Creato da Marvelius il 21/08/2012

Marvelius

Elrond lands :dove il mito e la fiaba, la realtà e la fantasia si incontrano al crocicchio del vento

 

Come Rugiada...

Post n°68 pubblicato il 17 Settembre 2013 da Marvelius
 

Post Dedicato

 

Alfine Ella giunse come velo mosso dal vento
simile alla bruma ghiaccia
tra le scure vertigini della terra.
Ratto fu  il calore nel tocco dell’estate
Come tremor che scuote
fin l’ultima stella.
Come soffio ne carezzai la calda voce
nel gentile effluvio d’oltremare.
Dei suoi occhi il cielo n’ebbe geloso cenno
come specchio che flette al suo rimando
e veste l’algore del suo color la pelle
e il crine sciolto che tinta l’ombre
pur s’agghinda
 per sospirar di luce la tenera notte.

 

 

Ancor pugnala seco l’eco dei suoi dolci lemmi
la mente mia che scuce fili  di parole
e leviga le dure pietre come preziose gemme.
Come l’acqua solca l’arsa terra
cosi dei  passi suoi s’apre la roccia
come storta ruga d’una ferita antica.
Rosse e carnose lamine gaudenti
sono le labbra sue come tumide movenze
e schiudono come fico in fior
nel rosso  fulgore di melograno.
Così piego come stallo e poggio
di un bianco cippo tra gli acanti fioriti
quando dinnanzi Ella mi scorge.
E del sorriso suo finanche il mare adusto
tra le raminghe onde se ne compiace
e volge al timido cospetto
come luce del tramonto che cede all’astro
che l’ombre fuga e d’argento il piglio
all’acque infonde
tra le mute parole e lo sterminato silenzio …

Marvelius

 

 


 
 
 

LILIBETH...

Post n°67 pubblicato il 09 Settembre 2013 da Marvelius
 

 

 

 

La vide nei suoi sogni come bruma luminescente
e si materializzò in volute che salivano al cielo per
poi ridiscendere in soffici petali di neve, sull’erba e
sugli alburni tralci dei mandorli in fiore.
Nel chiuso dei suoi occhi la ricordò tenera e 
delicata come un piccolo virgulto di giunco
ondeggiante nel vento e come foglia spersa nei suoi
soffi danzare nell’aria con i suoi capelli ramati e gli
occhi felici … di una felicità pura come acqua di fonte
e un sorriso pieno di orizzonti lieti spalancati sui suoi
occhi rubati all’azzurro del mare.
I pensieri si fecero pesanti e il cuore gli si chiuse in
una morsa che lo faceva sanguinare, per un attimo gli
mancò il respiro  e senti il suo petto esplodere sotto la
spinta di un ansia senza freni .
Spalancò i suoi occhi in cerca di una distrazione che
lo portasse via da quelle onde così feroci, da quelle
acque  salmastre che lo affondavano nei gorghi del
suo passato . Riuscii a ingoiare morsi di aria come un
pesce buttato sulla spiaggia che sogna  le profondità
delle acque  mentre la  vita lentamente lo abbandona.
Perse il suo sguardo tra la radura del bosco mentre
l’ombra di  un nibbio gli disegnava tenebre e luce sul
volto emaciato e lo ricacciò indietro nei suoi rivoli
di vita vissuta, così, ricadde indietro sulla terra vergata
di  verde tra ciuffi sparuti di papaveri e pensieri spietati.

 

 

Richiuse gli occhi nel buio dei suoi silenzi battuti dal
gelo come un tartaro abbandono di spine e rovi e il suo
 bisogno di sentire gli aghi di quella mancanza lacerante
 lo trasse via da una calma appena sfiorata e lo immerse
 nelle acque fredde  della sua solitudine.
I suoi occhi erano pozzi scavati nella terra arsa, ciechi
vagavano nel buio e nel pianto tenuto a freno dai muscoli
del viso come dalla rabbia che, simile a  uno  stiletto
 intinto nel veleno, gli pugnalava il petto che si contorceva
 ad ogni respiro bruciandone  brandelli di carne .
Provò un dolore vivo e devastante che penetrò in ogni
sua cellula, in ogni fibra del suo corpo e in esso
soggiacque profanandone la purezza fino a  riempirlo
di odio e di una tristezza senza speranza lasciandolo
senza forze.
Non tentò nulla per divincolarsi dal calice della sua
 infermità, anzi vi si immerse con tutto se stesso come a
 farsene parte e ancora una volta la vide venirgli incontro
coi suoi passi incerti, la corta veste di lino bianco e piccoli
 merletti di canapa che gli cingevano il petto, scarpe lucide
le calzavano i piccolissimi piedi e nelle sue movenza gli
sembrò che il vento la sollevasse per danzare con lei,
volteggiando nell’aria al canto degli uccelli e delle onde
del mare.
E quando il ricordo si fece materia la vide dinnanzi a lui
alzare le braccia, nel richiamo di un affetto indivisibile e
intenso, di un amore senza tempo e confini, così anche lui
stese per un attimo le sue braccia come a voler sollevare
quell’ immagine impressa nella sua memoria, un fantasma
che dal suo cuore si mostrava davanti a lui come vento che
giunge dalle più alte montagne ….

 


Una lacrima si spinse oltre il ciglio dei suoi occhi e lì per
un attimo sostò come una goccia di pioggia che dice addio
alle altre e si perde nel soffio vespertino scivolando sulla
pelle e oltre ancora nel solco di un esistenza piena di amari
e dolci ricordi.
Strinse le sue pupille come ad evitare che altro dolore
 fuoriuscisse dal suo canto e si rinserrò nelle cupe sfere
della sua anima, mentre il ricordo di sua figlia pian piano
svaniva oltre le vele della sua sterminata tristezza …

 Marvelius

 
 
 

Memorie dal Vento...

