Creato da Marvelius il 21/08/2012

Marvelius

Elrond lands :dove il mito e la fiaba, la realtà e la fantasia si incontrano al crocicchio del vento

 

Heroes...

Post n°99 pubblicato il 13 Aprile 2015 da Marvelius
 

 

 

 

Guardo la vita degli altri con un metodo che sa di

Analisi e  che di rimando si riflette su di me come

un introspezione che scava solchi profondi, alla

ricerca di una ragione che sveli il corso delle cose

e le sottili faglie  dell'animo che possediamo.

All'inizio ci si ferma sul quotidiano, in quell'intorno

di intimità che è la famiglia, cavie più disponibili

sotto l'occhio implacabile dell'osservazione.

Ho sempre ammirato gli uomini e le donne che

sanno mettersi in gioco, che sanno che in tutte le

azioni c'è  un rischio, che in ogni comportamento

c'è una  variabile insondabile, l'incerto determinarsi

degli  eventi, quegli uomini che sanno andare avanti

anche quando il destino li trascina ripetutamente

indietro, che offrono il petto alla cuspide del vento,

che  piegano le ginocchia ma non flettono il capo

di fronte alle difficoltà della vita, nuotando

controcorrente  tra le onde .

Ammiravo mio padre, con quel suo senso della vita

fatto di spirali, tutte dirette verso l'alto, per lui la

difficoltà nell'intraprendere una strada era capire

come partire e dove arrivare, il come sarebbe venuto

di conseguenza,  perché partire comunque si doveva,

iniziare qualcosa ogni volta per andare avanti,

quell'avanti fatto di evoluzione, di emancipazione,

di crescita verso un domani sempre migliore.

Le difficoltà c'erano ma era normale per lui che ci

fossero, erano difficoltà fatte per essere superate

con la cieca fede nelle capacità umane e nel disegno

di un Architetto ordinatore che pur mettendo ostacoli

per le strade in cui meniamo i nostri passi erano

intralci aggirabili , superabili con l'uso della testa e la

tenacia di chi sa che può giungere al traguardo, che

è sempre un nuovo punto di partenza.

Osservo quella persone come lui che hanno il coraggio

di guardare al futuro con consapevole fiducia che tutto

può mutare, che le cose buone sono maggiori di quelle

sbagliate, che gli errori si fanno ma poi si correggono,

che si può sbagliare ma si può tornare indietro, quelle

persone che con un sorriso riscrivono storie, che con

una stretta di mano sanno placare tempeste, che con

gli occhi dicono ciò che cento parole non possono,

quelle persone che sanno ripartire da se stessi e che

mettendosi in gioco si riconoscono un compito,

una missione, un dovere che pesa ma non schianta,

un giogo che non incatena, una voglia che li spinge

oltre i limiti dell'orizzonte.

 

 

Quando da ragazzo leggevo le storie di avventurieri ,

di naviganti, di esploratori  li vedevo ergersi sulla prua

di una nave, sporgersi sul ciglio di un dirupo immenso,

sotto il sole cocente o le più spaventose bufere, tra i

ghiacci sconfinati e pericoli ad ogni angolo della terra.

Ma ora vedo queste persone nella realtà spicciola

ergersi nelle difficoltà del proprio quotidiano,

combattere con la malattia, con le poche risorse che

li confina nella miseria, o nell'abbandono e

nell'indifferenza di una società assente o troppo

impegnata a correre dietro il fascino dell'effimero.

Ho sempre guardato con interesse e ammirazione le

persone di talento che il talento non sprecano, che

inseguono una strada per giungere dove immaginano,

o dove ancora non sanno, quelle donne e quegli

uomini che vogliono lasciare qualcosa oltre la fiamma

di un esistenza ordinaria, che accendono speranze e

hanno la volontà che li guida su un cammino che non

conoscono.

Li guardo con stupore queste fiammelle, questi

Argonauti che potrebbero rimanere nel loro limbo

dorato e invece combattono per sé e per gli altri, per

un mondo nuovo, uno scenario diverso e migliore,

quelli che si mettono in prima fila di fronte al sopruso

o alla prevaricazione e poi si confondono nella folla e

nell' anonima parvenza, quando si vuole dare loro

merito e onori.

Ho sempre guardato con un senso di vicinanza coloro

che non si abbattono per una giornata storta, per tre

giorni di pioggia o per il caldo soffocante, che vedono

le stagioni come un dono di Dio e che ti sanno far

ridere e sospirare, che ti strappano un sorriso quando

dentro hanno un animo affranto, che ti sussurrano

quando dovrebbero urlare per le ferite che li

tormentano, che hanno storie maledette dentro ma

che ti danno il buono che sanno ritrovare nel fondo

del loro cuore.

 

 

Sono grandi questi uomini e queste donne che saldano

i rapporti con l'amore che versano senza chiedere nulla

in cambio, che  costruiscono  quel filo  invisibile di

umanità che ci ha reso la specie dominate sebbene

non siamo quella più forte, la più resistente seppure

una di quelle più fragili.

Queste anime di soldati di pace ammiro con passione,

questi avventurieri del sorriso e della speranza, gli

esploratori che non conoscono la rinuncia, che si

rimboccano le maniche senza aspettare che siano gli

altri a rischiare e ad aprire la porta del futuro, queste

ombre che scivolano accanto a noi come angeli custodi,

trasparenti e veri, senza veli di doppiezza, senza fiere

di vanità e frivolezze, coloro che sanno andare al

fondo di ogni cosa rimanendo a galla, su quella

superficie di verità che ce li fa amare e desiderare.

