Marvelius
Elrond lands :dove il mito e la fiaba, la realtà e la fantasia si incontrano al crocicchio del vento
"Hic lapis est subtuste, supra te,
erga te et circa te"
L'ETERNITA' E' UN FUOCO CHE CONSUMA E CONSUMANDO VIVE
TASFORMANDO IL SOFFIO IN UN ALITO IMMORTALE...
MARVELIUS...
LE PAROLE SONO NOTE SULLE ALI DEL VENTO
SONO TRATTI DI LACRIME E APOSTROFI D'AMORE
STILLE DI MELOGRANO COME LUCE DI LUNA
IN UN POZZO D'EMOZIONE...
M.LIUS
Leggere uno scritto è un esercizio di fede,
il difficile tentativo di sfiorare l'animo dell'autore,
e il senso nascosto delle sue parole
Solo attraverso la musica trovo la chiave
per penetrare in esse
filtrando dalle dita su un foglio bianco
o dalle nere consistenze
di questo spazio virtuale...
buona lettura e buon ascolto
M.lius
La sapienza è il giaco che respinge
vili metalli
è lo splendore che rende giustizia
al saggio e all'umile pastore
che dellapropria ignoranza fa tesoro
indagando prima se stesso...
M.LIUS
Sono qui come un randagio
tra la radura del bosco,
come falco sul cipiglio di una sporgenza
ad ammirare ciò che lo circonda.
Annuso l'odore della sera
e le parole della gente,
come il profumo dei fiori
nell'afrore del mattino
Scrivo d' emozioni che si svestono
nell'ora tarda della sera.
Sogni rapiti tra tenebre nascoste
e ombre vacillanti di demoni rapaci
agli occhi del cuore.
Oscure pergamene
stillate da gocce a gocce
nell' inchiostro della carne.
Non cerco altro in queste terre,
ne asilo in altre lande,
sarò lieto del vostro passo,
delle orme che qui deciderete se lasciare,
dei rumori e dell'eco di vostri cenni,
delle parole che qui pianterete
come virgulti e teneri germogli ...
Al Cuore prestai sempre Fede
come alla Ragione il Lume
e al Corpo ignudo lo Scudo
che tenne fiero e indomito
il Sigillo della mia
Anima...
MARVELIUS
Marvelius
è il mio nome
scritto nelle rughe
di una roccia
Marvelius
è il segno di un
libero pensare
la mano che vi
invita a entrare
la voce che vi
sussurra i lemmi
di un dolce sentire...
Marvelius
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1 Nel silenzio
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2 Nel bacio dell'inverno
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3 Frammenti
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4 Rosse zolle
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7 I bianchi scogli
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10 Nero fumigar d'incenso
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Guardo la vita degli altri con un metodo che sa di
Quando da ragazzo leggevo le storie di avventurieri ,
Sono grandi questi uomini e queste donne che saldano
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Palpita il cuore nell'attesa dello scontro
MARVELIUS |
Vi sono viaggi nell'intimo che sono sospensioni amorose sui sensi scoperti...piccole e rarefatte brume gaudenti dove il pensiero si perde nell'incoscienza d'un momento. Così ci si ferma sull'uscio di stanze fumigate dal profumo d'una donna che lascia fragranze sciolte nel calore della carne mente le parole incidono arabeschi sul cuore confondendo la luce e la mente. Dolce è il suo entrare e ancor più dolce il suo sostare nell'immoto piacere del rimando come la danza di cigni su un lago argentato. Così come un tempo ancor fisso parole su scuri cippi "Avanti a dritta timone saldo tra le mani e freccia che fende le onde, il còmito su la gabbia scruta l'orizzonte, sbrogliate le vele di maestra e di trinchetto, issate il pennone e correte sulla via dei bandini ... fiocchi e controfiocchi stesi al vento del meriggio, presto si parte che il sole già indora l' acque e il vento soffia sui garretti d'argento. Oh si ... il vento in poppa scuote i legni del naviglio, quattro assi robuste fissate al paramezzale e odore di corteccia sui ponti del castello..."
Marvelius
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Nei giorni che più non sono ho inciso pensieri nelle cortecce degli alberi e di quei pensieri ne ho fatto corde di mare come esili fili d'erba.
Oggi con dita incerte sfilo i sogni di bambino che ho lasciato ad asciugare su rive sciolte e candide così quando la notte giunge con silenzio d'ombra ne ripercorro le rughe e le cavità scolpite dal tempo.
Poi col sorriso e una lacrima tarda ... le riempio come le ore tessute nei giorni che verranno,
giorni che nascono e si susseguono come anelli di una catena
gli uni attaccati agli altri
come ieri, come oggi
fino a tutte le albe che rosseranno il cielo
tra spaghi di seta bianca e i rossi aquiloni nel vento...
