GENOCIDIO NAZISTA

Post n°30 pubblicato il 03 Gennaio 2009 da ivanfi

A Gaza è in atto un genocidio nazista. Gli imperialisti sionisti si stanno comportando contro il popolo palestinese nella stessa maniera di Hitler contro gli ebrei.
Il governo Berlusconi "dovrebbe" riconoscere il legittimo governo di Gaza diretto da Hamas e prendere le distanze dai boia Olmert, Barak e Livni rompendo le relazioni diplomatiche con Israele e congelando tutti gli accordi politici, economici e militari tra l'Italia e Israele. L'Onu e l'Ue devono riconoscere il legittimo governo di Gaza diretto da Hamas e imporre a Israele la fine dell'aggressione militare a Gaza e dell'embargo contro la popolazione palestinese di Gaza.
Mobilitarsi per sostenere la libertà per tutta la Palestina, lo scioglimento di Israele e la costituzione di un solo Stato in cui i popoli palestinese e ebraico convivano nella pienezza dei rispettivi diritti.

 
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La legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo

Post n°29 pubblicato il 29 Dicembre 2008 da ivanfi

Questo articolo è stato pubblicato sul n. 5, 1953 della rivista teorica mensile dell'Istituto di Filosofia dell'Accademia delle Scienze dell'Urss "Voprosy filosofii".

La legge economica fondamentale del capitalismo nel suo insieme, che agisce già nell'epoca del capitalismo premonopolistico, è stata scoperta dal fondatore del comunismo scientifico Karl Marx. E' la legge del plusvalore, che, come disse Engels, offre la chiave per comprendere l'intera produzione capitalistica.La legge del plusvalore rivela quella che è l'essenza dello sfruttamento capitalistico e, con ciò stesso, rappresenta il fondamento economico dell'antagonismo di classe tra il proletariato e la borghesia insuperabile - entro i limiti del capitalismo, - e sempre più acuto. Questa legge spiega l'origine e la natura di tutte le forme di reddito delle classi e dei gruppi sfruttatori della società borghese: il profitto industriale e commerciale, l'interesse di prestito e la rendita fondiaria. Tutte queste forme di reddito, come Marx ha dimostrato nel terzo volume del "Capitale", altro non sono che forme trasformate del plusvalore stesso. Rilevando il valore determinante della produzione del plusvalore in tutt'intera l'economia capitalistica, Marx ha indicato che la creazione del plusvalore è "l'anima motrice della produzione capitalistica".Tuttavia, la legge del plusvalore - essendo una legge generale del capitalismo che agisce in tutti gli stadi di sviluppo del modo di produzione capitalistico, - di per sé ancora non caratterizza la specificità del moderno capitalismo monopolistico.
Capitalismo premonopolistico e capitalismo monopolistico
La legge del plusvalore, nei diversi stadi di sviluppo del capitalismo, si realizza in forme concrete differenti. Nelle condizioni del capitalismo premonopolistico essa si attua innanzitutto nella forma di garantire un saggio medio di profitto. Nell'epoca del capitalismo monopolistico invece, come ha dimostrato Stalin, il motore della produzione capitalistica è non già un profitto medio e nemmeno un sovraprofitto, - che è, di regola, soltanto un certo superamento di quello medio, - ma il massimo profitto.
Concretizzando e sviluppando la legge del plusvalore relativamente alle condizioni del capitalismo monopolistico, Stalin ha scoperto la legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo."I tratti principali e le esigenze della legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo - scrive Stalin, - potrebbero formularsi all'incirca in questo modo: realizzazione del massimo profitto capitalistico mediante lo sfruttamento, la rovina e l'impoverimento della maggioranza della popolazione di un determinato paese, mediante l'asservimento e la spoliazione sistematica dei popoli degli altri paesi, particolarmente dei paesi arretrati, e infine, mediante le guerre e la militarizzazione dell'economia nazionale, utilizzate per realizzare i profitti massimi". Questa classica definizione, che è la generalizzazione teorica della moderna realtà capitalistica, svela sia lo scopo della produzione capitalistica nelle condizioni del capitalismo monopolistico, sia i mezzi utilizzati dai monopoli per conseguire questo fine.Il massimo profitto rappresenta una particolare categoria economica che si distingue in modo sostanziale dal profitto medio. Essi si distinguono: 1) per i destinatari, 2) per entità, 3) per le fonti.Nell'epoca del capitalismo premonopolistico il profitto medio lo riceveva ogni capitalista individuale nella cui impresa ci fossero condizioni di produzione socialmente normali. Per ciò che riguarda il massimo profitto - tipico dell'epoca del capitalismo monopolistico, - esso invece non è affatto intascato da tutti i capitalisti, ma soltanto dalle unioni monopolistiche dei capitalisti: le piccole e medie imprese capitalistiche non monopolizzate non ricevono alcun massimo profitto. Per di più, siccome i monopoli accrescono i loro profitti a spese di un travasamento, con vari mezzi, di una parte del valore aggiunto delle imprese non monopolizzate, la ricezione del massimo profitto da parte dei monopoli porta a una diretta diminuzione del profitto delle imprese non monopolizzate.