Così in questa ammirazione sprofondo cercando di

nuotare senza annegare e cogliere di loro una scintilla

da portare infissa nell'anima nel corso della mia

esistenza, per lasciare ciò che di buono alberga dentro

di me e per confinare nel cono d'ombra della vanità

le mie debolezze, affinché l'umano senso della virtù

prevalga sul l'io interiore che bussa ai cancelli della

ragione.

Marvelius

 

 

 
 
 

Cenere

Post n°98 pubblicato il 25 Marzo 2015 da Marvelius
 

 

 

Palpita il cuore nell'attesa dello scontro
incerti i  passi tra i serti di spine.
Come muta presenza prima del grande balzo
gli occhi suoi lacrimano nella polvere tinta d'ansia.
A terra già il sangue rapprende nei bruni grumi
che segnano di scuri sassi un sentiero senza passo.
Amici eravamo stretti come chicchi di melograno
un pugno chiuso a fendere l'aria del mattino
e pula nel vento ora restiamo
sparsa sul lacero mantello della terra.
Piega il capo nel fremito di muscoli tesi come stralli
e serra le pupille nella calura della battaglia
mentre schegge di morte bruciano l'aria
come araldi in fiamme di un fiume rosso sangue.
Amici eravamo come petali di  fiori smossi dal vento
Amici eravamo come fili d'erba pingue e salda
Ed ora cosa siamo ... spighe  mature
che al falcetto messorio chinano il capo
nel rosso tramonto di la dei monti.
Come Agnelli aspettiamo  adagiati su un Ara
Come bestie spinte al macello avanziamo nella notte
Cosi suona l'ora nel fondo del cuore
un cupo tuono  nella veglia della guerra
Così cade nel fango cinabro
Colui che  muove i passi contro il fratello
offrendo il petto esangue alla cuspide marziale...

 


MARVELIUS

 
 
 

viaggi...

Post n°97 pubblicato il 17 Febbraio 2015 da Marvelius
 

 


Vi sono viaggi nell'intimo che sono sospensioni

 amorose sui sensi scoperti...piccole e rarefatte

brume gaudenti dove il pensiero si perde

nell'incoscienza d'un momento.

Così ci si  ferma sull'uscio di stanze fumigate dal

profumo d'una donna  che lascia fragranze sciolte

nel  calore della  carne mente le parole incidono

arabeschi sul cuore  confondendo la luce e la mente.




Dolce è il suo entrare e ancor più dolce il suo sostare

nell'immoto piacere del rimando

come la danza di cigni su un lago argentato.

Così come un tempo ancor fisso parole su scuri cippi

"Avanti a dritta timone saldo tra le mani e freccia che

fende le onde,  il còmito su la gabbia scruta l'orizzonte,

sbrogliate le vele di maestra e di trinchetto, issate il

pennone e correte sulla via dei bandini ...

fiocchi e controfiocchi stesi al vento del meriggio,

presto si parte che il sole già indora l' acque

e  il vento  soffia sui garretti d'argento.

Oh si ... il vento in poppa scuote i legni del naviglio,

quattro assi robuste fissate al paramezzale e odore

di corteccia sui ponti del castello..."

 


Marvelius

 

 
 
 

Nei giorni ...

Post n°96 pubblicato il 15 Febbraio 2015 da Marvelius
 





Nei giorni che più non sono ho inciso pensieri

nelle cortecce degli alberi

e di quei pensieri ne ho fatto corde di mare

come esili fili d'erba.

 

 

Oggi con  dita incerte sfilo i sogni di bambino

che ho lasciato ad asciugare su rive sciolte e candide

così  quando la notte giunge con silenzio d'ombra

ne ripercorro le rughe e le cavità scolpite dal tempo.

 


Poi col sorriso e una lacrima tarda ... le riempio

come le ore tessute nei giorni che verranno,

giorni che nascono e si susseguono

come anelli di una catena

gli uni attaccati agli altri

come ieri, come oggi

fino a tutte le albe che rosseranno il cielo

tra spaghi di seta bianca e i rossi aquiloni nel vento...

 



Marvelius

 

 
 
 

L'Addio di Anhiel...IV°

Post n°95 pubblicato il 09 Febbraio 2015 da Marvelius
 

 

 

Sembrava dormisse nelle sue

forme abbandonate ad un sonno

 prossimo alla morte, le dita delle

 mani sfioravano gli

 steli d'erba come una tenera

carezza, mentre il respiro sembrava

 più flebile, così, istante dopo istante 

il mantice del suo petto prese a

rantolare con sempre più affanno.

Lui la chiamò a sé con amorevole

 insistenza, le accarezzò i capelli

parlandole  piano per cercare di

riportarla indietro e dargli la serenità

che anche lui aveva ormai smarrito.

Le sussurrava il suo amore e

la sua devozione, sapeva che

poteva sentirlo e intuiva che di li a

poco tutto sarebbe precipitato, che

 il tempo per loro stava per giungere

al temine e Anhiel presto lo avrebbe lasciato.

 


Un filo di sangue le scorse dal

naso mentre riapriva gli occhi ma

nonostante tutto accennò un lieve

 sorriso, poi tossì e il sangue bagnò

 il fazzoletto su cui vi erano impresse le

loro iniziali.

I suoi occhi avevano perso

 la lucentezza di un  tempo, e le

 lacrime ne avevano coperto l'intensità

 delle iridi ma erano ancora gli occhi

più belli e profondi che lui avesse

 mai guardato ...