Marvelius
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Sembrava dormisse nelle sue forme abbandonate ad un sonno prossimo alla morte, le dita delle mani sfioravano gli steli d'erba come una tenera carezza, mentre il respiro sembrava più flebile, così, istante dopo istante il mantice del suo petto prese a rantolare con sempre più affanno. Lui la chiamò a sé con amorevole insistenza, le accarezzò i capelli parlandole piano per cercare di riportarla indietro e dargli la serenità che anche lui aveva ormai smarrito. Le sussurrava il suo amore e la sua devozione, sapeva che poteva sentirlo e intuiva che di li a poco tutto sarebbe precipitato, che il tempo per loro stava per giungere al temine e Anhiel presto lo avrebbe lasciato.
Un filo di sangue le scorse dal naso mentre riapriva gli occhi ma nonostante tutto accennò un lieve sorriso, poi tossì e il sangue bagnò il fazzoletto su cui vi erano impresse le loro iniziali. I suoi occhi avevano perso la lucentezza di un tempo, e le lacrime ne avevano coperto l'intensità delle iridi ma erano ancora gli occhi più belli e profondi che lui avesse mai guardato ... Lei intrecciò le dita delle mani alle le sue e con un filo di voce gli sussurrò le sue ultime parole, e fu un testamento scolpito nella roccia del loro amore "Stringimi forte e non lasciarmi... questo freddo mi paralizza, l'inverno oramai è entrato nelle mie stanze e mi trascina con sé... Raccontamidi noi di cio che siamo stati l'uno per l'altro voglio addormentarmi con i ricordi e la tua voce dentro di me, per immaginare che un giorno possa risvegliarmi insieme alle cose che ho amato in questa vita e che non avrò dimenticato"
Disse queste ultime parole guardandolo negli occhi mentre il suo sguardo andava spegnendosi. Poi la presa delle sue mani divenne via via più debole, fino a perdersi, senza più forza e calore, nelle sue, gli occhi divennero vitrei e spenti e la testa reclinò oltre il braccio di lui che la cingeva. "Anhiel ... Anhiel..." furono le sole parole che trovò la forza di pronunciare, mentre il corso di un destino avverso lo schiacciava fin dentro i fili più invisibili della carne. Provò un dolore indescrivibile mentre intorno a lui si spalancava un vuoto arido, un baratro entro cui precipitava con tutto se stesso.
Si piegò su di lei e tenendola stretta nel suo abbraccio pianse, ma il suo pianto era senza lacrime, come il suo cuore era senza sangue. Un fuoco arso e un ghiaccio abissale si impadronirono di ogni anfratto del suo corpo, di ogni angolo della sua mente, tormentandone pensieri e ricordi. E ogni ricordo divenne una lama nel costato, ogni visione possibile del futuro gli divenne estranea come una malasorte che gioca a rendere i giorni a venire sterili e abietti. Il vento si alzò da tergo e prese a soffiare furioso mentre le nuvole molestarono gli ultimi raggi di luna che scomparve dietro una cortina di nembi vestiti di tenebra. Una pioggia lieve si impastò di freddo e ingrossò divenendo via via grandine mentre i lupi presero a ululare nervosi. Quando il rombo di un tuono sconquassò il cielo lui si destò dal suo dolore e affranto accarezzò ancora una volta il viso di lei per asciugarlo dalla pioggia . Ma ora non era più solo pioggia, la neve iniziava a scendere assorbendo rumori e imbiancando i prati. Al nero della notte si sostituì il bianco mulinare dei fiocchi, e tutto iniziò a trasmutare.
Raccolse il corpo di Anhiel tra le braccia e in silenzio, seguito dai suoi lupi, si avviò nel bosco, lungo il sentiero che tante volte aveva attraversato, i lunghi filari di pioppi ondeggiavano nel vento mentre gli immensi platani erano già imbiancati da una leggera coltre difendendo il sentiero ancora sgombro di neve. Una musica di violini si spandeva nell'aria proveniente dal castello mentre il rullare dei cuori degli animali del bosco cadenzavano i passi di quell'uomo straordinario, il cui cuore era morto da tempo ma il cui spirito ardeva di un dolore che avrebbe riempito con le sue lacrime i fiumi d'ogni terra. La sua anima, bandita ed errante da secoli nei tartari della veglia, in quell'ora solenne aveva visto sbocciare la scintilla che schiude alla vita ma solo per assaporare nuovamente le ferite del trapasso, fino a precipitare nel buio di un limbo senza più pace, nel preciso momento che il distacco da lei era divenuto un eterna separazione. Scomparve oltre i ciuffi di biancospino la dove la collina segna il limite con la foresta, nel luogo in cui gli alberi chiudono i cancelli del loro passo e i lupi ne custodiscono l'ingresso ... la dove muoiono i vivi e regnano eterni i sogni ...