Inoltre, per entità il massimo profitto supera di gran lunga il profitto medio. Certo, la statistica borghese non offre dati degni di fiducia né sul saggio medio di profitto, né sul massimo profitto intascato dai monopoli capitalistici. Tuttavia, perfino quelle poche informazioni che si hanno a tale proposito testimoniano di quanto il tasso di profitto dei monopoli capitalistici superi il saggio medio di profitto. Così, per esempio, nel 1929 il tasso di profitto di tutte le corporazioni degli USA, detratte le contribuzioni, consisteva del 6,7 %, mentre il tasso di profitto di 615 grandi compagnie del 13,4 %. Probabilmente queste cifre sono fortemente ribassate, dato che le compagnie capitalistiche, falsificando i propri bilanci, celano notevoli profitti sotto forma di esagerate detrazioni di ammortamento e di varie riserve più o meno nascoste. Nel suddetto caso, tuttavia, per noi sono importanti non tanto le cifre assolute, quanto la loro correlazione e il fatto che il tasso di profitto di 615 grandi compagnie si sia rivelato due volte maggiore di quella di tutte le corporazioni.Questo superamento, poi, sarà assai più notevole se si prendono non tutte le grandi corporazioni, ma soltanto le maggiori associazioni monopolistiche. Per esempio, nel 1951 il tasso di profitto in tutta l'industria di lavorazione degli USA era del 27,9 %, ma, oltre a ciò, nel suo capitale la compagnia "Dupont de Nemours" ricevette il 43,3 % dei profitti, la "General Electric Company" il 52,8 %, e la "General Motors Company" il 61,6 %; e questo mentre, dall'altro lato, nelle piccole e medie compagnie con attivi fino a 250mila dollari il tasso di profitto equivaleva soltanto al 17,2 %.
Il profitto massimo si distingue da quello medio non soltanto sotto l'aspetto quantitativo, ma anche qualitativo. Mentre il profitto medio, nell'epoca del capitalismo premonopolistico, aveva quale sua fonte il plusvalore prodotto dal lavoro degli operai salariati, il massimo profitto - caratteristico dell'epoca del capitalismo monopolistico, - si ricava non soltanto a spese dello sfruttamento degli operai salariati, ma anche con lo sfruttamento dei piccoli produttori di merci sia negli stessi paesi capitalistici che in quelli coloniali e dipendenti. In tal modo, se la categoria "profitto medio" esprimeva i rapporti di produzione tra la classe degli operai salariati e la classe dei capitalisti, la categoria "massimo profitto" esprime i rapporti, in primo luogo, tra la borghesia monopolistica e la classe operaia; in secondo luogo tra la borghesia monopolistica e i piccoli produttori di merci all'interno dei paesi capitalistici e, in terzo luogo, tra il capitale monopolistico delle metropoli e le masse lavoratrici sfruttate dei paesi coloniali e dipendenti.
Il massimo profitto si distingue da quello medio anche per i metodi della sua appropriazione. Per il capitalismo monopolistico è innanzitutto caratteristica la vendita delle proprie merci, da parte dei monopoli, al di sopra del loro valore e l'acquisto da parte loro della forza-lavoro al di sotto del suo valore.Tratto caratteristico del massimo profitto è altresì il fatto che esso esprime altri rapporti all'interno della classe dei capitalisti che non il profitto medio. Mentre la legge del plusvalore significa equiparazione del tasso di profitto per i capitalisti di tutti i settori della produzione, la legge del massimo profitto, al contrario, pone in una posizione diseguale i vari capitalisti in quanto essa presuppone una ridistribuzione del valore aggiunto all'interno della loro classe a tutto vantaggio dei monopolisti e a danno delle imprese non monopolizzate.
Sarebbe però sbagliato ritenere che col sorgere della legge del massimo profitto la legge del plusvalore cessasse la propria azione. Lenin ha indicato che il capitalismo monopolistico rappresenta una sovrastruttura sul vecchio capitalismo della libera concorrenza. Le leggi che sono proprie del capitalismo in generale non cessano di agire neanche nell'epoca del capitalismo monopolistico. Ma la questione di come propriamente agisce la legge del profitto medio nelle condizioni del capitalismo monopolistico esige una specifica elaborazione ed esula dai limiti del presente articolo.Distinguendosi in modo sostanziale dal profitto medio, il massimo profitto si distingue anche dal comune sovraprofitto che si ricavava ancora nell'epoca del capitalismo premonopolistico.Un tipico modo di ricavare il sovraprofitto è il perfezionamento della tecnica nelle singole imprese capitalistiche, il quale porta a una crescita del grado di sfruttamento nelle date imprese. A seguito dell'introduzione di perfezionamenti tecnici il valore delle merci, in queste imprese, si abbassa rispetto al valore sociale di queste stesse merci, mentre la differenza tra il valore sociale e quello individuale i singoli capitalisti la intascano nella forma di eccedente valore aggiunto o di sovraprofitto. Inoltre essi ricavano il sovraprofitto soltanto temporaneamente, fino a quando cioè le loro imprese superano le altre del dato settore industriale per attrezzamento tecnico e, di conseguenza, per il livello di produttività del lavoro.A differenza del sovraprofitto il profitto massimo rappresenta un fenomeno non di breve durata, ma a lungo termine. Probabilmente anche il massimo profitto non è una grandezza costante, dato che esso è soggetto a oscillazioni spontanee, in particolare a seguito dell'alternarsi di riprese, crisi e depressioni industriali. Ciò nonostante, rispetto al profitto delle imprese non monopolizzate esso sta pur sempre ad un livello notevolmente più elevato.