Lei intrecciò le dita delle

mani alle  le sue e con un filo di

voce gli sussurrò  le sue ultime parole,

e fu un testamento scolpito nella

roccia del loro amore

"Stringimi forte e  non lasciarmi...

questo freddo mi paralizza,

l'inverno oramai è entrato nelle mie stanze

e mi trascina con sé...

Raccontamidi noi

di cio che siamo stati l'uno per l'altro

voglio addormentarmi con i ricordi e la tua voce

dentro di me, per immaginare che un giorno

possa risvegliarmi insieme alle cose che ho amato

in questa vita e che non avrò dimenticato"

 

Disse queste ultime parole guardandolo negli occhi

mentre il suo sguardo andava spegnendosi.

Poi la presa delle sue mani divenne

 via via più debole, fino a perdersi,

senza più forza e calore, nelle sue,

gli occhi divennero vitrei e spenti

e la testa reclinò oltre il braccio

 di lui che la cingeva.

"Anhiel ... Anhiel..."

furono le sole parole che trovò la forza

di pronunciare, mentre il corso

di un destino avverso lo schiacciava

 fin dentro i fili più invisibili della

 carne.

Provò un dolore indescrivibile mentre intorno a

lui si spalancava un vuoto arido,

un baratro entro cui precipitava con tutto

se stesso.

 


Si piegò su di lei e tenendola stretta

nel suo abbraccio pianse, ma il suo pianto

era senza lacrime, come il suo cuore

 era senza sangue.

 Un fuoco arso e un ghiaccio

abissale si impadronirono di

ogni anfratto del suo corpo, di

ogni angolo della sua mente,

 tormentandone pensieri e

ricordi.

E ogni ricordo divenne una lama

 nel costato, ogni visione possibile

 del futuro gli divenne estranea

 come una malasorte che gioca a

rendere i giorni a venire sterili e

 abietti.

Il vento si alzò da tergo e prese

 a soffiare furioso mentre le nuvole

 molestarono gli ultimi raggi di luna

 che scomparve dietro una cortina di

 nembi vestiti di tenebra.

Una pioggia lieve si impastò di

freddo e ingrossò divenendo via

via grandine  mentre i lupi presero

 a ululare nervosi.

Quando il rombo di un tuono

sconquassò il cielo lui si destò dal

 suo dolore e affranto accarezzò

ancora una volta il viso di lei  per

asciugarlo dalla pioggia .

 Ma ora non era più solo

pioggia, la neve iniziava a

scendere assorbendo rumori e

imbiancando i prati.

Al nero della notte si sostituì il

bianco mulinare dei fiocchi,  e

tutto iniziò a trasmutare.

 


Raccolse il corpo di Anhiel tra le

braccia e in silenzio, seguito dai

suoi lupi, si avviò nel bosco, lungo

 il sentiero che tante volte aveva

attraversato, i lunghi filari di

pioppi ondeggiavano nel vento

mentre gli immensi platani erano

 già imbiancati da una leggera

 coltre difendendo il sentiero ancora

sgombro di neve.

Una musica di violini si spandeva

nell'aria proveniente dal castello

 mentre il rullare dei cuori degli

animali del bosco cadenzavano

i passi di quell'uomo straordinario,

 il cui cuore era morto da tempo ma

 il cui spirito ardeva di un dolore

 che avrebbe riempito con le sue

lacrime i fiumi d'ogni terra.

La sua  anima, bandita ed errante

da secoli nei tartari della veglia, 

in quell'ora  solenne aveva visto 

sbocciare la scintilla

 che schiude alla vita ma solo  per

 assaporare nuovamente  le ferite

del trapasso, fino a precipitare nel

buio di un limbo senza più pace,

nel preciso momento che il distacco

 da lei era divenuto un eterna

separazione. 

Scomparve oltre i ciuffi di

biancospino la dove la collina

segna il limite con la foresta, nel

luogo in cui gli alberi chiudono

i cancelli del loro passo e i lupi ne

 custodiscono l'ingresso ... la dove

 muoiono i vivi e regnano eterni

i sogni ...

 


Marvelius

 

 
 
 

l'Addio di Anhiel...III°

Post n°94 pubblicato il 08 Febbraio 2015 da Marvelius
 

 

 

Ai piedi della scalinata lupi neri

e bianchi, seduti in attesa di un

comando ma docili come agnelli

scuotevano le code ululando alla

 luna.

Guardò lei con una gioia infranta

 e le diede un bacio sulle labbra,

ora erano più fredde e il corpo suo

tremava come scosso da un fremito

d'ansia per quell'incanto, solo gli

 occhi erano vigili e pieni di lacrime

che scorrevano come le acque di un

 fiume inarrestabile.

Le guance emaciate e lo sguardo 

pieno di quel mondo la consumavano,

era triste per ciò che stava perdendo,

per quel sipario che si stava chiudendo

e che aveva immaginato di vivere

con il suo conte.

 

 

Avvertiva tutte le

difficoltà di un distacco lacerante

da quel mondo che tanto aveva

rappresentato per loro e dentro di

lei immaginava la vita di entrambi

privata degli sguardi, le parole, le

giornate condivise, le passeggiate

 lungo i corsi dei fiumi, gli abbracci

 tra le lenzuola nelle notti fredde

delle loro langhe e i risvegli

 illuminati dal sole sui loro corpi

nudi e sciolti .

La luna era assisa nel cielo e

finanche le stelle si erano ritratte

davanti alla sua luce d'argento che

 ammantava entrambi ricacciando

 le ombre oltre le stanze del loro

dolore.

Si volse a guardarlo e stringendolo

con le sue ultime forze si abbandonò

 al suo abbraccio, ai baci strappati con

 grazia e un calore bruciante.