Post n°66 pubblicato il 05 Settembre 2013 da Marvelius
 

 

Portava impresso  nella sua mente i
profumi della sua Isola come un sigillo
di fuoco nei lacerti di carne.
Aveva solcato mari infidi e raggiunto
promesse oltre i confini del mondo
Nei suoi occhi erano passate luci e ombre
e in quelle ombre aveva vissuto come un
randagio negli anni del distacco,
 tra i passi ghiacci dei suoi lunghi inverni.
Si era  immerso nelle maree che  imbiancavano
le rive candide e ondeggianti
di porti popolati come fiori in un campo.
Aveva traversato montagne invalicabili
e giunto sulle coste indorate nel sud caldo
e dagli orizzonti di fuoco, era salpato con un
veliero dalle vele nivee come la neve e
inoltrato su altre spiagge bianche e deserte.
Si era spinto tra le casbe di città di mercanti
bruciando i giorni del suo divenire, rubando
 attimi al tempo e al destino beffardo.
Poi il richiamo del deserto come un canto di
Sirene e il vento arso che riga la pelle coi suoi
soffi imbevuti di silenzio e silicio dorato.

Aveva lasciato le briglie al passo del suo cavallo
che lo stava conducendo per luoghi sconosciuti.
Le montagne lungo il sentiero sembravano tutte
 uguali, muri e bastioni di roccia si alternavano a
dune gibbose e a pianori ripetitivi.
Massi enormi sparsi lungo un tragitto fatto di
polvere e silenzio, rotto solo dal rumore incessante
dei suoi pensieri molestati dallo scalpiccio degli
zoccoli del suo destriero sulla roccia dura del
suo cammino.
Pensieri accalcati come pile di libri antichi su
uno scrittoio impolverato, crude riflessioni di un
uomo d’arme che per troppo tempo ha camminato
 al fianco della morte.
Pensieri di un uomo che sfida il suo destino che per
troppi anni si è  posto domande che non avevano
 speranze di risposte.
Domande e risposte e ancora domande, come onde
che si abbattono sulla battigia di una riva umida
 e piatta.
Domande e risposte e ancora domande come
flutti sprezzanti  di una rabbia antica che si
 infrangono tra gli scogli lisci e bianchi di una
scogliera.
Voci a destarlo … una carovana acquartierata in
un oasi  dimenticata che raggiunge col passo
stanco della sua cavalcatura.
Lo guardano giungere come un angelo tra i fuochi
del deserto, lo osservano tra sguardi curiosi e
diffidenti, tra prudenti calcoli e un indifferenza
malcelata.
 Alcuni timorosi scrutano di sottecchi i suoi occhi, 
fissi lungo il suo cammino, un ombra sembra seguirlo
 e precederne il passo, un aura di gloria e di tenebra
sembra avvolgerne le vesti e magnificare lo sguardo
e così i più abbassano gli occhi rivolgendo
 l’attenzione  ai loro affari interrotti .



I più coraggiosi e quelli a cui la curiosità scioglie i
nodi dell’imprudenza fanno un piccolo gesto con la
mano o un lieve cenno del capo per trasmettere un
saluto o accaparrarsi la benevolenza del nuovo
arrivato, o solo per porre un mattone nell’edificio di
un sodalizio destinato a nascere tra uomini che
condividono gli stessi silenzi, le stesse immense
voragini di quella terra di fuoco, tra pensieri
 instancabili e mai sazi .
Sotto alcune palme un gruppo di uomini sosta tra
padiglioni di tende, si gusta l’ombra e la frescura
delle fronde agitate dal vento, vicino un piccolo
pozzo d’acqua cristallina chiuso tra pietre
 squadrate e  lucide che viene attinto con otri e
 cucume d’argilla da alcune donne intabarrate con
 veli multicolori.
Sorridono al suo arrivo e lui sorride di rimando,
sono giovani berbere e  ragazze di persia, volti della
terra di Kush e femmine del magreb, persino visi e
occhi dell’indo che gli ricordano il mare verde
della costa.
Alcune indossano un chador che lascia
 solo gli occhi  scoperti, occhi truccati
 e perfetti, sguardi profondi e pieni di vita con mille
 sogni e desideri non ancora infranti.
Altre, dalla storia ancorata a terre più orientali,
indossano larghi pantaloni di seta stretti in vita che
lasciano il ventre scoperto con un gioiello incastonato
nel loro ombelico che spezza la linea morbida dei loro
fianchi, capelli raccolti in trecce annodate e lunghi
orecchini filigranati.
Si muovono con eleganza e una sensualità innata,
mai alterata, mai mostrata, ma tenuta gelosamente
al fianco come una ancella fidata, come un ombra che
si mostra gelosamente sul fare del giorno o nella
tensione sensuale  della luce che schiude i segreti
alla lussuria del crepuscolo.
Sono donne misteriose quelle che si confondono
 tra una femminilità sempre in bilico nella maturità del
pensiero e la giovinezza delle forme, come le donne della
della costa dai seni prosperosi tenuti stretti nei canapi
di lino,turgide consistenze che si adagiano irti su petti
 superbi da farle sembrare altezzose nelle arroganti
nudità.
 Le loro labbra rotonde e gonfie come i loro fianchi
e i glutei sfrontati che troneggiano come bastioni
su gambe lunghe e sode come le colonne di un tempio.
Una di loro gli porge una brocca appena attinta dal
 pozzo, gli sussurra frasi con una voce che lo tuffa
nella voluttuosa vertigine della terra mentre riccioli
neri le scivolano sulla fronte e lungo le guance
appena baciate dal sole.