La realizzazione del massimo profitto capitalistico
Il concetto di massimo profitto quale motore della produzione capitalistica contemporanea ha un suo determinato contenuto. Il massimo profitto non è semplicemente un maggior profitto. Ogni capitalista cerca sempre di ricavare un maggior profitto. Marx, nel suo lavoro "Teorie del plusvalore", ha sottolineato che scopo della produzione capitalistica è sempre la creazione del massimo di valore aggiunto col minimo di capitale anticipato. Ed è proprio nella loro corsa per un maggior profitto che i capitalisti distolgono i capitali dai settori con una bassa norma di profitto e li investono nei settori con una norma di profitto più elevata. Questo travaso di capitale, tuttavia, e indipendentemente dalla volontà e dai desideri dei singoli capitalisti, porta alla creazione di una norma media di profitto.Accanto alla concorrenza intersettoriale, che si esprime nel travaso di capitali da alcuni settori di produzione ad altri, si ha anche una concorrenza intrasettoriale. I capitalisti individuali, nella loro corsa per il maggior profitto, introducono nelle loro imprese dei perfezionamenti tecnici, elevano la composizione organica del proprio capitale. Ma, dato che tutti i capitalisti agiscono nella stessa direzione, risultato oggettivo di ciò è un aumento della composizione organica del capitale sociale complessivo, il che, a sua volta, genera la tendenza a una riduzione del tasso medio di profitto.
Il capitalismo monopolistico si distingue da quello premonopolistico per il fatto che il ricavo del massimo profitto, quale profitto che supera non soltanto quello medio ma anche il sovraprofitto, diventa per esso una necessità economica. La questione non sta tanto nel fatto che gli affaristi del capitalismo monopolistico contemporaneo tendano al massimo profitto, ma nella circostanza che l'appropriazione del massimo profitto è per loro una necessità obiettiva, una condizione obbligatoria della riproduzione allargata.Perché per realizzare una riproduzione più o meno allargata, nelle condizioni del capitalismo monopolistico, è necessario il massimo profitto, allorché nell'epoca del capitalismo premonopolistico per tale scopo era sufficiente il profitto medio?
Tratto caratteristico del capitalismo monopolistico è la concentrazione della produzione in grandi e gigantesche imprese capitalistiche. Stante l'enorme entità di tutto il capitale investito nelle grandi imprese, in esse assai elevato è il peso specifico del capitale fisso investito nelle macchine e nell'attrezzatura, negli edifici di fabbrica e officina e negli impianti. Stante una più rapida crescita del capitale costante rispetto a quello variabile, a più rapidi ritmi cresce quella parte del capitale costante che è investita nel capitale fisso. Così, per esempio, nell'industria americana, nel periodo 1899-1929, il valore delle materie prime consumate è cresciuto di 5,9 volte, allorché il valore dell'usura delle macchine è salito di 10,4 volte. Ma quanto maggiore è l'intero capitale che opera nelle imprese, e quanto maggiore, in particolare, è il capitale fisso, tanto maggiore sarà il capitale aggiunto che si richiede per la riproduzione allargata. Come Marx ha indicato, "le proporzioni in cui può allargarsi il processo della produzione si determinano non secondo arbitrio, ma sono imposte dalla tecnica". Stante un elevato livello della tecnica nelle grandi imprese capitalistiche, per la riproduzione allargata si richiede un notevole capitale aggiunto, e quindi non ogni profitto è sufficiente per la riproduzione allargata.
La necessità di grandi investimenti aggiuntivi di capitale condiziona altresì il fatto che, con un rapido sviluppo della tecnica, si ha un rapido invecchiamento delle attrezzature, cosicché ai capitalisti non di rado capita di dover rinnovare il proprio capitale fisso molto prima del suo invecchiamento fisico, per cui questo rinnovamento si accompagna solitamente con un aumento della somma generale del capitale operante. In verità, nell'epoca del capitalismo monopolistico agisce anche la tendenza opposta: i monopoli, investendo grandi capitali nei macchinari delle proprie imprese e temendo la perdita di una parte di questi capitali nel caso di un rinnovamento delle attrezzature prima della scadenza della loro utilità fisica, frenano il rinnovamento del capitale fisso. E, ciò nondimeno, la lotta di concorrenza impone necessariamente, di quando in quando, di rinnovare il capitale fisso giunto ad invecchiamento.Se perfino per allargare le imprese già operative con un elevato livello tecnico si richiedono capitali assai notevoli, capitali ancor più cospicui sono necessari per organizzare nuove imprese.Nelle condizioni del capitalismo monopolistico per la riproduzione allargata si richiede l'investimento di assai notevoli capitali aggiunti. Inoltre, via via che cresce la composizione organica del capitale il tasso medio di profitto diminuisce. Se la riproduzione allargata si fosse realizzata soltanto a spese del profitto medio le possibilità di crescita della produzione si sarebbero sempre più ridotte. Ancora Marx, rilevando che "con la riduzione del tasso di profitto si riduce anche la norma di accumulazione", indicò: "In quanto la norma di crescita del valore dell'intero capitale, il tasso di profitto, serve da stimolo della produzione capitalistica (parimenti a che la crescita del valore del capitale serve quale suo unico scopo), una riduzione del tasso di profitto rallenta la formazione di nuovi capitali autonomi e, in tal modo, rappresenta una minaccia per lo sviluppo del processo capitalistico di produzione".Un importante fattore di riduzione del tasso di accumulazione è il crescente impiego improduttivo del reddito nazionale. Con la crescita del parassitismo e della putrefazione del