Poi stanca e senza forza  pose la testa

nell'incavo del suo collo e  lasciò

 liberi i singhiozzi di bagnare la terra

  dei suoi rimpianti.

 Lui la tenne stretta tra le sue braccia

 immobile come una statua di pietra

 mentre il capobranco si era posto

ai suoi piedi guaendo insieme agli

altri lupi.

"Resta con me ... non te ne andare

dove non posso raggiungerti , non

 darmi un eternità di abbandono"

disse il conte e la sua voce aveva

 ora un calore che non aveva mai

posseduto.

" Non voglio morire ... non voglio"

rispose lei guardandolo con gli

occhi pieni di pianto.

"Voglio restare qui con te ... vivere

ancora ... ancora   ".

 


Le parole le si mozzarono in

gola  affogate da un  pianto sordo

 e senza speranze, così  immerse il

 volto nel petto di lui per sentire ancora

il profumo della sua pelle nella

 speranza di trovare un conforto, o

infiggerlo nella mente e portarlo

la dove stava andando, in quel viaggio

 senza più ritorno, poi ebbe un sussulto

 e sembrò perdere i sensi .

Il conte la adagiò sul prato e le parlò

piano, gli raccontò la storia del loro

 incontro, la gioia eterna che avevano

edificato nei loro cuori, e le sue parole

furono come le onde del mare e il soffio

delicato del vento, erano neve soffice e

dolce profumo  di rose.

Anche nella malattia che l'aveva consumata

 al tal punto  restava bella, di una bellezza

eterna che  gli toglieva il fiato .

 


La veste bianca e sciolta ricadeva

 sui piedi nudi e delicati, un nastro

 intrecciato di canapa verde le si

allacciava appena sotto le anse

morbide dei seni, evidenziando  e

disegnando le linee fluide del suo

 corpo.

Ai polsi merletti dello stesso colore

d'erba spezzavano il candore delle

ampie maniche della veste che sulle

spalle terminava con un cappuccio

di panno puntellato con radi sbuffi

d'inchiostro.

Le guance ora avevano ripreso

colore e un leggero pastello rosato

 spiccava  sul viso smunto.

Le occhiaie tradivano però la

debolezza e il profondo stato

di prostrazione che aveva minato

il fisico  rendendolo l'ombra di

quello che era un tempo. (Segue...)

Marvelius


 

 
 
 

L'Addio di Anhiel...II°

Post n°93 pubblicato il 07 Febbraio 2015 da Marvelius
 

 

 

Lei sorrise appena ...  e nei suoi occhi

c'era tutto il suo mondo e c'era lui, i

loro ricordi incantati, la riconoscenza

per un tratto di vita splendente.

Poi alzò una mano con fatica , lo

accarezzò sul viso trattenendo le

 lacrime e sussurrò con un filo di

 voce il suo nome, ma fu un attimo e

la sua mano si abbandonò al vuoto,

 come una foglia che cade dal

tralcio recisa dal vento.

Il conte le prese le dita  portandole alle

 labbra, le baciò la mano e la strinse a

sé sottraendole un po di quel  calore che

lui invece aveva ormai perduto da tempo.

 


Dentro di lui tempeste e uragani

agitavano le maree del petto,

profonde cuspidi sembravano

dilaniargli la pelle e un gelo

 profondo stava prendendo possesso

 della sua carne.

 Avrebbe voluto dirgli che tutto

sarebbe andato per il meglio, il

dolore scivolato via come pioggia

sulle foglie degli alberi, e loro

continuato a vivere insieme

per sempre.

Avrebbe voluto ... ma non riusciva a

fingere, neanche ora che lei stava

oltrepassando le porte di quel 

mondo trovava le giuste parole,

una bugia che entrambi avrebbero

svelato nell'atto stesso del suo

disincanto.

 Così la guardò con la verità negli

occhi, lui che mai le aveva mentito,

mai aveva potuto e voluto.

I loro sguardi si incontrarono sulle

vette dei loro ricordi e in quel

 momento presero a danzare l'uno

nell'altro, si rividero rincorrersi tra

l'erba alta dei campi, rotolarsi nella

spuma bianca del mare e fondersi

 tra le rosse spighe di grano.

 


Fuori il vento scuoteva le chiome

 degli alberi e spingeva via le

 nuvole, spazzando grandi

porzioni di cielo, mentre una miriade di

stelle brillava come fiammelle

nel panno nero di un cielo che

muto attendeva l'ora che tutte le

comprende.

"Portami fuori ... voglio vedere il

cielo un ultima volta"

disse lei con serenità e dolcezza, e lui

avvertì una lama attraversarlo da parte a

parte togliendogli ogni forza, si sentì

come sbattuto ai quattro angoli della

terra e trascinato in catene nel fuoco

e nel ghiaccio, prima di cedere ogni

goccia della sua linfa e ogni lacrima

di sangue, ma di quelle sue parole

nulla volle mutare così fece un cenno

di assenso con la testa chiudendo per

un istante gli occhi, poi alzandosi la prese

in braccio e si diresse verso l'uscita.

Quando oltrepassò l'uscio dell'arco

si ritrovò immerso in un sogno dove

 ogni cosa era un alba di desideri in

germoglio, la  gioia inviolata del

vivere che il mondo regalava e che

il destino gli stava togliendo con

crudeltà e inganno.

La luna imbiancava le pietre

lasciando una lunga scia

 argentata sulle acque del  lago, 

le torri svettavano superbe fino a

 immergere le loro guglie nelle

 nuvole di un bianco nevoso e gli

alberi ondeggiavano lieti nello

stormire delle foglie, mentre il

vento mormorava una musica che

 ammansiva tutti gli animali del bosco.

