e disperazione.

Una furia cieca prese a scorrere nelle sue vene avvelenando

il suo sangue e l’immagine di Lei sanguinante  lo rese

servo della sua collera .

Rivide gli uomini braccare la sua Ninfa e si rivide impotente

sulla riva avversa di un fiume turbolento.

Chiuse gli occhi per cancellare quel ricordo, ma il ricordo

ormai  viveva dentro di Lui e si impresse con più forza nella sua

testa come le grida di Eco che gli martellavano le tempie.

Scosse il capo e grugnì con fastidio e sprezzo ma

l’immagine delle vesti di Eco strappate e abbandonate

alla corrente delle acque gli scivolavano davanti agli occhi.

Poi il fiume divenne rosso del suo sangue, i suoi occhi

che prima coloravano le acque si erano spenti nel vitreo

 pallore della morte  e Lui…Lui era rimasto sulla

sponda opposta prigioniero dell’invalicabile limite delle acque.

Loro avevano saziato i loro istinti e colmato

 con la violenza ciò che gli era stato rifiutato con grazia.

Sentiva tutto il peso della sua diversità trasformarlo

nell’emblema di una creatura da abbattere o confinare

ai limiti del mondo mentre la vera mostruosità

era quell’umanità  imbevuta di bizzarrie

e di eccessi , che si nutriva violenta

di insoddisfazioni e putridume di sensi.

Raccolse le sue forze allargando le braccia al cielo urlando

la sua rabbia alla luna poi volse oltre i suoi passi

 lungo il sentiero che lo avrebbe portato da loro,

verso i cumuli di case e le torri di pietra, tra muri

svettanti e porte infisse nei cardini ferrati.

Nulla lo avrebbe fermato, nulla avrebbe retto

alla sua violenza, nulla sarebbe più stato come prima

 perché nulla era più come un tempo.

Devastò, uccise , dilaniò qualunque cosa si opponesse

 al suo passo, violò case e palazzi e non vi fu torre

che non riuscì a scalare, muro che fosse invalicabile

per le sue braccia e la sua rabbia divenne un turbine

di ferocia e di sangue.

Quando giunse alle porte dell’ultimo borgo vi trovò

una fanciulla ad aspettarlo.

Una creatura stretta nelle spalle e tremante, esile come un

giunco tenero mosso dal vento.

I capelli cerulei raccolti in una lunga treccia, la pelle di luna,

il viso emaciato e delicato, le braccia pendule e le dita sottili

intrecciate, nocca a nocca , sul ventre appena proteso.

Una lunga veste rattoppata e lisa le copriva il corpo acerbo

fin quasi le caviglie , snelle, diafane e  chiuse in scarpe consunte.

Lui non si era accorto di aver frenato la sua marcia, di aver

calmato la sua ferocia , era restato fermo a un paio

di braccia da quella figura smilza e indifesa.

Ansimava ancora, come una bestia dopo una lunga corsa,

sudato e coperto di sangue la guardava indeciso sul da farsi

e sorpreso  e dubbioso di trovarsi davanti un umana

fuori dal grande cancello di ferro del suo borgo di pietra.

Spostati donna

disse con fastidio allungando il suo braccio armato di spada,

ma si accorse che aveva ben poco senso

quella minaccia e le passò accanto per dirigersi verso la

porta sbarrata.

 

 

Nello sfilarle vicino vide gli occhi pieni di lacrime della

fanciulla fissare il vuoto, bellissimi occhi verdi

come il fiume immerso nel folto

fogliame di alberi secolari , dove Eco amava specchiare

i suoi occhi così simili a quelli dell’umana.

La luce di una stella vibrò in quell’istante nelle pupille di Lei

ma il Fauno capì che la luce  l’aveva attraversata senza

che Lei ne potesse avvertire il calore ne il freddo incedere

del suo brillìo.

 

 

Le agitò lievemente  una mano davanti agli occhi ma Lei

non si mosse ne chiuse le sue palpebre,  aveva avvertito

la presenza e forse il gesto ma era rimasta immobile

come avrebbe fatto con chiunque.

Perché sei fuori dal cancello in una notte di

sangue e vendetta?
”.

Disse cercando di apparire più terribile di quanto non fosse.

La curiosità lo molestava come un esca per troppo tempo

 lasciata sciogliere nelle acque del fiume, mentre pesci voraci e

infidi sbattevano le loro pinne in cerca di coraggio .

Aspettavo il Fauno …

 rispose incerta la fanciulla

Attendevo Colui a cui è stato fatto oltraggio ..

inferta la ferita nel cuore che tutte supera

nel dolore


TU ASPETTAVI Me ?

Urlò con rabbia, mista ad un incredula rivelazione, il Fauno

Si …

rispose abbassando il capo la ragazza tra i singulti

mozzati in gola.

Sono l’offerta che il borgo ti porge affinché tu non

vada oltre, sono il sacrificio che ripaga del torto subito


IL Fauno stette in silenzio per un po guardando la ragazza

cieca, ma dentro di Lui già sentiva la rabbia bruciargli il ventre.

Avrebbe voluto uccidere la fanciulla e spargere le sue membra

lungo le mura a protezione del borgo, sapeva che i suoi abitanti

erano tutti lì nascosti al riparo delle pietre e degli sbecchi

dei camminamenti, tremuli e codardi, ma non provava

odio per Lei , anzi la tenerezza informe che si sprigionava

dalla voce della ragazza lo irretiva.

L’esile membra strette nelle sue vesti ne faceva una regina

di coraggio e un icona di invulnerabile fragilità,

di fronte al pavido celarsi dei suoi consanguinei.

Così le pose una mano sulla spalla e fu come una coperta

nel gelo dell’inverno.

Lei sussultò un po sotto il peso di braccia così poderose e

respirò forte sotto i palpiti del suo cuore.

Era bella … di una bellezza senza inganno, pura come

l’acqua cristallina di una fonte d’altura .

Non c’è compensazione per la mia perdita,

 la mia Ninfa ora è un soffio che avvolge la mia pelle

come il figlio che portava in grembo, non c’è offerta

 che mi ripaghi delle loro vite perdute
”.

Disse con un velo di rassegnazione, poi volgendo il suo

sguardo sul viso della fanciulla esclamò

Vieni

E la sua voce profonda era senza più un briciolo di rabbia

Vieni via da tutto questo sangue e tutta questa miseria”.

E volgendo le spalle alle mura del borgo si avviò lungo

il sentiero puntellato di platani svanendo oltre la boscaglia.

Sono ormai passati cinquant’anni da allora e del Fauno e

della Fanciulla nulla più si seppe.

 Di tanto in tanto qualche viandante smarrito per i nostri

 boschi giunge al borgo antico giurando che nelle acque del

fiume abbia visto una donna cantare con dolcezza

specchiandosi nuda nelle sue acque, tra le note

di una  musica melanconica proveniente

dal una riva e dal folto della boscaglia.

Gli abitanti del borgo non amano parlare di questo

e chiusi nei loro serragli ,

abbassando lo sguardo, serrano i loro cuori

pensando ad un triste passato

e alla loro umanità smarrita nella notte

mentre una fanciulla, forse da lontano, scruta le case

del loro antico borgo.

 

 

MARVELIUS

 
Rispondi al commento:
lascrivana
lascrivana il 25/03/14 alle 19:37 via WEB
Una bellissima leggenda. Ci farai sapere che cosa accadde allafanciulla? Un abbraccio.
 
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