capitalismo una sempre maggiore quota del reddito nazionale viene spesa sia per il consumo improduttivo degli stessi capitalisti, sia per la copertura di varie spese improduttive quali il mantenimento di un parassitario apparato statale borghese e di un sempre più pletorico apparato commerciale. Infine, la norma di accumulazione si riduce anche a seguito del fatto che, nelle condizioni del capitalismo monopolistico, sono sempre più frequenti, si inaspriscono e rivestono un carattere di lunga durata le gravi crisi economiche che attanagliano il capitalismo, durante le quali l'accumulazione del capitale viene seguita da una drastica caduta della produzione.Sicché, se da un lato la colossale concentrazione della produzione, l'elevato livello tecnico e il grande peso specifico del capitale fisso soggetto a rapida usura comportano che, per la riproduzione allargata, si richieda un investimento di enormi capitali aggiunti, dall'altro lato, a seguito della crescita del parassitismo e della putrefazione del capitalismo, aumenta l'impiego improduttivo del valore aggiunto e dell'intero reddito nazionale. E' in forza di queste condizioni che, per assicurare una più o meno regolare riproduzione allargata si rende necessario, nell'epoca del capitalismo monopolistico, non già un profitto medio, ma il massimo profitto.Sarebbe certamente sbagliato presumere che i monopoli capitalistici tendano a intascare i massimi profitti in nome della riproduzione allargata. Scopo dei monopoli, infatti, non è tanto la crescita della produzione come tale, ma proprio l'appropriazione del massimo profitto. Tuttavia, indipendentemente da questi motivi che guidano i capitalisti nella loro attività, una più o meno regolare attuazione della riproduzione allargata costituisce una necessità oggettiva. La lotta di concorrenza impone ai capitalisti di allargare la produzione, dato che ogni capitalista che non lo facesse inevitabilmente verrebbe eliminato da concorrenti più potenti e sarebbe privato dell'intero capitale. Come indica Marx, "lo sviluppo della produzione capitalistica rende la continua crescita del capitale investito nell'impresa industriale una necessità, mentre la concorrenza impone a ogni capitalista individuale le leggi immanenti del modo di produzione capitalistico come leggi esterne coercitive. Essa gli impone di allargare continuamente il proprio capitale al fine di conservarlo; ma allargare il proprio capitale egli può soltanto mediante una progressiva accumulazione".
Le crisi capitalistiche
La necessità di un massimo profitto per attuare una più o meno regolare riproduzione allargata non significa affatto che la riproduzione allargata, nelle condizioni del capitalismo monopolistico, abbia sempre luogo. Nel capitalismo in generale la riproduzione allargata non ha un carattere continuo, dato che la produzione capitalistica si sviluppa in modo ciclico e che, oltre a ciò, la crescita della produzione viene interrotta dalle crisi economiche. Nell'epoca del capitalismo monopolistico questo carattere discontinuo dello sviluppo della produzione capitalistica si rafforza ancor di più, mentre le crisi di sovrapproduzione, che portano a una distruzione delle forze produttive della società, sono più frequenti e si inaspriscono. Per una maggiore lunghezza, profondità e asprezza si caratterizzano le crisi economiche nel periodo della crisi generale del capitalismo, il che, in notevole misura, concorre a un rallentamento dei ritmi medi della riproduzione allargata. Tuttavia, una riduzione dei ritmi di crescita della produzione non significa che la riproduzione allargata cessi di essere una necessità oggettiva o che cessi del tutto. Perfino nella odierna fase della crisi generale del capitalismo, quando le forze produttive segnano il passo e le possibilità di crescita della produzione capitalistica si riducono fortemente a seguito del restringimento del mercato mondiale e della riduzione della sfera di applicazione delle forze dei principali paesi capitalistici alle risorse mondiali, "il carattere ciclico dello sviluppo del capitalismo - la crescita e la riduzione della produzione, - deve tuttavia mantenersi", benché nelle odierne condizioni "la crescita della produzione, in questi paesi, avviene su base ristretta, poiché il volume della produzione in questi paesi si ridurrà" (Stalin).
I monopoli capitalistici ricavano i massimi profitti innanzitutto mediante lo sfruttamento e l'immiserimento della più parte della popolazione di un dato paese e in primo luogo del proletariato.
Nell'epoca del capitalismo monopolistico l'intensificazione dello sfruttamento del proletariato si attua in vari modi, e in particolare mediante il meccanismo dei prezzi di monopolio, per mezzo di una intensificazione del lavoro, dell'inflazione e di una maggiore imposizione fiscale.
Accanto ai prezzi di monopolio un importante fattore della caduta del salario reale è l'inflazione, che rappresenta un fenomeno cronico per quasi tutto l'arco della crisi generale del capitalismo e in particolare per la sua fase attuale.
La crescita dei prezzi sulle merci, che è oggi un effetto sia dei prezzi di monopolio stabiliti dai cartelli e dai trust, sia per l'inflazione che si inasprisce sempre di più, porta a una repentina caduta del salario reale, dato che il salario nominale non aumenta in conformità con la crescita dei prezzi sulle merci di largo consumo. Il divario tra il movimento del salario monetario e il movimento dei prezzi sulle merci si allarga notevolmente in relazione con la politica di "congelamento" dei salari perseguita dai governi borghesi.I monopoli rafforzano lo sfruttamento degli operai non soltanto con i prezzi di monopolio, ma anche con una intensificazione del lavoro che nell'epoca del capitalismo monopolistico raggiunge il suo massimo grado.