Su quelle acque ghiacciate avrebbe danzato,

se avesse potuto, come nel  tempo in cui ogni

cosa era possibile, ogni istante irrepetibile,

tra coppie di bianchi cigni nel rosso splendore

 di un vestito che avrebbe colorato la notte dei suoi

pensieri più belli.

(segue...)

 

 


Marvelius

 

 
 
 

L'Addio di Anhiel...I°

Post n°92 pubblicato il 07 Febbraio 2015 da Marvelius
 

Prese la via del bosco mentre la luna

 era già alta nel cielo, gli alberi del

sentiero mormoravano al vento la

sua tristezza e la voce argentina del

ruscello di rimando ne raccoglieva le

ansie e i timori.

Quando giunse in vista del suo castello

si fermò come se un comando gli

 ingiungesse di non andare oltre e piegò

 il capo, poi raccolse le  forze e dentro

di lui ripose ogni dolore, scacciò ogni

 segno di inquietudine e si diresse

 al cancello illuminato da grandi lanterne

ad olio.

I cardini si aprirono graffiando con il

loro cigolio l'aria fredda della notte,

lungo il viale  le olle si accesero con

 fiamme di un rosso carminio

 fumigando essenze dolciastre .

Quando arrivò alle gradinate del

Maniero ebbe come un sussulto e il

 dubbio lo assalì nuovamente, ma si

riscosse scrollandosi di dosso l'umido

della notte e con esso l'incertezza e

la malinconia che lo attanagliava.

Attraversò il grande arco di arenaria

del suo ingresso, ai lati  grandi

statue di marmo lo guardavano fisso

 nella loro immobilità assorbendo i

chiarori della luce e riflettendo le

 lunghe ombre sulle pietre.

Le oltrepassò entrando nell'immenso

salone tra i rossi  drappi di tulle e  le

 tende d'organza, vide  i grandi arazzi

 illuminati da enormi candelabri

d'argento e i quadri splendenti di

cavalli in corsa , di città dirute e

 magnifiche foreste, sui muri 

impreziositi di onice e colonne d'ambra.

Statue e amorini negli angoli, atlanti

di elettro tra divani di pelle damascati,

triclini e tavoli di legno scuro, poi

vicino alla biblioteca ricolma di libri ,

 incunaboli e pergamene stava lei  e

così nulla più sembrò esistere, niente

più catturò la sua attenzione quando

  la vide riversa a terra.

 


"Anhiel"

urlò andandogli incontro, ma lei

sembrò non udire la sua voce

"Anhiel"

 le sussurrò raccogliendola tra le sue

 braccia.

E lei aprì gli occhi come se ritornasse

da un lungo viaggio.

Le membra stanche e abbandonate

a se stesse, lo sguardo cerchiato dalla

sua infermità, e la bocca socchiusa

nella ricerca di un tenue soffio d'aria

che le riempisse i polmoni.

La portò in braccio verso uno dei

divani vicino alla grande vetrata

istoriata che dava sul giardino di

rose e l'adagiò sopra di esso

ponendogli un cuscino  sotto il capo.

"Come ti senti Anhiel"

le chiese accarezzandogli i capelli

mentre la fronte si imperlava di

sudore e il calore della febbre le

bruciava la pelle. (segue...)

Marvelius

 
 
 

For Lady ...

Post n°90 pubblicato il 20 Dicembre 2014 da Marvelius
 

"Dicevano che eri  una donna dura come pietra

che non si scalfisce, che eri come la cima di una

montagna che non si può scalare , come la profondità

del mare che non si può scrutare .Dicevano che il vento

ti scombinava i capelli ma non riusciva a trattenerti,

che la pioggia ti rendeva difficile il passo ma non riusciva

a  fermarti e che il sole ti bruciava la pelle ma non riusciva

ad accenderti l'anima...

Io ti ho sconfitto una, cento, mille volte. Sono stato come

uno scalpello per la tua corazza e ho sostato sulla tua cima

infiggendo il vessillo sul bianco manto, ho nuotato nei tuoi

abissi e mi sono sciolto nelle tue lacrime come pioggia e 

nella pioggia ti ho trascinato via con me, ti ho rapito nel mio

soffio tra stanze d'argento e scaldato nelle fornaci del mio

petto come mantici di carboni nel cuore caldo della terra.

E poi? Cosa è rimasto dei tuoi capricci rotti sotto l'onda del

mio seguitare, cosa è rimasto della tua vanità e dei tuoi

dubbi fragili come il cristallo, infranti contro i bastioni delle

mie certezze?"

Disse queste parole fissando il suo sguardo nel suo stando

seduto sulle gambe sotto un albero di mango e quando lei le

venne incontro chiuse gli occhi, quando li riapri lei era ferma

davanti a lui come un faro in mezzo alla tempesta.

Si sedette sulle ginocchia appoggiando il capo sulla sua spalla

e gli chiese di stringerla forte, era una donna formidabile,

tenace,  ma era soprattutto una donna fragile, chiusa in una

torredi solitudine.

Lui le carezzo il capo ma troppo era il tempo trascorso,

troppi giorni erano rotolati oltre i dirupi del perdono e la

polvere che aveva  adombrato i loro momenti di felicità si

era ormai depositata su di loro come un manto lacero

e consunto, come spento era il fuoco di lui che

aveva arso nei giorni in cui aveva ammainato le vele nelle

acque agitate della sua isola che ora chinava il capo sopra le

sue larghe spalle.