Marvelius
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Ai piedi della scalinata lupi neri
e bianchi, seduti in attesa di un
comando ma docili come agnelli
scuotevano le code ululando alla
luna.
Guardò lei con una gioia infranta
e le diede un bacio sulle labbra,
ora erano più fredde e il corpo suo
tremava come scosso da un fremito
d'ansia per quell'incanto, solo gli
occhi erano vigili e pieni di lacrime
che scorrevano come le acque di un
fiume inarrestabile.
Le guance emaciate e lo sguardo
pieno di quel mondo la consumavano,
era triste per ciò che stava perdendo,
per quel sipario che si stava chiudendo
e che aveva immaginato di vivere
con il suo conte.
Avvertiva tutte le
difficoltà di un distacco lacerante
da quel mondo che tanto aveva
rappresentato per loro e dentro di
lei immaginava la vita di entrambi
privata degli sguardi, le parole, le
giornate condivise, le passeggiate
lungo i corsi dei fiumi, gli abbracci
tra le lenzuola nelle notti fredde
delle loro langhe e i risvegli
illuminati dal sole sui loro corpi
nudi e sciolti .
La luna era assisa nel cielo e
finanche le stelle si erano ritratte
davanti alla sua luce d'argento che
ammantava entrambi ricacciando
le ombre oltre le stanze del loro
dolore.
Si volse a guardarlo e stringendolo
con le sue ultime forze si abbandonò
al suo abbraccio, ai baci strappati con
grazia e un calore bruciante.
Poi stanca e senza forza pose la testa
nell'incavo del suo collo e lasciò
liberi i singhiozzi di bagnare la terra
dei suoi rimpianti.
Lui la tenne stretta tra le sue braccia
immobile come una statua di pietra
mentre il capobranco si era posto
ai suoi piedi guaendo insieme agli
altri lupi.
"Resta con me ... non te ne andare
dove non posso raggiungerti , non
darmi un eternità di abbandono"
disse il conte e la sua voce aveva
ora un calore che non aveva mai
posseduto.
" Non voglio morire ... non voglio"
rispose lei guardandolo con gli
occhi pieni di pianto.
"Voglio restare qui con te ... vivere
ancora ... ancora ".
Le parole le si mozzarono in
gola affogate da un pianto sordo
e senza speranze, così immerse il
volto nel petto di lui per sentire ancora
il profumo della sua pelle nella
speranza di trovare un conforto, o
infiggerlo nella mente e portarlo
la dove stava andando, in quel viaggio
senza più ritorno, poi ebbe un sussulto
e sembrò perdere i sensi .
Il conte la adagiò sul prato e le parlò
piano, gli raccontò la storia del loro
incontro, la gioia eterna che avevano
edificato nei loro cuori, e le sue parole
furono come le onde del mare e il soffio
delicato del vento, erano neve soffice e
dolce profumo di rose.
Anche nella malattia che l'aveva consumata
al tal punto restava bella, di una bellezza
eterna che gli toglieva il fiato .
La veste bianca e sciolta ricadeva
sui piedi nudi e delicati, un nastro
intrecciato di canapa verde le si
allacciava appena sotto le anse
morbide dei seni, evidenziando e
disegnando le linee fluide del suo
corpo.
Ai polsi merletti dello stesso colore
d'erba spezzavano il candore delle
ampie maniche della veste che sulle
spalle terminava con un cappuccio
di panno puntellato con radi sbuffi
d'inchiostro.
Le guance ora avevano ripreso
colore e un leggero pastello rosato
spiccava sul viso smunto.
Le occhiaie tradivano però la
debolezza e il profondo stato
di prostrazione che aveva minato
il fisico rendendolo l'ombra di
quello che era un tempo. (Segue...) Marvelius
|
Lei sorrise appena ... e nei suoi occhi
c'era tutto il suo mondo e c'era lui, i
loro ricordi incantati, la riconoscenza
per un tratto di vita splendente.
Poi alzò una mano con fatica , lo
accarezzò sul viso trattenendo le
lacrime e sussurrò con un filo di
voce il suo nome, ma fu un attimo e
la sua mano si abbandonò al vuoto,
come una foglia che cade dal
tralcio recisa dal vento.
Il conte le prese le dita portandole alle
labbra, le baciò la mano e la strinse a
sé sottraendole un po di quel calore che lui invece aveva ormai perduto da tempo.