Le risorse carpite dagli Stati borghesi agli operai nella forma di imposte si travasano nelle tasche dei monopolisti attraverso il meccanismo delle redditizie ordinazioni statali. La crescita delle imposte, nelle condizioni dell'odierno capitalismo, è indissolubilmente legata alla corsa agli armamenti e alla militarizzazione dell'economia capitalistica, che serve quale importante strumento di ricavo dei massimi profitti da parte dei monopoli.
All'interno dei propri paesi i monopoli capitalistici spremono il massimo profitto non soltanto a costo di uno smisurato sfruttamento del proletariato, ma anche a spese di un intensificato sfruttamento delle masse lavoratrici non proletarie, e in particolare dei contadini. Lo sfruttamento di questi si attua principalmente attraverso il meccanismo dei prezzi di monopolio. Dominando sul mercato, i monopoli capitalistici stabiliscono elevati prezzi di monopolio sulle merci da essi vendute e bassi prezzi di monopolio sui prodotti agricoli da essi acquistati. Nel periodo dal 1931 al 1938 negli USA i prezzi sulle merci industriali acquistate dai contadini costituivano in media il 120 % rispetto al livello dei prezzi che esisteva prima della prima guerra mondiale, mentre i prezzi sui prodotti agricoli equivaleva soltanto al 94%.I monopoli capitalistici, facendo incetta dei prodotti agricoli a prezzi che non coprono il loro valore, vendono poi questi prodotti ai consumatori delle città a prezzi che superano il loro reale valore, ottenendo in tal modo il massimo profitto a spese dello sfruttamento delle masse lavoratrici sia delle città che delle campagne.
I monopoli capitalistici sfruttano le masse lavoratrici delle campagne anche attraverso il meccanismo del credito. Con lo sviluppo del capitalismo nell'agricoltura cresce anche l'indebitamento dei contadini. E, insieme con l'indebitamento, aumenta anche la somma di quelle risorse che il capitale monopolistico succhia alle masse lavoratrici contadine nella forma di pagamenti percentuali.
Un altro mezzo per assicurare il massimo profitto capitalistico sono, come insegna Stalin, l'asservimento e il sistematico saccheggio dei popoli degli altri paesi, e in particolare di quelli arretrati. Principali metodi di saccheggio dei popoli dei paesi coloniali e dipendenti da parte dei monopoli capitalistici sono lo scambio ineguale e l'esportazione di capitale.Lo scambio ineguale, che si esprime in una esportazione di merci industriali dai paesi capitalistici in quelli coloniali e dipendenti ad elevati prezzi di monopolio e nella contemporanea estrazione da essi di materie prime e derrate alimentari a bassi prezzi di monopolio, dopo la seconda guerra mondiale si è intensificato.Predicando una politica di blocco economico nei riguardi dei paesi del campo socialista, le potenze imperialistiche, con alla testa gli USA, ostacolano in tutti i modi le relazioni dei paesi coloniali e dipendenti con l'URSS e i paesi di democrazia popolare. Il che riduce artificiosamente le possibilità di smercio per i paesi coloniali e dipendenti e concorre alla caduta dei prezzi sulle loro merci.Accanto allo scambio non equivalente un enorme ruolo nel saccheggio dei popoli coloniali e dipendenti lo svolge l'esportazione di capitali nei paesi arretrati, dove il profitto è solitamente elevato dato che i capitali sono pochi, il prezzo della terra relativamente basso, il salario pure è basso, e le materie prime a poco prezzo.
Dopo la seconda guerra mondiale gli USA hanno notevolmente aumentato l'esportazione di capitale e hanno superato tutti gli altri paesi capitalistici presi insieme per entità di capitale investito all'estero. La somma generale degli investimenti di capitale USA all'estero è cresciuta dai 12,5 miliardi di dollari del 1939 ai 36,1 miliardi del 1951, e di essi ben 20 miliardi spettano agli investimenti privati, il cui 70-80 % sono investiti nei paesi coloniali e dipendenti.
Il tasso di profitto sugli investimenti di capitale esteri supera notevolmente il tasso di profitto sui capitali investiti all'interno del paese. Così, se prendiamo 100 quale norma di profitto nell'industria di lavorazione degli USA per il 1951, il tasso di profitto sul capitale investito nei paesi dell'America Latina è di 166, nei paesi dell'Europa occidentale è di 145, e negli altri paesi coloniali e dipendenti è di 214.Un importante mezzo per garantire il massimo profitto ai monopoli è l'artificiosa conservazione, da parte dell'imperialismo, dei residui feudali nei paesi coloniali e dipendenti. L'oppressione delle sopravvivenze feudali, insieme con quella coloniale imperialistica, frena lo sviluppo dell'industria in questi paesi, il che concorre a una crescita dei prezzi delle merci sui mercati coloniali e a un ricavo maggiore dei massimi profitti da parte dei monopoli stranieri.Un terzo metodo per assicurare il massimo profitto per i monopoli sono le guerre e la militarizzazione dell'economia nazionale.Lenin e Stalin hanno più volte rilevato che le guerre servono quale strumento per ricavare enormi profitti da parte dei monopoli capitalistici, e che colossali profitti di guerra sono ricavati a spese di un immiserimento delle masse popolari e di un estremo abbassamento del livello di vita dei lavoratori.