Con voce gentile come una piccola fiammella lei cercò

di parlargli ed era finalmente sincera, senza alibi e senza ombre

da difendere o in cui serrarsi, spoglia come un virgulto di loto,

e cosi emise le sue note come un sibilo tra le rosse e

perfette labbra

"Non vi è giorno che non torni in me quel sogno d'amore

svanito nella brezza del mare, mischiato come fumo in un

notturno sfacelo.

Da allora  ho serrato il mio cuore con nere catene, l'ho

chiuso in cardini dorati tra  pozzi d'oblio e pregato il vento

che disperdesse ogni traccia  del suo calore.

A Dio in ginocchio ho sussurrato parole  di fuoco affinché 

sui miei occhi stenda l'aspro sudario dell'oblio

perché non viva mai più le pene di un commiato cosi

eterno e profondo, un lacero straccio di una  fine che

divide i corpi e spalanca un abisso di mancanze.

Raccolgo i miei pensieri come oggetti serviti al mio frugale

desco, li sigillo negli anfratti della mia anima al riparo della

luce e di un calore che non scalda e mi perdo nei miei passi

che non hanno più  una meta."

Lui non si mosse , come una solida quercia che sfida la sferza della

pioggia e i venti furiosi era rimasto ad ascoltare. Sentì l'impeto del

passato come un turbine che sorge dal profondo ma si artiglio alle

radici della sua forza come uno scoglio che si erge solitario sotto

i colpi dell'onda, così non cedette.

 E quando senti che il flusso del ricordo riaffiorava con più

prepotenza e le parole si impastavano del lievito del suo

pensierole rivesti di velo d'argento e le rispose


"Le tue parole sono oggi echi di un vento lontano, la pioggia

ha già lavato i marmi delle nostre dimenticanze e le lacrime

che scendono dal tuo viso sono fredde come il ghiaccio che

alberga dentro queste mie stanze. Il mio cammino ho

ripreso da tempo su strade nuove tra prati seminati a

primule e nasturzi.

Sarò servo, condottiero o un buon teatrante, un ladro di

storie o un  galante gentiluomo , chiunque sarò sul

proscenio di questo mondo e mai dimenticherò che uomo

non sono ma un eterno pensiero  sulle rive di un fiume .

I miei giorni con te sono appassiti come le siepi al di la

del bosco, come nembi hanno traversato il cielo e come

nubi cariche di pioggia hanno lasciato un segno nel solco

dei  miei rossi campi ."

Sentì le braccia di lei stringerlo forte ma non cedette, respirò con

calma il profumo dei suoi neri capelli, accolse la spinta dei suoi

seni sul suo petto ma senza turbarsi senza più desiderio, poi

riprese a parlare come un fiume che non si può arrestare.

"Hai sciolto il provese del mio naviglio lasciandolo alla

corrente del mare, reciso il canapo che legava i  giunchi

mossidal vento tra le acque calme ... per cosa?

Un gioco di egemonie, un capriccio che solidifica la

certezza di un bastare a se stessi?

Tutto ci ha condotto alla sconfitta, entrambi, come due

pugili stanchi che crollano a terra senza più rialzarsi.

Eppure non sono mancati i sorrisi che allietavano le

stanze e le parole gentili che gonfiavano le tende col

vento della passione, non sono mancati i momenti che

ci spogliavano dalle corazze buttando le armi sull'erba

verde dei campi , ma troppo solida è la  rinuncia  al proprio

inebriante dominio che ci confina sulle torri della superbia."

Poi la voce divenne più tagliente ma senza rancore solo per

farsi filo di lama e penetrare la dove avrebbe fatto più male

"Hai avuto di fronte un avversario troppo duro da spezzare,

troppo forte da piegare e alla fine il peso del tuo orgoglio ti

ha fatto vacillare. Troppo impastata la tua lingua di te, dei

tuoi principi validi per uno sconosciuto ma inutili e vuoti

per me, scolpiti nel quarzo di un fortilizio di foglie."

Lei staccò il capo dal rifugio della sua spalla e con un impeto

di rabbia urlò

"Volevo proteggerti ... volevo proteggermi .... volevo solo

riportarti da me" 

disse singhiozzando perdendo il viso nelle sue mani mentre

le lacrime scorrevano tra le dita gocciolando sul marmo.

 

 

Per amore? Hai sempre fatto le cose per amore?...No

l'amore è altro e neanche io so spiegarti cos'è, ma so che

non'è una guerriglia se non per il piacere di un rimando,

la schermaglia che prelude  alla passione ritrovata nelle

voglie e tenuta sotto le ceneri tra i carboni dell'attesa,

uno sciogliersi nell' abbraccio che tutto sovrasta,

nei baci che ogni parola disperde, nei corpi

intrecciati come cordame, che mischia ogni goccia di

pioggia con la terra che la sposa nel suo solco ."

Si fermò giusto il tempo per riannodare i fili di un

pensiero che andava sfumando mentre le note di una

musica si librava nell'aria seminando di tristezza ogni cosa.

Quando la vide piangere e singhiozzare capì che avrebbe

dovuto chiudere quel cerchio e consegnare il passato allo

scrigno delle sue vite vissute, stipare il dolore dentro un

forziere per non riaprirlo mai più, cosi riprese il suo parlare

con la freddezza di una lama di ghiaccio.

"L'amore non'è un gioco estenuante di ripicche, il

sostituirci ad ogni scoscio di pioggia, come statuine su una

scacchiera di alabastro, ad ogni refolo d'aria che si infila

sotto la porta dei nostri spazi spogli ...  l'amore è altro .

Eppure nel rosso fulgore del tuo  sangue ho nuotato

come gocce di un fiume che sgorga dalle rocce.