Lui si sporge dal suo cavallo e si abbassa verso di
lei a raccogliere la brocca portandola sul braccio  e
con piccoli sorsi si disseta, gustando la freschezza
 di quelle acque tanto desiderate.
Il sole investe il suo volto e il capo protetto da strisce
avvolte di lino cobalto, lo sguardo è serrato, le rughe
gli segnano il viso intorno agli occhi concentrando la
forza dello sguardo, la pelle è ambrata  e gocce
cristalline di sudore gli imperlano la fronte.
Lei lo guarda e sorride come una bambina, poi il suo
sorriso diviene altro, uno sguardo sospeso tra
 meraviglia e una curiosità che cerca una via per
penetrare nell’animo di quell’uomo imperioso, così
diverso e silenzioso dagli altri.
Poi si gira e sorride alle compagne che si esprimono
ognuna nella loro lingua ma che sembra non avere
 importanza.
Quando lui parla scende il silenzio in mezzo a loro,
come se ogni cosa venisse risucchiata in un vortice che
 tutto avvolge concentrando i loro occhi sulle sue labbra.
Nuovamente si china e porge la brocca alla ragazza.
 La sua voce trascina solo alcune parole, sono suoni
nuovi per loro e hanno il sapore del deserto, l’incedere
del silenzio e il gentile timbro della gratitudine.
Ma in quel suono ella
avverte qualcos’altro, una cadenza imbevuta nelle
voglie del destino, celata nel suono di quella voce che
 nasce dal profondo.
Arriva dal petto trasportata da un respiro calmo e forte,
un profumo d’ambra e sandalo sembra vestirlo come
un mantello di damasco.
 Lei lo guarda negli occhi che sono
due cuspidi di smeraldo che attraversano l’aria
incendiandola e penetrano nei suoi che come acqua di
 mare si illuminano
e si lasciano attraversare ,rubando al tempo lampi di
vita da consumare nei suoi propositi più nascosti.
Lei arrossisce e sa che è vulnerabile ma non cede al
suo sguardo che scopre ogni suo desiderio e in quel filo
di luce che rimesta le sue acque nasce una passione
che non può essere trattenuta, è una scintilla pronta a
incendiare i covoni che da troppo tempo sono
affastellati nel suo petto.
Le altre donne lentamente si allontanano tra risa
trattenute tra le mani affusolate e le dita inanellate,
tra bisbigli di pettegolezzo e occhiate fugaci e maliziose
 mentre lui scende da cavallo avvicinandosi a lei.
Gli uomini sotto le tende fumano il narghilè spezzando
 la monotonia della sosta e guardano divertiti alle
scaramucce dell’amore mentre altri ingoiano bocconi di
una gelosia che muta e irrancidisce nella disfatta
dell’attesa.


Una musica si espande tra il verde dell’oasi, tra i canti
e i mormorii di lingue aspirate e spigolose che si
dissolvono in lontananza, mentre intorno al pozzo, tra le
 prime ombre della sera, gli sguardi sono promesse e
le promesse mutano in baci che scaldano il fresco
della notte in quel deserto fatto di polvere e roccia,
di silenzi e di vasti orizzonti e immense e
profonde solitudini …

Marvelius.

 
 
 

L'Uomo nel vento:RICORDI III

Post n°65 pubblicato il 03 Settembre 2013 da Marvelius
 

 

 

Guarderò i tuoi occhi per l'ultima volta
sul bianco disco che illumina il mio cielo
Serberò il tuo sguardo dentro il mio per
sempre, come facce di un'unica moneta
e quando tutto questo sarà oramai un
ricordo aprirò il forziere dei miei rimpianti
lasciando che le amarezze escano come profumi
di oltremare, per ammantarmi d'ombra  e fiamme.
Gelsomino saranno le tue braccia e fiordaliso il tuo
sorriso, petali di loto i tuoi occhi e rose bianche le
tua dita, vele sgualcite dal vento i tuoi capelli
e  nelle tue spine di solitudine poserò il capo
come tra mille aghi a pungere il mio corpo.

Ti lascerò l'odore della mia carne, il profumo
della mia pelle, il bianco sorriso tra le mie labbra,
i fumi dei miei pensieri come oppio che placa le
tue tristezze, la forza del mio abbraccio che tiene
avvinta l' anima, il suono delle mie parole nella musica
che  strappa un sorriso al mare, e la luce dei miei
verdi occhi sarà la torcia che  illuminerà i tuoi passi.
Quando tutto sarà compiuto solo il vento soffierà su
questi campi rendendoli fecondi e il sole li indorerà come
vermiglie distese di grano,  la luna benigna  
bagnerà d'argento l'acqua delle fonti nelle mute
 trasparenze delle sue cascate.
Presto dunque arriverà l'inverno e giungerà sulle ali
di un soffio gelido come un cuore avaro che non ha
mai conosciuto palpiti d'amore.
Ma non tarderà la folgore a tradire le sicurezze del gelo
che tutto rende informe e un giorno non troppo lontano
sarà come avevi immaginato, ma sarà un ricordo che
sfuma nelle pieghe del tempo.
Salpo con le vele del mio naviglio verso isole carnali
là dove il mare stanco placa le sue reni e l'onda ribelle
si distende al lieve battito d' una farfalla.
È tempo di partire ... come giunge il tempo in cui una
stagione seguita l'altra  e in questo mio perenne
peregrinare sarai come foglia nel soffio e nella brezza,
come acqua che mischia  e scioglie al tocco
 dell'altre gocce, così verrai con me fin oltre i limiti
 di questo mare, come fumo di china tra i
nembi del cielo e la bruma che sale tra gli scogli
del mio faro.

Marvelius

 

 

 
 
 

L' Uomo nel vento: Ricordi II

Post n°64 pubblicato il 01 Settembre 2013 da Marvelius
 

 

 

(segue)...
La Nera Dama ... quale elegante ed eterna vestale
può ad essa esserle davanti se non l'idea stessa che
di lei la veste di un nero manto trapuntato di stelle.
Voci lontane rapirono la sua attenzione come ami
nella carne di un pesce che si divincola allo stremo
fino a volgere indietro nella speranza di una luce
amica.
Si vide con abiti di damasco nella luce riflessa dei
suoi occhi, chiari merletti ai polsi di una camicia di
organza e uno scuro mantello di bisso mentre sui
 lucidi stivali di pelle verniciata si specchiavano i
guizzi dei lampi tra foschi nembi carichi di pioggia.
Dietro una robusta porta di noce la voce di due
donne intente a inscenare l' inganno sull'ennesimo
 amante troppo preso nella rete dell'amore per
comprendere i nodi e i legacci che menano per
guadi infidi e senza sbocchi di cortigiane furbe e
avvezze all'intrigo recitato. Donne a  cui l'amore
mai avrebbe arriso o forse troppo presto le aveva
disilluse, strappando loro i sogni e le belle speranze.