Durante la prima guerra mondiale i monopoli capitalistici guadagnarono enormi profitti, ma profitti ancor più grandiosi essi ricavarono nel periodo della seconda guerra mondiale. Particolarmente grandi furono i profitti dei monopoli americani, che ricevettero colossali ordinazioni militari dal governo a prezzi di favore. Dell'eccezionale arricchimento dei monopoli americani sul sangue delle masse popolari è prova il fatto che nei sei anni della seconda guerra mondiale (1940-1945) i profitti delle corporazioni americane hanno raggiunto i 116,8 miliardi di dollari contro i 26,6 miliardi dei sei anni prebellici; il che significa un aumento di 4,4 volte. Per ciò che riguarda i grandi monopoli, poi, i loro profitti sono aumentati in misura ancora maggiore. Così, per esempio, il profitto di 34 compagnie, nel 1942, superava il profitto medio annuo degli anni 1936-1939 di quasi 10 volte, mentre il profitto delle cinque maggiori compagnie di più di 100 volte.
La legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo determina tutti i principali aspetti e tutti i principali processi di sviluppo della produzione capitalistica nella sua fase monopolistica. Essa svolge un ruolo decisivo nell'economia capitalistica, e determina un estremo inasprimento delle contraddizioni che sono proprie all'imperialismo.Questa legge spiega tutti i principali fenomeni presenti nell'economia e nella politica dell'imperialismo. E innanzitutto, si deve rilevare che l'azione di questa legge si rispecchia in tutti e cinque i contrassegni dell'imperialismo rivelati da Lenin.
Fondamento economico dell'imperialismo è il monopolio. Le unioni monopolistiche dei capitalisti, in tutta la loro attività, sono guidate dalla corsa al massimo profitto. E proprio per ricavare il massimo profitto i grandi capitalisti si uniscono in monopoli che stabiliscono prezzi elevati sulle merci e sottopongono a sfruttamento e a saccheggio le masse popolari sia all'interno dei propri paesi che all'estero. In nome del massimo profitto i monopoli conducono l'un l'altro una esasperata lotta di concorrenza.

 
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Post N° 28

Post n°28 pubblicato il 29 Dicembre 2008 da ivanfi


Il capitale finanziario
La corsa al massimo profitto penetra anche l'attività dei monopoli bancari. Gli apologeti borghesi mascherano in tutti i modi il fatto che scopo effettivo sia dei monopoli industriali che di quelli bancari è l'appropriazione del massimo profitto; essi raffigurano falsamente i monopoli quali "organizzatori" della vita economica che attuano una "regolazione cosciente" dell'economia nell'interesse della società. Denunciando i lacché del sacco di scudi, Lenin indicò invece che questa "regolazione cosciente" attraverso le banche consiste nel derubare la gente da parte di un pugno di monopolisti organizzati.La fusione, o compenetrazione, del capitale bancario monopolistico con il capitale industriale monopolistico - che porta alla formazione del capitale finanziario e di una oligarchia finanziaria, - è altresì strettamente legata alla legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo. La sempre maggiore penetrazione delle grandi banche nell'industria mediante l'accaparramento di azioni delle imprese industriali, l'emissione di carte valori e la partecipazione alla costituzione di nuove società per azioni, tutto questo serve quale strumento finalizzato al massimo profitto da parte dei monopoli bancari. "Il capitale finanziario concentrato in poche mani e che gode del monopolio di fatto, ricava un enorme e sempre crescente profitto dall'emissione di carte valori, dai prestiti statali, ecc., rafforzando il dominio dell'oligarchia finanziaria e obbligando l'intera società a pagare un tributo ai monopolisti" (Lenin).Uno degli aspetti più tipici del capitalismo monopolistico è l'esportazione di capitale, anch'essa legata alla legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo. Come si è già mostrato più sopra, l'esportazione di capitale serve quale importante strumento finalizzato al massimo profitto mediante il sistematico saccheggio dei popoli degli altri paesi, e in particolare di quelli arretrati.Nell'epoca dell'imperialismo si inasprisce drasticamente la contraddizione fondamentale del capitalismo, quella cioè tra il carattere sociale della produzione e la forma capitalistica di appropriazione dei risultati della produzione. Nella corsa per il massimo profitto i monopoli concentrano nelle loro mani una sempre maggior parte del capitale sociale complessivo e della produzione, consolidano le proprie imprese, si impadroniscono delle fonti mondiali di materia prima, delle vie e dei mezzi di comunicazione, ecc. A seguito di ciò si accresce la socializzazione della produzione, in sorprendente contraddizione con la quale si ha la forma capitalistica privata dell'appropriazione.