Nel suo calore ho galleggiato come un naviglio tra le onde

della malasorte e nel sapore dolce e amaro delle sue sponde

ho sposato le mie linfe  immortali di un Capovolto Signore.

Eppure ti ho amata nel tempo in cui fosti oltraggiata, le tue

pietre ho trasportato nell'ora in cui fosti sola e madre

di un pensiero che infiammava i confini della ragione.

Croci hai rossato nel buio tra le  ombre che ghermiscono un

immortalità non  desiderata ma tra le promesse di un

viscerale amore sei evaporata, come le  fiamme estinte

di un rogo lontano.

Così, smarrita la via, ho lasciato le mie biglie sulle tue

rive senza più spuma a dissetarle, ho steso un velo sui

tuoi occhi per non vederne il risentimento, ho lasciato un

bacio sulle tue labbra per sigillare ogni parola trasportata

dal vento sulle mie vele affinché potessero portarmi

lontano dalla tua isola di solitudine.

Ora svanito è il    sudario che avvolge  i legni del mio

naviglio, scure onde dal sapore salmastro che scuotevano

i suoi fianchi come scudisci fumanti. Le ombre dei miei

pensieri riposano nelle frescure di queste oscurità, mi

parlano di te con la pace trasudata dal tempo, dei tuoi

passi raminghi tra l'erba alta della  brughiera mentre

dalla scogliera s'ode la risacca schiumare sui massi.

Sto tornando  la dove tutto ebbe inizio, tra i caldi meriggi

dell'estate, rossi tramonti che incendiavano il cielo e le

cime dei monti , sabbie morbide e bianche in cui correre

scalzi senza più tracce delle tue piccole orme.

Capitano di un pugno di uomini, navarca di un veliero

orfano di una flotta perduta nel cuore dell'oceano,

avvolto nel mio scuro mantello tra fibule d'argento ritorno

al mare che sa cullare i miei pensieri, tra i ricordi che

scuciono i fili della carne dove intingo le cuspidi e gli aghi

dei tuoi rimpianti  per farne fiori d'acqua da abbandonare

alla sua corrente ..."

Lei si alzò dal suo giaciglio e fu come se tutte le porte del suo

palazzo si chiudessero davanti a lei una dopo l'altra. Rimase

in piedi a fissarlo ma senza odio ne rabbia , solo un incredulità

che ondeggiava su una fune tra il baratro della rassegnazione

e il ciglio della speranza, poi raccolse le sue ultime forze e

gli disse

"Mi stai consegnando all'oblio  Gabriel ... io ancora ti ..."

"Non dirlo" la interruppe lui."Non dire quella parola ... e

comunque l'oblio non esiste, esiste il ricordo , la vivrai tu

ùcon le cose belle e brutte che ti porterai dietro. Non ti

cancellerò perché non potrei farlo ma questo presente

già corre indietro su quelle terre . Ora vai, se stata la mia 

lady, forse l'unica e questo è già un bel ricordo da

serbare per entrambi."

Ora anche lui si era alzato e la guardava senza emozioni,

il volto duro ma senza rabbia,  gli si avvicinò appena per 

stendere un braccio e  accarezzarle  la guancia con una

mano poi si volse indietro e si incamminò sulla via dei

canneti, qua e la ciuffi di asfodeli e iris dalle bianche

camme,il sole che indorava i campi e rossava le

spighe di granomentre un filo di bruma aveva già preso

a inghiottirlo.

Marvelius

 
 
 

Natale è per Tutti...

Post n°89 pubblicato il 01 Dicembre 2014 da Marvelius
 

 

 

 

Tra le luci sfavillanti del corso principale della città un uomo

cammina stretto nel suo paltò, musiche natalizie e colori

caldi si perdono tra i vicoli fumanti e i bistrò , lo sguardo

perso tra mille pensieri, la stanchezza di un ultima giornata

di lavoro e il costante pensiero di rientrare nell'intimità

rassicurante della sua casa.

Un lampo si fa strada nella mente e il ricordo

delle persone con cui avrebbe condiviso un periodo di festa e

che non ci sono più, una cena accanto ad un presepe vecchio

di cent'anni e gli sguardi e le parole che scaldavano il petto.

Nei suoi occhi scivola una lacrima come cera scaldata da una

fiamma ma è un attimo e se ne va via trascinata dal vento.

Si ferma sul marciapiede come un sasso che più non

può rotolare e guarda quell'umanità che rincorre fumi e

luci tremolanti, un silenzio siderale sembra sospendere

quel tempo che dura un secondo.

Di fronte un negozio con mille giochi e un mare di pupazzi,

 

 


Sdraiato per terra c'è un uomo vestito di stracci, non ha

neanche la forza di alzare lo sguardo, mentre una

moltitudine di ombre lo oltrepassa .

Chiude delle monete nel pugno e le fa scivolare nel

cappello dell'uomo sdraiato a terra  ed entra nel

negozio affollato di gente.

Quando ne riesce l'aria è ancora più gelida e sembra voler

nevicare, cammina a fatica tra gli sguardi curiosi delle

persone, e il suo pacco che sembra destinato al

figlio di un gigante.

Sa dove andare, come pervaso da un idea a lungo pensata

e cammina senza più un pensiero se non quell'idea fissa

nella testa che lo fa volare tra strade illuminate a festa e

le ombre di vicoli che puzzano di urina e abbandono .

Cammina fino a sentire il fiato farsi corto e il petto gelarsi.

Quando arriva davanti l'entrata dell'ospedale il buio è

ormai una cappa che avvolge la città con le sue ombre

molestate dalle luci intermittenti delle

vetrine dei negozi che qui sembrano però lontani ricordi.