Altre voci ... bisbigli nella notte al riparo di ombre
che scivolano sulle malte dirute di muri disadorni .
Loschi figuri le cui armi sembrano strani gingilli

fusi nella loro carne che ne fanno sicari invincibili, ladri
di vite e assassini d' anime tra palpiti agonizzanti.
Lo avrebbero atteso nei vicoli di strade maleodoranti,
 da tempo ne avevano misurato i limiti e contato i
passi, tra sbiechi sguardi rubati da finestre anguste.
L'attacco era stato fulmineo come un lampo di una
tempesta inattesa, ma l'uomo che era diventato non
era più un uomo qualunque, così ,quella tempesta  
avrebbe trovato roccia su cui scatenare la sua furia,
argini levigati e forti a trattenere le sue acque furenti e
 terra arsa e profonda ad assorbire tutta la sua grandine.
Aveva superato senza ferite anche quella trappola tra
le tenebre di una notte senza luna, lasciando sulle pietre
umide e lisce corpi senza vita di uomini di cui nessuno
avrebbe reclamato i corpi, ne versato una lacrima.
Aprì gli occhi come svegliato da un ricordo che scaccia
il sonno, mentre l'ombra di un mostro in attesa d essere
liberato iniziò a delinearsi nelle sue pupille.
Tenebre di fuoco e follia liquefatta tra i fili della sua
 anima si intrecciarono mozzandogli il respiro in gola.
Poi ... una carezza  tra le ciocche dei suoi capelli lo fece
trasalire, ma non si mosse riconoscendo dita gentili e un
 profumo che  non avrebbe mai più dimenticato.
Una cascata di riccioli ramati gli graffiarono dolcemente
 il viso e i suoi occhi si persero in quelli di lei.

 

Le ombre del suo cuore si dileguarono pian piano
 ricacciando i suoi demoni nelle oscure  prigioni dei suoi
ricordi più segreti.
Le sue labbra si schiusero per accogliere quelle di lei,
morbide consistenze dal caldo sapore di amarena che lui
raccolse come primizie di primavera baciate dal sole e
dal vento vespertino .
Lei non disse nulla ne chiese altro che guardarlo negli
occhi , sfiorarne la pelle bruciata dal sole con le mani
morbide e il delicato soffio delle sue dita. Da tempo
 aveva compreso il cuore del suo uomo ... un uomo
che mai le sarebbe appartenuto completamente, i cui
segreti e pensieri lo avrebbero sempre legato a un destino
 che lei non poteva sbrogliare, confinandolo in un passato
 che mai avrebbe conosciuto fino in fondo e lo conduceva
 per porti sconosciuti e deserti che solo lui poteva
 traversare.
Nella maglie di un  ricordo perso nella bruma del tempo
stretto tra le catene di una solitudine in cui spesso avrebbe
trovato sollievo ... un conforto e una pace fugace che
 neanche le sue attenzioni sarebbero riuscite a compensare.

Egli era un veliero che apparteneva al mare e a quel mare
un giorno sarebbe tornato, come un giorno d'inverno, tra
le sferzate di una tempesta, da quel mare  era stato
costretto

a fuggire come un ladro nella notte che presto giunge

e subito passa come ombra... nell'oblio che morde e danna...

MARVELIUS

 
 
 

L uomo nel vento :Ricordi I

Post n°63 pubblicato il 24 Agosto 2013 da Marvelius
 

 

 

Sfiorò col palmo della mano il prato d’erba su cui era
seduto.
Ne carezzò le punte e gli steli morbidi e flessibili che
non opposero resistenza.
Il suo sguardo era sereno come le acque di un lago
senza correnti e si perdeva verso un orizzonte fatto di
aspre colline battute dal vento si stagliava davanti a lui
come un simulacro inaccessibile ma allo stesso tempo
imperioso e sublime rapiva i suoi occhi penetrando
dentro i pozzi oscuri della sua anima, sempre in bilico
sul dirupo dei suoi cupi pensieri.
Rocce scure e deformi tra  piccoli ciuffi di ginepro e
ciglia fiorite di ginestre si ergevano solitarie nel silenzio
del mare mentre  gruppi di cormorani urlavano sui cippi
dei greppi e le alture degradanti della scogliera.
I primi alberi si inerpicavano lungo lo stretto pendio che
portava al pianoro degli oleandri tra profumi di fiori
sconosciuti che non avrebbero mai incontrato l’alito
brumoso dell’inverno .
Fusti squamosi e lisci di eucalipto e salici piangenti,
qualche pino maestoso  e vecchi cipressi solitari
puntellavano il sentiero serpeggiante che lui  era solito
percorrere tutte le sere, nella luce smorzata del
crepuscolo, quando il sole si inabissava nelle acque
del mare incendiandone il profilo come un rogo liquefatto.


 

Così, col fuoco sciolto dell’orizzonte a scaldargli le spalle
egli si avviava silenzioso tra i fili dei suoi pensieri verso
quell’oasi di pace cercando di sbrogliare i  nodi della sua
esistenza tra un altalena di rimandi che lo confinavano
in un silenzio dal sapore incerto e molesto.
Al mattino, quando la luce dell’alba si stagliava tenue sulle
prime cime dei monti come ampie lamine  pastello, apriva
la porta di quella dimora e indossato il suo mantello
salutava nel suo cuore il nido caldo che l’aveva protetto e
sedotto con le sue delizie  e con passi misurati scandiva il
tempo e lo spazio  avviandosi verso il suo faro.
Tornava al suo mare burrascoso e al suo vento gentile, al
Respiro Del Drago, come sorridendo amaramente
ricordava a se stesso nelle sue veglie notturne.
D’un tratto sentì come un tonfo nel profondo del petto,
chiuse gli occhi e reclinò il capo abbandonandosi a ricordi
troppo a lungo costretti tra sbarre d’argento, troppo
spesso sigillati nello scrigno inviolabile del suo pozzo,
chiuso nelle segrete di abissi profondi e sconosciuti
finanche alla sua anima.

 

 

Nella regione  dei suoi tristi pensieri andava
pescando la sua memoria con i fili e i legacci
di un pirata sapiente, buttava al largo della fonda
i suoi ami dove arpionare le esperienze di un
tempo passato e la rete dei ricordi pian piano
affiorò portando con sè biglie di cristallo in cui
la vita si materializzava in immagini e parole
dimenticate da tempo. Un inglorioso succedersi di
eventi che lo confinava, insieme alle persone che lo
avevano sfiorato, nel limbo di ricordi torbidi e così
difficili da dimenticare che come foglie recise
dall’alburno tralcio si torturavano negli
angoli e nei recessi di spazi angusti mulinati dal vento.
Lentamente però  il suo corpo trovò la quiete che
spesso smarriva nell’ansia e nel tormento e sul tappeto
di caule filute si fuse divenendo esso stesso erba e terra.
Tra i rossi papaveri di campo e le pratoline gentili e
profumate si immerse fino a sciogliersi col nulla come
pioggia che cade nel vuoto prima di toccare terra.
Si disfaceva come fluido di mago e nel fumigare di
quelle olle espandeva il suo spirito fino a confonderlo
col respiro dell’universo nei cubicoli siderali del cosmo.
Nella mente i fumi di un passato mai dimenticato si
condensavano come aria spessa e pesante, vortici di
immagini rarefatte confluivano come gorghi in un mare
scuro e profondo. Poi quando il rullio dei tamburi smise
di battere nel suo petto una luce diafana giunse a
diradare le nebbie del passato .
Quelle tetre foreste furono illuminate da un sole gonfio
e splendente, al grigiume denso dell’inverno si sostituì
l’azzurro terso dei cieli d’estate e un vento fresco giunse
ad agitare le fronde degli alberi del bosco. Le piante non
erano più solo tralci secchi e alburni sfioriti, ma ai ciuffi
avvizziti dal freddo si sostituirono le chiome rigogliose
e i prati fioriti, virgulti turgidi e protesi alla vita tra foglie
traslucide e carnose di un verde accecante.
I colori sgargianti delle corolle gravide di nettare
degradavano fino ai greppi della costa, le rocce lisce e
bianche si protendevano come lingue di terra dalla linea
della spiaggia fin dentro il mare e come dita ossute
di una mano profanavano le profondità delle acque.