La corsa dei monopoli al massimo profitto e lo sfruttamento, la rovina e l'immiserimento delle masse popolari portano ad un aggravarsi della incompatibilità tra la crescita delle possibilità produttive del capitalismo e la riduzione della domanda solvibile; il che, inevitabilmente, condiziona la frequenza, l'approfondirsi e l'acuirsi delle crisi economiche. Oltre a ciò i monopoli, cercando così di garantirsi elevati profitti, si provano a mantenere prezzi elevati sulle loro merci perfino durante le crisi, il che ostacola il riassorbimento dell'eccesso di merci presente sul mercato e porta a un perdurare delle crisi. Tuttavia, per quanto i monopoli cerchino di mantenere elevati i prezzi durante le crisi, l'interruzione della realizzazione delle merci e la repentina caduta dei loro prezzi portano inevitabilmente a che, negli anni di crisi, perfino i profitti dei monopoli cadano visibilmente. La dialettica è tale che, in nome del massimo profitto, i monopoli intensificano al massimo lo sfruttamento e l'immiserimento delle masse lavoratrici; poi l'immiserimento delle masse, stante una simultanea crescita della produzione capitalistica, porta alle crisi, e queste crisi sono seguite da una caduta della massa e del tasso di profitto.L'imperialismo è capitalismo morente, la vigilia della rivoluzione socialista, perché nell'epoca dell'imperialismo raggiungono una asprezza estrema le contraddizioni tra il lavoro e il capitale, tra le metropoli e le colonie, e tra le stesse potenze imperialistiche.Nell'epoca del capitalismo monopolistico la contraddizione tra il lavoro e il capitale si inasprisce al massimo grado in virtù del fatto che lo sfruttamento, la rovina e l'immiserimento delle masse lavoratrici a seguito dell'azione della legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo raggiungono il loro limite estremo.Lo sfruttamento e il saccheggio dei popoli coloniali portano a una crescita del malcontento di questi popoli, a una ripresa della lotta di liberazione nazionale contro l'imperialismo, e questo concorre alla trasformazione dei paesi coloniali e dipendenti da riserve dell'imperialismo in riserve della rivoluzione proletaria.La legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo suscita un ulteriore inasprimento delle contraddizioni anche all'interno dello stesso campo imperialista. La lotta dei monopolisti dei singoli paesi per il massimo profitto li costringe a cercare di ottenere il possesso di monopolio delle colonie e delle sfere d'influenza, dato che proprio il dominio di monopolio sui mercati dei paesi coloniali e dipendenti garantisce loro la possibilità di appropriarsi del massimo profitto. Tuttavia, dato che il mondo è già diviso tra un pugno di "grandi potenze" e che i vari paesi capitalistici si sviluppano in modo estremamente ineguale, la lotta per il massimo profitto si trasforma inevitabilmente in una lotta per la spartizione del mondo mediante le guerre imperialistiche. In tal modo l'azione della legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo, così come la legge - ad essa subordinata - dell'ineguale sviluppo del capitalismo nell'epoca dell'imperialismo, condiziona l'inevitabilità degli scontri, dei conflitti e delle guerre tra le potenze imperialistiche. Stalin, rilevando che la tesi leniniana sulla inevitabilità delle guerre tra paesi capitalistici rimane in vigore anche al tempo presente, osserva che l'Inghilterra e la Francia non possono contenere all'infinito l'espansione coloniale dell'imperialismo americano se non col risultato di minacciare una catastrofe per gli elevati profitti dei capitalisti anglo-francesi.Il valore decisivo della legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo nel preparare le condizioni di una trasformazione rivoluzionaria del sistema capitalistico è stato rilevato dal Rapporto al XIX Congresso del PC dell'URSS con le seguenti parole: "Questa legge svela e spiega le stridenti contraddizioni del capitalismo, rivela le cause e le radici della aggressiva politica di rapina degli Stati capitalistici. L'azione di questa legge conduce ad un approfondirsi della crisi generale del capitalismo, ad un inevitabile accrescimento e scoppio di tutte le contraddizioni della società capitalistica".La conoscenza di questa legge offre ai lavoratori un chiaro orientamento negli avvenimenti storici contemporanei, dischiude dinanzi a loro una chiara prospettiva rivoluzionaria e li arma della ferma convinzione nella vittoria finale del comunismo sul capitalismo.

 
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P2 Mafia Banca vaticana

Post n°27 pubblicato il 09 Novembre 2008 da ivanfi

La Banca vaticana è stata coinvolta in evasione fiscale, imbrogli finanziari e riciclaggio di oro nazista: il papa ne è l'unico azionista e quindi uno degli uomini più ricchi al mondo e anche uno dei meno etici.
Con una popolazione di circa 800 abitanti, la Città del Vaticano ha ben tre istituzioni finanziarie: l'"Apsa", che funziona come banca centrale, il "Ministero dell'economia" e lo "Ior".
Ciò potrebbe risultare, a prima vista, molto strano, ma dobbiamo capire che la "Santa Sede" è soprattutto il governo temporale di un miliardo di cattolici in tutto il mondo e, in quanto tale, ha esigenze e obiettivi che non possono essere soddisfatti mediante istituti bancari convenzionali. Lo Ior (Istituto opere religiose) è completamente indipendente e non ha responsabilità verso gli altri due istituti. Ha tre consigli di amministrazione: il primo è costituito da cardinali di alto livello; il secondo da banchieri internazionali che collaborano con impiegati della banca vaticana, e il terzo e ultimo costituito da un consiglio di amministrazione che si occupa degli affari giornalieri.
Sin dalla sua nascita, lo Ior, è stato coinvolto nei peggiori scandali, corruzioni e intrighi. Nel 1941, per ordine di Pio XII (chiamato il papa di Hitler), ha fornito convenienti sbocchi bancari ai fascisti italiani, all'aristocrazia e alla mafia. Esistono documenti, sia in Germania che negli Usa, che dimostrano i trasferimenti nazisti di fondi allo Ior dalla Reichsbank, e altri dallo Ior alle banche svizzere controllate dai nazisti.
Il trasferimento dell'oro nazista (conosciuto come "l'oro delle vittime" dai conti delle SS ha arricchito i caveaux della banca vaticana. Fu ritrovato oro nazista persino in un nascondiglio dentro il santuario di Fatima (Portogallo). Ma questo non fu mai rivelato ai fedeli del cattolicesimo!