Dentro di lui tempeste e uragani
agitavano le maree del petto,
profonde cuspidi sembravano
dilaniargli la pelle e un gelo
profondo stava prendendo possesso
della sua carne.
Avrebbe voluto dirgli che tutto
sarebbe andato per il meglio, il
dolore scivolato via come pioggia
sulle foglie degli alberi, e loro
continuato a vivere insieme
per sempre.
Avrebbe voluto ... ma non riusciva a
fingere, neanche ora che lei stava
oltrepassando le porte di quel
mondo trovava le giuste parole,
una bugia che entrambi avrebbero
svelato nell'atto stesso del suo
disincanto.
Così la guardò con la verità negli
occhi, lui che mai le aveva mentito,
mai aveva potuto e voluto.
I loro sguardi si incontrarono sulle
vette dei loro ricordi e in quel
momento presero a danzare l'uno
nell'altro, si rividero rincorrersi tra
l'erba alta dei campi, rotolarsi nella
spuma bianca del mare e fondersi
tra le rosse spighe di grano.
Fuori il vento scuoteva le chiome
degli alberi e spingeva via le
nuvole, spazzando grandi
porzioni di cielo, mentre una miriade di
stelle brillava come fiammelle
nel panno nero di un cielo che
muto attendeva l'ora che tutte le
comprende.
"Portami fuori ... voglio vedere il
cielo un ultima volta" disse lei con serenità e dolcezza, e lui avvertì una lama attraversarlo da parte a
parte togliendogli ogni forza, si sentì
come sbattuto ai quattro angoli della
terra e trascinato in catene nel fuoco
e nel ghiaccio, prima di cedere ogni
goccia della sua linfa e ogni lacrima
di sangue, ma di quelle sue parole
nulla volle mutare così fece un cenno
di assenso con la testa chiudendo per
un istante gli occhi, poi alzandosi la prese in braccio e si diresse verso l'uscita.
Quando oltrepassò l'uscio dell'arco
si ritrovò immerso in un sogno dove
ogni cosa era un alba di desideri in
germoglio, la gioia inviolata del
vivere che il mondo regalava e che
il destino gli stava togliendo con
crudeltà e inganno.
La luna imbiancava le pietre
lasciando una lunga scia
argentata sulle acque del lago,
le torri svettavano superbe fino a
immergere le loro guglie nelle
nuvole di un bianco nevoso e gli
alberi ondeggiavano lieti nello
stormire delle foglie, mentre il
vento mormorava una musica che
ammansiva tutti gli animali del bosco. Su quelle acque ghiacciate avrebbe danzato, se avesse potuto, come nel tempo in cui ogni cosa era possibile, ogni istante irrepetibile, tra coppie di bianchi cigni nel rosso splendore di un vestito che avrebbe colorato la notte dei suoi pensieri più belli. (segue...)
Marvelius
|
Prese la via del bosco mentre la luna era già alta nel cielo, gli alberi del sentiero mormoravano al vento la sua tristezza e la voce argentina del ruscello di rimando ne raccoglieva le ansie e i timori. Quando giunse in vista del suo castello si fermò come se un comando gli ingiungesse di non andare oltre e piegò il capo, poi raccolse le forze e dentro di lui ripose ogni dolore, scacciò ogni segno di inquietudine e si diresse al cancello illuminato da grandi lanterne ad olio. I cardini si aprirono graffiando con il loro cigolio l'aria fredda della notte, lungo il viale le olle si accesero con fiamme di un rosso carminio fumigando essenze dolciastre . Quando arrivò alle gradinate del Maniero ebbe come un sussulto e il dubbio lo assalì nuovamente, ma si riscosse scrollandosi di dosso l'umido della notte e con esso l'incertezza e la malinconia che lo attanagliava. Attraversò il grande arco di arenaria del suo ingresso, ai lati grandi statue di marmo lo guardavano fisso nella loro immobilità assorbendo i chiarori della luce e riflettendo le lunghe ombre sulle pietre. Le oltrepassò entrando nell'immenso salone tra i rossi drappi di tulle e le tende d'organza, vide i grandi arazzi illuminati da enormi candelabri d'argento e i quadri splendenti di cavalli in corsa , di città dirute e magnifiche foreste, sui muri impreziositi di onice e colonne d'ambra. Statue e amorini negli angoli, atlanti di elettro tra divani di pelle damascati, triclini e tavoli di legno scuro, poi vicino alla biblioteca ricolma di libri , incunaboli e pergamene stava lei e così nulla più sembrò esistere, niente più catturò la sua attenzione quando la vide riversa a terra.