 

Poi anche quelle immagini svanirono come trasportate da
rossi carri  carichi di nembi e si ritrovò su una torre
d’avorio tra i raffi e le sferzate del vento.
Nei suoi occhi una tempesta inesplosa, sotto di lui
un vasto pianoro coltivato con spighe di grano
simili a nugoli di picche protese nell’azzurro del cielo.
Cuspidi e steli ondeggianti si indoravano al sole nel
soffio rovente proveniente da ostro come da un otre
schiuso di un Dio pagano.
Poi la visione mutò e si ritrovo nei saloni di un palazzo
antico. I grandi arazzi sui muri stuccati, i quadri con
grandi scene di caccia e battaglie senza vinti e vincitori
tra le nivee nocche della Gran Dama a cui tutto torna (segue) .

Marvelius

 
 
 

Fiori D'Armeria

Post n°62 pubblicato il 11 Agosto 2013 da Marvelius
 

Se ne stava in piedi su uno sperone di roccia scura
a guardare l’orizzonte tra gli spruzzi delle onde
che si infrangevano tra gli scogli.
Il mare sembrava parlargli e urlargli contro
poi a volte si calmava come a perdonare e
comprendere quell’uomo cosi granitico e imperturbabile.
Ma lui restava immobile col suo cilindro sulla testa
e il  bastone nella mano a lasciarsi carezzare dal vento
a respirare polvere di mare, piccole e rarefatte
nebulizzazioni del suo respiro che come un mantice
portava sulla riva la forza eterna delle sue reni.
Un instancabile abbattersi di flutti percuoteva le spiagge
 bianche e gibbose, così, dal blu del suo profondo, le
acque scolorivano all’azzurro e poi al  cobalto e in quella
declinazione di colori cangiavano in tutte le tonalità di
verde finendo per schiumare in ampie chiazze di un
bianco sfrigolante.

L’oceano biascicava una lingua sconosciuta per tutti
parole dimenticate che quell’uomo chiuso nel suo
silenzio conosceva bene.
Simile a un canto di sirene che ammalia e stordisce,
simile agli echi dei tuoni di una tempesta lontana
che parla di terre perse nel destino del mondo
e di ricordi mai sbiaditi nel fondo del suo cuore.
Lo guardavano di nascosto acquattati tra i grandi sassi

della Scogliera dei Bardi, una lingua di roccia e sassi
dove il vento amava incunearsi fischiando e cantando
come una schiera di musici danzanti, lì tra quegli scogli
aguzzi e lisci strillavano torme di gabbiani in cerca di pesce.
E quel vento lui lo amava come e più di se stesso,
lo sentiva tra i capelli dargli carezze e sferzate di sale,
negli occhi penetrargli facendolo  lacrimare,
e nella bocca come un bacio sulle labbra dal tocco
morbido e sensuale.
Sulla pelle ambrata il suo sfiorìò era un unguento
profumato ed egli, chiudendo gli occhi, vi si consegnava
abbandonandosi  nel contempo al ruggito maestoso del mare.
Stava per ore ai piedi del Faro, come una sentinella di guardia
al mastio del suo castellare, come  un ancora conficcata nella
sabbia  smossa dalla corrente ma tenacemente ancorata al
fondo del mare.
Avrebbero dato qualcosa di prezioso per conoscere una parte
dei suoi segreti e mai lo avrebbero ammesso, forse persino a
se stessi, erano gli uomini dell’isola e per quell’isola avrebbero
dato ogni cosa,  ma l’uomo col cilindro lo sentivano estraneo
a tutto il loro mondo .
Troppo fedeli al loro silenzio, troppo legati alle loro abitudini,
troppo chiusi in loro stessi e troppo timorosi di perdere
 qualcosa in cambio di molto altro ancora.

 

Ma l’uomo chedimorava nel faro  era al di sopra dei loro
pensieri, l’uomo che divideva le notti nella casa sopra la
scogliera con la donna dai rossi capelli si elevava
sopra i loro vili metalli come le ali di un astore sulle
correnti delle falesie bianche della costa.
Egli era un faro che illuminava la notte, era la roccia ancorata
al cuore del mondo, era il vento che ne attraversava i confini,
come la pioggia ch appartiene al cielo e sposa la terra.
Egli era il mare con le sue onde provenienti da un orizzonte
lontano ed era la sabbia che ne filtrava gli aneliti e i sospiri.
Avrebbe letto i segni tra le nuvole e il bisbiglio delle fronde,
ascoltato e sorriso delle parole trasportate dalle acque di un fiume,
avrebbe seguito il guizzo dei pesci e nel volo radente delle rondini
saputo quando era il tempo di partire e quello lieto per restare.
Si volse con grazia scostando il suo lungo paltò,
e con passi misurati si avviò lungo il corto viottolo che
conduceva  al Faro.

Per un attimo si fermò sul ciglio della scogliera e colse fiori
d’armeria mentre una coppia di  cormorani gli passava accanto.
Tra i becchi robusti una manciata di alghe secche per i loro nidi e
gli occhi fissi nell’azzurro del mare.
Li vide librarsi nel vento tiepido e umido proveniente dal basso
e li seguì con lo sguardo poi con un lento incedere del corpo si
sporse sul dirupo e vide il mare sbiancarsi tra le rocce affioranti,
un intenso sciabordio che ribolliva agitandosi nel catino del golfo.
In quel vuoto così pieno di mistero  lasciò cadere un fiore
donandolo alle acque, stringendo gli altri nella sua mano.