Giunge in una corsia dove tra la luce bianca dei neon spicca

il blu e il rosso delle lucine di un piccolo albero di Natale.

Il reparto di Oncologia infantile ha pareti arancio e verde

e tutto sembra un gioco di ombre quando i ninnoli

e gli addobbi si muovono mossi dal caldo soffio

dell'aria condizionata.

Si ferma dinnanzi

a un vetro e alla porta di uno stanzino, dove stanco un

infermiere cerca di recuperare un po' di riposo. Parla con lui,

poche parole e l'infermiere annuisce, poi arriva un medico,

una donna sui trent'anni con un bel sorriso e lunghi capelli

d'un nero profondo, una stretta di mano solida mentre

lo fissa con occhi castani pieni di vita.

Parlano come se si conoscessero da sempre e lei sembra

felice di quella visita inaspettata poi gli fa cenno di aspettare

con un altro sorriso che lenisce le sue ferite più nascoste ed

entra nella stanza. Pochi attimi e ritorna dall'uomo con un

foglio scritto di suo pugno in quei minuti che lui attende

sull'uscio .

 Un elenco di nomi, 12maschietti e 9 femminucce.

Qualcuno deve aver già detto a quei bimbi che un signore ha

portato loro un regalo e sono già lì ad aspettare, hanno facce

serie e sospese in un immanente vero quasi abissale ,

alcuni,  un po' più timidi, se ne stanno indietro

con le bocche aperte e le braccia penzoloni, gli occhi incerti

e sofferenti ma che tradiscono un velo di curiosità.

 


L'uomo avverte una stretta al petto e guarda quanta vita

appesa a un filo come biancheria ad asciugare ad un sole

pallido che più non scalda e per un momento trattiene il respiro.

Tanti sorrisi mancati coperti dalla sofferenza di volti che non

sanno più com' è il mondo oltre quelle stanze e addentano

con dignità e rassegnazione una vita avara di gioie.

Una mano da adulto si alza a salutare , un sorriso stira

le labbra trattenuto da un emozione che punge la carne,

poi si scioglie nel vedere una felicità ritrovata, quelle

piccole teste glabre agitarsi come ninnoli di natale,

grida e strilli di gioia si alzano nell'aria là dove

meno gioia ti aspetti.

Non si può entrare nel reparto, cosi l'uomo agita i regali ,

sono tutti lì ora, passato il primo timido impatto, un velo

di diffidenza, con le mani al vetro scelgono i burattini,

pupazzi e peluche su cui l'uomo scrive i nomi sulle targhette

colorate, poi quando l'infermiere li passa dentro è un

rincorrersi di grida e sorrisi, e l'uomo ride di una felicità

appagante, distende le dita come a lasciarsi andare nel

sollievo di un dono ricevuto, quanta gioia per un pupazzo,

quanta festa per un regalo ricevuto, un pensiero condiviso,

ma chi ha dato e chi ha ricevuto si chiede e con

gli occhi lucidi trova dentro di sé la risposta alla

sua domanda, poi un ultimo colpo al suo animo defedato

che lo fa stringere nelle spalle, l'infermiere lo guarda

al di là del vetro con un viso contrito, in mano

l'ultimo peluche, un burattino rosso e sorridente.

E l'uomo capisce che un burattino resterà senza un

letto in cui dormire con a fianco un corpo da scaldare ...

ma forse potrà starle vicino lo stesso, in silenzio

nell'abbraccio ideale per non svegliare la sua amichetta

addormentata e in viaggio su altri mondi.

Si gira sotto il peso di un macigno, col cuore gonfio e

il respiro pesante e si tuffa nell'aria gelida al di fuori

del portone, avvolto nella penombra da stura ai suoi

sentimenti appoggiandosi al muro di un vicolo 

sberciato di mattoni corrosi dall'umidita  poi

ritrovato il respiro con un groppo alla gola e una

morsa allo stomaco lentamente si rimette in cammino

tra la luce smorzata dei lampioni.

Da lontano le luci colorate e sfavillanti delle vetrine del corso,

i rumori e gin gol del Natale, le scintillanti sfilate

di atmosfere incantate degli addobbi , lo inghiottono

mentre la gente lo oltrepassa con occhi sbarrati

nella fretta degli ultimi acquisti.

Si ferma un istante sul marciapiede appena imbiancato

per recuperare il fiato che arranca, due uomini che litigano

per un parcheggio prenotato da uguali intenzioni, mentre il

traffico urla la sua rabbia, è l'ora di cena e ognuno vuol

tornare a casa.

Quanti sorrisi mancati, quanta energia profusa inutilmente,

quanta impazienza e quante corse per un regalo non ancora

trovato che fa disperare e alcuni bestemmiare.

Tornerebbe indietro in quella corsia di ospedale a guardare

piccole facce sorridere, dimentichi del loro male e del

loro destino.

Qual' è il Natale più vero si chiede ... e col passo lento e lo

sguardo fisso sulla neve che cade giù dal cielo stringe il

burattino tra le mani poi giunto vicino all'uomo sdraiato

a terra glielo mette accanto insieme a a un pezzo di pane caldo

 

 


"Ti terrà compagnia stanotte, era di una bambina dolcissima"

gli dice con voce bassa mentre il barbone lo guarda sorpreso

ma è un attimo poi afferra il pupazzo e lo mette sotto la

coperta di lana che lo scalda in quella notte fredda e spezzando

il pane che fuma nella notte  guarda l'uomo svanire tra le luci

scintillanti della città.

MARVELIUS

 
 
 

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