"Anhiel" urlò andandogli incontro, ma lei sembrò non udire la sua voce "Anhiel" le sussurrò raccogliendola tra le sue braccia. E lei aprì gli occhi come se ritornasse da un lungo viaggio. Le membra stanche e abbandonate a se stesse, lo sguardo cerchiato dalla sua infermità, e la bocca socchiusa nella ricerca di un tenue soffio d'aria che le riempisse i polmoni. La portò in braccio verso uno dei divani vicino alla grande vetrata istoriata che dava sul giardino di rose e l'adagiò sopra di esso ponendogli un cuscino sotto il capo. "Come ti senti Anhiel" le chiese accarezzandogli i capelli mentre la fronte si imperlava di sudore e il calore della febbre le bruciava la pelle. (segue...) Marvelius |
"Dicevano che eri una donna dura come pietra che non si scalfisce, che eri come la cima di una montagna che non si può scalare , come la profondità del mare che non si può scrutare .Dicevano che il vento ti scombinava i capelli ma non riusciva a trattenerti, che la pioggia ti rendeva difficile il passo ma non riusciva a fermarti e che il sole ti bruciava la pelle ma non riusciva ad accenderti l'anima... Io ti ho sconfitto una, cento, mille volte. Sono stato come uno scalpello per la tua corazza e ho sostato sulla tua cima infiggendo il vessillo sul bianco manto, ho nuotato nei tuoi abissi e mi sono sciolto nelle tue lacrime come pioggia e nella pioggia ti ho trascinato via con me, ti ho rapito nel mio soffio tra stanze d'argento e scaldato nelle fornaci del mio petto come mantici di carboni nel cuore caldo della terra. E poi? Cosa è rimasto dei tuoi capricci rotti sotto l'onda del mio seguitare, cosa è rimasto della tua vanità e dei tuoi dubbi fragili come il cristallo, infranti contro i bastioni delle mie certezze?" Disse queste parole fissando il suo sguardo nel suo stando seduto sulle gambe sotto un albero di mango e quando lei le venne incontro chiuse gli occhi, quando li riapri lei era ferma davanti a lui come un faro in mezzo alla tempesta. Si sedette sulle ginocchia appoggiando il capo sulla sua spalla e gli chiese di stringerla forte, era una donna formidabile, tenace, ma era soprattutto una donna fragile, chiusa in una torredi solitudine. Lui le carezzo il capo ma troppo era il tempo trascorso, troppi giorni erano rotolati oltre i dirupi del perdono e la polvere che aveva adombrato i loro momenti di felicità si era ormai depositata su di loro come un manto lacero e consunto, come spento era il fuoco di lui che aveva arso nei giorni in cui aveva ammainato le vele nelle acque agitate della sua isola che ora chinava il capo sopra le sue larghe spalle. Con voce gentile come una piccola fiammella lei cercò di parlargli ed era finalmente sincera, senza alibi e senza ombre da difendere o in cui serrarsi, spoglia come un virgulto di loto, e cosi emise le sue note come un sibilo tra le rosse e perfette labbra "Non vi è giorno che non torni in me quel sogno d'amore svanito nella brezza del mare, mischiato come fumo in un notturno sfacelo. Da allora ho serrato il mio cuore con nere catene, l'ho chiuso in cardini dorati tra pozzi d'oblio e pregato il vento che disperdesse ogni traccia del suo calore. A Dio in ginocchio ho sussurrato parole di fuoco affinché sui miei occhi stenda l'aspro sudario dell'oblio perché non viva mai più le pene di un commiato cosi eterno e profondo, un lacero straccio di una fine che divide i corpi e spalanca un abisso di mancanze. Raccolgo i miei pensieri come oggetti serviti al mio frugale desco, li sigillo negli anfratti della mia anima al riparo della luce e di un calore che non scalda e mi perdo nei miei passi che non hanno più una meta." Lui non si mosse , come una solida quercia che sfida la sferza della pioggia e i venti furiosi era rimasto ad ascoltare. Sentì l'impeto del passato come un turbine che sorge dal profondo ma si artiglio alle radici della sua forza come uno scoglio che si erge solitario sotto i colpi dell'onda, così non cedette. E quando senti che il flusso del ricordo riaffiorava con più prepotenza e le parole si impastavano del lievito del suo pensierole rivesti di velo d'argento e le rispose "Le tue parole sono oggi echi di un vento lontano, la pioggia ha già lavato i marmi delle nostre dimenticanze e le lacrime che scendono dal tuo viso sono fredde come il ghiaccio che alberga dentro queste mie stanze. Il mio cammino ho ripreso da tempo su strade nuove tra prati seminati a primule e nasturzi. Sarò servo, condottiero o un buon teatrante, un ladro di storie o un galante gentiluomo , chiunque sarò sul proscenio di questo mondo e mai dimenticherò che uomo non sono ma un eterno pensiero sulle rive di un fiume . I miei giorni con te sono appassiti come le siepi