Un sorriso pieno d’orgoglio e di tenerezza gli stirò le labbra
mentre la luna  gli illuminava parte del  volto e nei suoi occhi
si
perdeva sfumando... tutto il verde del suo mare.
Marvelius

 
 
 

L'uomo col Cilindro...

Post n°61 pubblicato il 07 Agosto 2013 da Marvelius
 

 

Erano soliti vederlo scivolare nei vicoli del porto
in quegli oscuri cunicoli fatti di mura inestricabili,
tra viuzze strette e buie  come  cubicoli dell’anima.
Lo si ammirava giungere dalla spiaggia vestito
di tutto punto con la sua blusa bianca come spuma
di mare, i pantaloni neri chiusi negli stivali di pelle
e una giacca avvitata su un corpo asciutto e modellato
come una roccia sotto la sferza delle onde o la frusta
del vento.
Aveva una complessione invidiabile e col suo grande
 cilindro grigio tutti lo scambiavano … anzi erano certi,
che fosse un nobile decaduto o lì rifugiato
per chissà quale inconfessabile motivo, ma per la maggior
parte di loro quell’uomo era qualcosa di ancora più
misterioso e impenetrabile.
Alcuni dicevano che avesse commesso un atroce delitto
nella sua terra di origine al di là del mare.
Per altri egli era approdato sulla loro lingua di terra per
dimenticare un amore disperato e impossibile.
Molti pensavano che fosse solo un eccentrico signorotto
incatenato  alla tristezza e alla solitudine, una miscela che
rende randagi sin dalla nascita e confina prima o poi nella
 disperazione dell’essere e nella oscura regione dove dimorano
 i  pensieri inafferrabili o i freddi propositi irraggiungibili.
I più saggi però si erano avvicinati alla verità solo osservando
i suoi passi regolari, la sua testa alta sull’orizzonte al di là del
mare e i suoi occhi di un verde baleno, sempre fissi e mai
stanchi  di cercare, mossi da una curiosità che si agitava
dentro di lui in un incessante mormorio che lo portava  a
volgere nelle sue notti uno sguardo a se stesso nel
buio che non dorme.
Il suo scrutare sempre acuto indagava ogni cosa come
un  cercatore d’oro tra le sabbie di un isola deserta.
Cosa inseguisse però nessuno lo avrebbe mai saputo,
nessuno avrebbe mai potuto immaginarlo, sarebbe
rimasto sepolto per sempre nei fondali della sua anima
come un forziere abbandonato da un pirata nella chiglia di
un galeone inabissato e dormiente ai piedi dell’oceano.
Così si immergeva, lasciata la spiaggia, tra le prime case del
porto, nei vicoli stretti di mura sberciate e sassi levigati
dal mare celato nel suo cappello scuro.

I capelli scuri  e il viso tirato e regolare, sicuro nel
suo passo verso qualcosa chiuso dentro il cuore e nello scrigno
della mente.
Ogni tanto si fermava lungo i porticati o i supporti come a
pensare, un lieve momento in cui sembrava arrestare la sua
 forza e la  sua marcia, un raro attimo che fondeva la sua anima
 col suo corpo dove tutto sembrava colmarsi nelle pienezze
 di quell’istante.
Alcuni allora giuravano che lui sorridesse e i suo occhi guizzassero
di una luce innaturale e in quel momento altri avrebbero spergiurato
che persino il mare calmasse la sua forza arrestando le onde
 per qualche momento, come uno scoramento di tutti gli elementi
resi vani e immoti dalla forza orfica del suo desiderio.
Poi battendo lievemente il suo elegante  bastone sul selciato di pietre
riprendeva il suo cammino e tutto continuava a scorrere come prima.
Le clessidre del tempo a sgranare le sabbie del cosmo e la gente a
respirare nuovamente, il vento a bussare alle loro porte e tra le
fronde degli  alberi e le acque ad agitarsi lungo le anse dei fiumi o
nei gorgoglii  tra gli  anfratti delle rocce o nella risacca del mare.
Lo avrebbero chiamato in molti modi.
Per tanti di loro era certamente un mago pericoloso e
macchinatore da tenere lontano, uno stregone piombato lì per caso,
 un ramingo incantatore naufragato  ai piedi del loro bianco faro
di cui aveva preso possesso senza mai  reclamarne signoria e in cui
avrebbe esercitato sortilegi di ogni tipo
Così quasi tutti si tenevano a distanza da lui come nelle notti
di burrasca, quando i tuoni e lampi si addensavano insieme alle
  nubi scure e gonfie sulla cima del faro, nelle furiose battaglie col
mare  in tempesta come attratte da una forza misteriosa e alchemica.
Proprio allora molti di loro tremuli  iniziavano a recitare preghiere
 e scongiuri mischiando  parole sacre e profane, affidandosi ad
amuleti pagani e alle immagini dei santi.
Non lo odiavano, cosi e allo stesso modo come non ne
avevano stima, solo  una sorta di timore ancestrale li irretiva, una
superstiziosa  prudenza che  li faceva arretrare stabilendo con
quell’uomo cosi  particolare  e misterioso solo rapporti minimi e
, dopotutto  era l’unico che sapeva far funzionare il faro
e l’unico a leggere i segni del tempo, ad avere una sapienza al di la
di ognuno di loro,  in tutti  i campi della conoscenza e della
medicina, ma anche  questo, per tutti loro era un segno
evidente della sua arte occulta.
Un confine ideale  era sempre presente in mezzo a loro, solo i
bambini e una donna riuscivano ad accorciare quel limite fatto
 di un’ indifferenza malcelata e di un timore mai troppo nascosto .
I fanciulli lo seguivano per un po’ con stupore e meraviglia.
Ascoltavano i rintocchi dei suoi tacchi sul basalto dei vicoli
del borgo marinaro, loro che scalzi e smunti sembravano ombre
lungo le pareti e i muri delle case .
Quando lui si fermava loro facevano lo stesso, quando si piegava
a raccogliere qualcosa o ad annusare un fiore, dopo un po’
 essi ripetevano la stessa cosa come a voler catturare cose a loro
sconosciute o a divenire parte del suo mondo, di quel misterico
addentrarsi nelle sconosciute dimensioni dell’uomo col cappello,
il gran cilindro di panno grigio.