al di la del bosco, come nembi hanno traversato il cielo e come nubi cariche di pioggia hanno lasciato un segno nel solco dei miei rossi campi ." Sentì le braccia di lei stringerlo forte ma non cedette, respirò con calma il profumo dei suoi neri capelli, accolse la spinta dei suoi seni sul suo petto ma senza turbarsi senza più desiderio, poi riprese a parlare come un fiume che non si può arrestare. "Hai sciolto il provese del mio naviglio lasciandolo alla corrente del mare, reciso il canapo che legava i giunchi mossidal vento tra le acque calme ... per cosa? Un gioco di egemonie, un capriccio che solidifica la certezza di un bastare a se stessi? Tutto ci ha condotto alla sconfitta, entrambi, come due pugili stanchi che crollano a terra senza più rialzarsi. Eppure non sono mancati i sorrisi che allietavano le stanze e le parole gentili che gonfiavano le tende col vento della passione, non sono mancati i momenti che ci spogliavano dalle corazze buttando le armi sull'erba verde dei campi , ma troppo solida è la rinuncia al proprio inebriante dominio che ci confina sulle torri della superbia." Poi la voce divenne più tagliente ma senza rancore solo per farsi filo di lama e penetrare la dove avrebbe fatto più male "Hai avuto di fronte un avversario troppo duro da spezzare, troppo forte da piegare e alla fine il peso del tuo orgoglio ti ha fatto vacillare. Troppo impastata la tua lingua di te, dei tuoi principi validi per uno sconosciuto ma inutili e vuoti per me, scolpiti nel quarzo di un fortilizio di foglie." Lei staccò il capo dal rifugio della sua spalla e con un impeto di rabbia urlò "Volevo proteggerti ... volevo proteggermi .... volevo solo riportarti da me" disse singhiozzando perdendo il viso nelle sue mani mentre le lacrime scorrevano tra le dita gocciolando sul marmo.
Per amore? Hai sempre fatto le cose per amore?...No l'amore è altro e neanche io so spiegarti cos'è, ma so che non'è una guerriglia se non per il piacere di un rimando, la schermaglia che prelude alla passione ritrovata nelle voglie e tenuta sotto le ceneri tra i carboni dell'attesa, uno sciogliersi nell' abbraccio che tutto sovrasta, nei baci che ogni parola disperde, nei corpi intrecciati come cordame, che mischia ogni goccia di pioggia con la terra che la sposa nel suo solco ." Si fermò giusto il tempo per riannodare i fili di un pensiero che andava sfumando mentre le note di una musica si librava nell'aria seminando di tristezza ogni cosa. Quando la vide piangere e singhiozzare capì che avrebbe dovuto chiudere quel cerchio e consegnare il passato allo scrigno delle sue vite vissute, stipare il dolore dentro un forziere per non riaprirlo mai più, cosi riprese il suo parlare con la freddezza di una lama di ghiaccio. "L'amore non'è un gioco estenuante di ripicche, il sostituirci ad ogni scoscio di pioggia, come statuine su una scacchiera di alabastro, ad ogni refolo d'aria che si infila sotto la porta dei nostri spazi spogli ... l'amore è altro . Eppure nel rosso fulgore del tuo sangue ho nuotato come gocce di un fiume che sgorga dalle rocce. Nel suo calore ho galleggiato come un naviglio tra le onde della malasorte e nel sapore dolce e amaro delle sue sponde ho sposato le mie linfe immortali di un Capovolto Signore. Eppure ti ho amata nel tempo in cui fosti oltraggiata, le tue pietre ho trasportato nell'ora in cui fosti sola e madre di un pensiero che infiammava i confini della ragione. Croci hai rossato nel buio tra le ombre che ghermiscono un immortalità non desiderata ma tra le promesse di un viscerale amore sei evaporata, come le fiamme estinte di un rogo lontano. Così, smarrita la via, ho lasciato le mie biglie sulle tue rive senza più spuma a dissetarle, ho steso un velo sui tuoi occhi per non vederne il risentimento, ho lasciato un bacio sulle tue labbra per sigillare ogni parola trasportata dal vento sulle mie vele affinché potessero portarmi lontano dalla tua isola di solitudine. Ora svanito è il sudario che avvolge i legni del mio naviglio, scure onde dal sapore salmastro che scuotevano i suoi fianchi come scudisci fumanti. Le ombre dei miei pensieri riposano nelle frescure di queste oscurità, mi parlano di te con la pace trasudata dal tempo, dei tuoi passi raminghi tra l'erba alta della brughiera mentre dalla scogliera s'ode la risacca schiumare sui massi. Sto tornando la dove tutto ebbe inizio, tra i caldi meriggi dell'estate, rossi tramonti che incendiavano il cielo e le cime dei monti , sabbie morbide e bianche in cui correre scalzi senza più tracce delle tue piccole orme. Capitano di un pugno di uomini, navarca di un veliero orfano di una flotta perduta nel cuore dell'oceano, avvolto nel mio scuro mantello tra fibule d'argento ritorno al mare che sa cullare i miei pensieri, tra i ricordi che scuciono i fili della carne dove intingo le cuspidi e gli aghi dei tuoi rimpianti per farne fiori d'acqua da abbandonare alla sua corrente ..." Lei si alzò dal suo giaciglio e fu come se tutte le porte del suo palazzo si chiudessero davanti a lei una dopo l'altra. Rimase in piedi a fissarlo ma senza odio ne rabbia , solo un incredulità che ondeggiava su una fune tra il baratro della rassegnazione e il ciglio della speranza, poi raccolse le sue ultime forze e gli disse "Mi stai consegnando all'oblio Gabriel ... io ancora ti ..." "Non dirlo" la interruppe lui."Non dire quella parola ... e comunque l'oblio non esiste, esiste il ricordo , la vivrai tu ùcon le cose belle e brutte che ti porterai dietro. Non ti cancellerò perché non potrei farlo ma questo presente già corre indietro su quelle terre . Ora vai, se stata la mia lady, forse l'unica e questo è già un bel ricordo da serbare per entrambi." Ora anche lui si era alzato e la guardava senza emozioni, il volto duro ma senza rabbia, gli si avvicinò appena per stendere un braccio e accarezzarle la guancia con una mano poi si volse indietro e si incamminò sulla via dei canneti, qua e la ciuffi di asfodeli e iris dalle bianche camme,il sole che indorava i campi e rossava le spighe di granomentre un filo di bruma aveva già preso a inghiottirlo. Marvelius |
Tra le luci sfavillanti del corso principale della città un uomo cammina stretto nel suo paltò, musiche natalizie e colori caldi si perdono tra i vicoli fumanti e i bistrò , lo sguardo perso tra mille pensieri, la stanchezza di un ultima giornata di lavoro e il costante pensiero di rientrare nell'intimità rassicurante della sua casa. Un lampo si fa strada nella mente e il ricordo delle persone con cui avrebbe condiviso un periodo di festa e che non ci sono più, una cena accanto ad un presepe vecchio di cent'anni e gli sguardi e le parole che scaldavano il petto. Nei suoi occhi scivola una lacrima come cera scaldata da una fiamma ma è un attimo e se ne va via trascinata dal vento. Si ferma sul marciapiede come un sasso che più non può rotolare e guarda quell'umanità che rincorre fumi e luci tremolanti, un silenzio siderale sembra sospendere quel tempo che dura un secondo. Di fronte un negozio con mille giochi e un mare di pupazzi,
Sdraiato per terra c'è un uomo vestito di stracci, non ha neanche la forza di alzare lo sguardo, mentre una moltitudine di ombre lo oltrepassa . Chiude delle monete nel pugno e le fa scivolare nel cappello dell'uomo sdraiato a terra ed entra nel negozio affollato di gente. Quando ne riesce l'aria è ancora più gelida e sembra voler nevicare, cammina a fatica tra gli sguardi curiosi delle persone, e il suo pacco che sembra destinato al figlio di un gigante. Sa dove andare, come pervaso da un idea a lungo pensata e cammina senza più un pensiero se non quell'idea fissa nella testa che lo fa volare tra strade illuminate a festa e le ombre di vicoli che puzzano di urina e abbandono . Cammina fino a sentire il fiato farsi corto e il petto gelarsi. Quando arriva davanti l'entrata dell'ospedale il buio è ormai una cappa che avvolge la città con le sue ombre molestate dalle luci intermittenti delle vetrine dei negozi che qui sembrano però lontani ricordi. Giunge in una corsia dove tra la luce bianca dei neon spicca il blu e il rosso delle lucine di un piccolo albero di Natale. Il reparto di Oncologia infantile ha pareti arancio e verde e tutto sembra un gioco di ombre quando i ninnoli e gli addobbi si muovono mossi dal caldo soffio dell'aria condizionata. Si ferma dinnanzi a un vetro e alla porta di uno stanzino, dove stanco un infermiere cerca di recuperare un po' di riposo. Parla con lui, poche parole e l'infermiere annuisce, poi arriva un medico, una donna sui trent'anni con un bel sorriso e lunghi capelli d'un nero profondo, una stretta di mano solida mentre lo fissa con occhi castani pieni di vita. Parlano come se si conoscessero da sempre e lei sembra felice di quella visita inaspettata poi gli fa cenno di aspettare con un altro sorriso che lenisce le sue ferite più nascoste ed entra nella stanza. Pochi attimi e ritorna dall'uomo con un foglio scritto di suo pugno in quei minuti che lui attende sull'uscio . Un elenco di nomi, 12maschietti e 9 femminucce. Qualcuno deve aver già detto a quei bimbi che un signore ha portato loro un regalo e sono già lì ad aspettare, hanno facce serie e sospese in un immanente vero quasi abissale , alcuni, un po' più timidi, se ne stanno indietro con le bocche aperte e le braccia penzoloni, gli occhi incerti e sofferenti ma che tradiscono un velo di curiosità.