Lei lo attendeva in cima alla collina con le spalle addossate alla
porta della sua casa … una modesta dimora di legno con travi annerite
dal fumo ma decorosa e pulita e con un persistente effluvio di viole.
I fiori erano la sua passione, appesi lungo il porticato esterno,
sui davanzali, così agli angoli di porte e finestre vi erano delicati
 asclepias,  margherite d’ogni colore, iris e orchidee, loto e ogni altro
fiore che prestasse profumi e colori alla sua casa.
Ne filtrava le essenze, ne componeva coriandoli e misture,
 preparava decotti e filtri, più che una strega però somigliava
una fata tra i suoi alambicchi e  le olle fumiganti .
Capelli rossi, mossi e sciolti che ricadevano fin sulla schiena
Come una cascata di edera dalle pendici di un monte, denti
splendenti su una bocca perfetta e quelle due piccole onde
ai lati delle labbra.
Due minuscole virgole che ne ampliavano il sorriso e nei
 momenti di tristezza le davano un aria malinconica e altera come
una dea la cui bellezza avrebbe sfidato tutte le ere di questo mondo.
Lui la guardava da lontano sotto i suoi occhialini scuri
e rotondi come un miraggio di cui si ha piena certezza.
La seguiva con lo sguardo immergendosi in quell’attesa e quando
le era vicino si fermava come irretito dalla sua avvenenza solo
per ritardare il momento dell’abbraccio, il persistere gaudente
 della voglia e del desiderio come una lotta di cui si sa l’esito ma
ci si perde nella coscienza del protrarsi in una dolce attesa,
per ritardare il momento meraviglioso della vittoria.
Quando lei si staccava dal suo abbandono tra i legni della porta e
le andava incontro lui poteva sentire i battiti del suo cuore farsi
largo tra i suoni del bosco, vedere le pieghe del suoi seni gonfiarsi
sotto i mantici del suo respiro e le mani farsi armonie col vento che
ne accarezzava la pelle.
Poi quando il rosso fulgore del sole avrebbe disegnato scie di fuoco
sulle acque lui l’avrebbe stretta a sé mischiando il suo profumo al suo,
le sue labbra fuse con quelle di lei in un morbido ritrovarsi, come
acque tra le acque e vento tra i soffi di altro vento fino a che le prime
ombre del vespro li avrebbero ammantati celandoli agli occhi dei mortali.
 Tra i segreti dei loro corpi, nella luce di una luna lieta e splendente,
avrebbero danzato al canto delle cicale, tra i sudori  della lotta e gli
umori delle loro rinunce, fino al mattino che li avrebbe sorpresi
nel sonno ristoratore con il chiaro bagliore dell’aurora, come la luce
del suo faro tra le acque cobalto del suo grande mare …

Marvelius







 
 
 

Mina... Sacrificio d'Amore...

Post n°60 pubblicato il 01 Agosto 2013 da Marvelius
 

 

 

 

La mia anima brucia di un fuoco senza requie

che Dio mi perdoni per tutto questo.

Del mio amore si consuma il mio spirito,

la mia vita sembra non avere piu un

senso lontano dal mio Signore.

Ogni cosa è una forma  distante e non più

bastevole ai miei capricci e ai miei desideri

senza i Suoi occhi che si posano sul mio capo

sono come vento che percuote le cime degli alberi

in cerca della pace che ha smarrito.

L'anima mia è in balia del tormento

e nel peccato si rifugia.

Come seme anelo la mia terra

e arse le mie radici bevono al ricordo della

Sua fonte d' acqua cristallina.

Egli ha attraversato i secoli per ritrovarmi,

ha solcato gli oceani e domato le tempeste

per tenermi ancora tra le Sue braccia,

ha chiuso il Suo cuore in oscure prigioni

in attesa del mio ritorno in questo tempo.

Anelo struggendomi della Sua assenza

come una nave tra le onde

e in questa mancanza il cuore è punto

da mille aghi di dolore che ne strappano

lembi coi morsi della Sua sete.

Lacerti si aprono nel mio petto e nella testa

nulla sembra quietarmi, se non il Suo pensiero

che torna a visitarmi nelle notti che conto

come grani di un rosario interminabile.

Gli inverni delle mie solitudini sono

stanze preda del gelo come i

vetri di questo tempio che non hanno piu

trasparenze.

In un manto d'ombra Lui ha serrato i Suoi

ricordi per riviverli con me in eterno.

Il mio Amore ha costruito castelli dove

serbare la mia memoria

e seminato giardini di fiordaliso e loto

dove passeggia tenendo per mano

l'immagine dei nostri giorni migliori.

Ed io mi consumo come incenso

tra le stanze del nostro tempo,

come un mare in burrasca che scuote le

colonne del suo tempio sotto lo sguardo

del mio Astro e lo scorrere vorticoso

di rossi nembi che velano il cielo.

All'ombra della morte Egli scivola nei giorni

cupi della Sua esistenza

ed io bramo con tutta me stessa di

abbandonarmi insieme alla tristezza dei

Suoi giorni che sanno di infinitudine.

 

 

Oltre gli oceani del tempo si spinge il nostro

amore

calpesterà i prati della gioia nei cuori ritovati.

Così grata sono al destino  per tanta ricompensa

alle mie notti insonni,  ai giorni mesti che

non sapevo trattenere

come ore infrante nelle amare veglie notturne.

In questa e in tutte le vite del mondo

mai troverò conforto se non dentro la vita Sua

perché sono niente come lo è la morte che rinnego

per avere la possibilità di un altra vita da

consumare in eterno insiema a Lui.

L' Amore è un fiume di lacrime

e di  gioia tra le difficoltà degli  scogli

ma nessuna tenebra può renderle

amare, nessun inganno puo renderle false

perchè il nostro amore è più forte

della morte che uccide e uccidendo danna

perchè il nostro amore durerà in eterno...

Mina a...Marvelius

 

 

 

 

 

 
 
 

Lucy...Ode Al Mio Signore

Post n°59 pubblicato il 30 Luglio 2013 da Marvelius
 

 

 

E in questa notte padrona del tempo che volteggio

senza pace tra i merli della torre. Poso i miei artigli sugli

sbecchi e i dongioni, sfido e rasento le lesene delle mura

ciclopiche del Suo castello, tra i lampi che rischiarano il

cielo e i tuoni che sconquassano le sue fondamenta.