L'uomo avverte una stretta al petto e guarda quanta vita appesa a un filo come biancheria ad asciugare ad un sole pallido che più non scalda e per un momento trattiene il respiro. Tanti sorrisi mancati coperti dalla sofferenza di volti che non sanno più com' è il mondo oltre quelle stanze e addentano con dignità e rassegnazione una vita avara di gioie. Una mano da adulto si alza a salutare , un sorriso stira le labbra trattenuto da un emozione che punge la carne, poi si scioglie nel vedere una felicità ritrovata, quelle piccole teste glabre agitarsi come ninnoli di natale, grida e strilli di gioia si alzano nell'aria là dove meno gioia ti aspetti. Non si può entrare nel reparto, cosi l'uomo agita i regali , sono tutti lì ora, passato il primo timido impatto, un velo di diffidenza, con le mani al vetro scelgono i burattini, pupazzi e peluche su cui l'uomo scrive i nomi sulle targhette colorate, poi quando l'infermiere li passa dentro è un rincorrersi di grida e sorrisi, e l'uomo ride di una felicità appagante, distende le dita come a lasciarsi andare nel sollievo di un dono ricevuto, quanta gioia per un pupazzo, quanta festa per un regalo ricevuto, un pensiero condiviso, ma chi ha dato e chi ha ricevuto si chiede e con gli occhi lucidi trova dentro di sé la risposta alla sua domanda, poi un ultimo colpo al suo animo defedato che lo fa stringere nelle spalle, l'infermiere lo guarda al di là del vetro con un viso contrito, in mano l'ultimo peluche, un burattino rosso e sorridente. E l'uomo capisce che un burattino resterà senza un letto in cui dormire con a fianco un corpo da scaldare ... ma forse potrà starle vicino lo stesso, in silenzio nell'abbraccio ideale per non svegliare la sua amichetta addormentata e in viaggio su altri mondi. Si gira sotto il peso di un macigno, col cuore gonfio e il respiro pesante e si tuffa nell'aria gelida al di fuori del portone, avvolto nella penombra da stura ai suoi sentimenti appoggiandosi al muro di un vicolo sberciato di mattoni corrosi dall'umidita poi ritrovato il respiro con un groppo alla gola e una morsa allo stomaco lentamente si rimette in cammino tra la luce smorzata dei lampioni. Da lontano le luci colorate e sfavillanti delle vetrine del corso, i rumori e gin gol del Natale, le scintillanti sfilate di atmosfere incantate degli addobbi , lo inghiottono mentre la gente lo oltrepassa con occhi sbarrati nella fretta degli ultimi acquisti. Si ferma un istante sul marciapiede appena imbiancato per recuperare il fiato che arranca, due uomini che litigano per un parcheggio prenotato da uguali intenzioni, mentre il traffico urla la sua rabbia, è l'ora di cena e ognuno vuol tornare a casa. Quanti sorrisi mancati, quanta energia profusa inutilmente, quanta impazienza e quante corse per un regalo non ancora trovato che fa disperare e alcuni bestemmiare. Tornerebbe indietro in quella corsia di ospedale a guardare piccole facce sorridere, dimentichi del loro male e del loro destino. Qual' è il Natale più vero si chiede ... e col passo lento e lo sguardo fisso sulla neve che cade giù dal cielo stringe il burattino tra le mani poi giunto vicino all'uomo sdraiato a terra glielo mette accanto insieme a a un pezzo di pane caldo
"Ti terrà compagnia stanotte, era di una bambina dolcissima" gli dice con voce bassa mentre il barbone lo guarda sorpreso ma è un attimo poi afferra il pupazzo e lo mette sotto la coperta di lana che lo scalda in quella notte fredda e spezzando il pane che fuma nella notte guarda l'uomo svanire tra le luci scintillanti della città. MARVELIUS |
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R.B alias Marvelius