Le fiaccole sono molestate da un vento ghiaccio che

scende dai monti d'ostro e sulle reni dei loro crinali si

inorgogliscono ruggendo e frustrando ogni filo d'erba,

piegando e scuotendo le fronde degli alberi o gli irsuti

prateggi delle terre del mio Signore.

 


Lui è lì...nel chiuso forziere delle Sue cupe stanze, tra il

 riverbero delle torce e le tende di tulle, sul Suo letto siede

leggendo lettere d'amore e nei Suoi occhi il brillìò del fuoco

che arde nel Suo gelido petto .

Lunghi capelli gli ricadono sulle spalle, lo sguardo duro

come spigoli di pietra e tenero come la carezza del vento

che sa perdonare.

Calde labbra si muovono tra bisbigli di note e lettere

ricamate dagli svolazzi di un pennino mosso da dita gentili,

mentre mani forti d'una presa che piegherebbe il metallo

stringono pergamente antiche come il tempo dei mortali.

Lo vedo tra i vetri picchiettati dalla pioggia alzarsi tra

le Sue ricche vesti, scuri panneggi di seta tra monili

d'argento.

Gingilli dalle fogge strane l'adombrano come un testimone

d'antiche reliquie.

Un cinto addome ne esalta il corpo e i muscoli che si

tendono come fasci di giunco...

è il Mio Padrone ed io la Sua Schiava.

Amorevole sono alle Sue carezze e docile piego il capo

quando mi guarda con il verde intenso dei Suoi occhi, le mani

Sue mi danno il calore che la notte ruba alla mia pelle, i Suoi

baci mi danno il respiro che nutre la vita che non è più vita.

Ma null'altra vita io chiedo se non questa mille e mille altre

volte insieme al mio Signore.

Furente è il Suo indomito carattere, come vento  marziale

sui boschi resinosi, glaciale è  la Sua natura che sa essere

come l'azzurro ghiaccio al di là di terre d'oltremare.

Strali i Suoi sguardi che bucano l'aria e i clipei di bronzo

ma nel Suo petto dimora il  fuoco che arde come nei

crogioli di un fabbro.

 


Nella Sua calma ritrovo il soffio dell'estate, nelle Sue dita

la marea che imbianca, nelle Sue premure il caldo abbraccio

della primavera e la Sua voce un suono che scuote la mente

fin dentro l'ultima postilla che fa sussultare il mio corpo.

Mi seduce col Suo timbro vellutato, il mormorio delle Sue

parole è una cascata d'acqua vespertina, i suoi sussurri

come acqua di fonte, nettare la Sua bocca che cuce ricami

sulla mia pelle e lamina d'oro caldo la Sua lingua che fruga

nelle mie voglie come una fiera cerca la sua preda.

Sa toccare la mia carne il mio Signore, ne cerca ogni traccia

come fosse una terra di conquista, mi sfiora come libri rari

e delicati come olio profumato che cura e lenisce le mie

cicratrici.

Ne sfiora le sporgenze, ne scopre gli angoli e gli spazi più

nascosti, a Lui nulla sfugge che non mi appartenga, nulla

che Gli appartenga e su cui imprime il Suo sigillo.

Mi lusinga con il corpo, mi adula con le parole, mi conquista

con la mente, mi possiede con la carne, mi porta sulle cime

dei monti e mi precipita negli abissi piu profondi, nelle vertigini

della terra mi trascina al calore delle rocce e nel vuoto piu

spaventoso mi sostiene come torri svettanti nella tomenta

e nella calura.

Il Suo tocco penetra la carne e regge i fili della mia anima,

li fa vibrare come i Suoi violini nel buio e nella penombra,

tra le luci che amoreggiano con le ombre sfila i miei pensieri

e ne fa merletti, come col crine che Gli piace attorcigliare.

Il mio Signore, in fondo, sa essere  tenero come un

bambino, curioso e viziato, che cerca le Sue pietre sulla

spiaggia e come un Despota ramingo e solitario le trova in

fondo al mare come le ossa della terra.

Melanconico è il mio Signore nelle notti come questa

ma sa essere il piu allegro Compagno d'avventure,

il più prezioso degli Amici,  il piu attento degli Amanti.

Tenace è il Suo carattere, ombroso il Suo scrutare, geloso il

Suo possedere, ma possiede con libero dominio, non mi toglie

nulla che io non voglia e mi da tutto cio che io possa desiderare.

Ma non ho voglie d' altro che del Suo sostare nel mio letto,

del Suo corpo intorno al mio, le Sue braccia forti come

funame di nave strette sul mio seno , le Sue membra che

premono come una morsa  togliendomi il respiro,

le Sue gambe che legano i nostri ventri come a fonderli in un

abbraccio  immortale... questo voglio e in questo desiderio

ardo come fuscelli al sole d'agosto.

 


 

E' volubile il mio Maestro e a volte incostante, si scalda per

nulla e si placa con niente.

Ha un orgoglio smisurato e si picca quando non riesce

in qualcosa che ogni mortale nemmeno immaginerebbe.

Ma io lo amo il mio Signore, ne amo i difetti quanto le virtu

sconfinate, amo quel Suo piglio accigliato, quel Suo muso da

adolescente, i borbottii da mortale, l'infaticabile energia, il

guizzo geniale, l'entusiamo che mi conquista, la fiducia

smodata nel Suo

intelletto...

Ohhh si io lo amo più di me stessa e oltre ancora.

Su un Trono di Spine Lui siede, su un cespo di aghi

poggia il capo.

Cuspidi  di lancia ne molestano la schiena, eppure

nulla sembra turbarlo nelle ombre che lo avvolgono in una

notte come questa, dove io so' di non poterlo sostenere.

Lo abbandono come Lui vorrebbe nel silenzio dei ricordi,

solo con Se Stesso, con i Suoi pensieri che sovrastano il

cielo, le emozioni che solcano oceani in tempesta, mentre una

musica che scandaglia le profondita del Suo essere si spande 

nelle  stanze di questa  torre e arriva fin oltre le mura del Suo

castello, oltre questi vetri rigati dalla pioggia che come lacrime

nella notte scivolano sulla pelle  per volare via nel vento...

 Marvelius

 

 

 

 

 

 

 
 
 

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