Fonti interne rivelano che il santuario è controllato da elementi massonici (la massoneria e il cattolicesimo sembrano a prima vista incompatibili eppure vi è una curiosa sovrapposizione tra le alte cariche degli ufficiali della chiesa e i finanzieri europei soprattutto d'Italia, Francia, Spagna e Portogallo. La connessione della Loggia P2 con la banca vaticana è ampiamente documentata. I cardinali di alto grado sono stati massoni con il consenso del papa, incluso il famoso cardinale francese Tisserant, che era un membro della "Grande Loggia d'Oriente" dopo la seconda guerra mondiale. Altri, tra i quali l'ex ministro delle finanze vaticane, il cardinale Castello Lara, citati nel libro "Inside the Vatican", ritengono che l'accusa di "influenza massonica" con la quale lo Ior viene attaccato, sia fondata. Per i massoni stessi, la versione ufficiale è che la P2 è una loggia proibita, che opera come una società segreta, controllata interamente dal Vaticano).
Lo Ior è stato uno dei maggiori partner nella sparizione del tesoro della Croazia indipendente (uno stato fantoccio tedesco) valutato in circa 200 milioni di dollari nel 1945! I nazisti croati, gli ustascia, erano degli accesi nazionalisti, fanatici di un cattolicesimo "degradato", con un odio smisurato verso i serbi cristiani ortodossi: ne hanno massacrati più di 500mila insieme a decine di migliaia di ebrei e gitani. Gli ustascia, insieme al Vaticano, depositarono nello Ior gli atti del genocidio per finanziare il loro governo in esilio in Argentina e per spedire i propri membri (insieme ai nazisti scelti Klaus Barbie e Adolph Eichman) in Sud America attraverso la cosiddetta "rete di fuga dei criminali".
Nel 1998 il dipartimento di Stato americano indicò, nel suo resoconto conosciuto come "Il destino del tesoro degli ustascia", il Vaticano come possibile luogo dove cercare le risposte. Il segretariato vaticano, diretto dal cardinal Sodano, si è duramente opposto a rendere pubblici gli archivi vaticani relativi alla seconda guerra mondiale e mandò una nota diplomatica al governo americano chiedendogli di fare pressione sulla corte per archiviare la causa. Il dipartimento di Stato si è rifiutato e la questione è tuttora in attesa di giudizio.
Poche organizzazioni cattoliche o ebree sono disposte ad affrontare l'orribile verità documentata negli archivi del governo Usa. Papa Pio XII e il suo segretario di Stato Montini (il futuro papa Paolo VI), due tra i principali candidati alla santità, fecero da cambiavalute, agenti di viaggio e protettori per criminali di guerra nazisti. Secondo la documentazione del controspionaggio dell'esercito Usa sul leader ustascia Pavelic, tale sanguinario nazifascista (insieme alla sua guardia del corpo) si rifugiò a Roma presso vari monasteri e alloggi protetti, incontrando spesso alti funzionari della chiesa, incluso il futuro papa Paolo VI. La "rete di fuga dei criminali" del Vaticano consentì a migliaia e forse decine di migliaia di nazisti di rifugiarsi in Australia, Sud America e altri luoghi. Gli agenti speciali del controspionaggio dell'esercito americano scrissero nel 1947: "I contatti di Pavelic sono di così alto livello e la situazione attuale così compromettente per il Vaticano che qualsiasi estradizione della causa infierirebbe un duro colpo alla chiesa cattolica".
Dalla fine degli anni '70 lo Ior era divenuto uno dei maggiori esponenti dei mercati finanziari mondiali. Sotto la tutela del vescovo americano Paul Marcinkus, del vescovo Paolo Hnilica, di Licio Gelli, Roberto Calvi e Michele Sindona, la banca vaticana divenne parte integrante dei numerosi programmi papali e mafiosi, per il riciclaggio del denaro in cui era difficile determinare dove finiva l'opera del Vaticano e dove cominciava quella della mafia.
Il Banco Ambrosiano di Calvi e numerose società fantasma dirette dallo Ior di Panama e Lussemburgo, presero il controllo degli affari bancari italiani e funsero da canale sotterraneo per il flusso di fondi verso l'Europa dell'est, in appoggio all'unione nazionale anticomunista. Marcinkus, capo dello Ior, fu il direttore del Banco Ambrosiano (a Nassau e alle Bananas) ed era in strettissima relazione personale e bancaria con Calvi. Furono tutti coinvolti nello scandalo della Loggia massonica "coperta", Propaganda 2 (P2), che scoprì l'intreccio tra politica-mafia-massoneria stragista e affari sporchi.
Non appena le macchinazioni vennero a galla le teste cominciarono a saltare. L'impero bancario ambrosiano fu destabilizzato anche da uno scontro interno tra i vertici della banca vaticana, la mafia e il braccio finanziario e oscuro dell'Opus Dei. Calvi volò in tutto il mondo cercando di contenere il danno, ma era ormai troppo tardi. L'Opus Dei decise di non garantire per il Banco Ambrosiano e Calvi fu trovato "suicidato" sotto il ponte di Londra, in una scena intrisa di simbolismo masso-mafioso.
La segretaria personale di Calvi morì dodici ore dopo di lui "buttandosi" dalla finestra del suo ufficio del Banco Ambrosiano. Michele Sindona (il mentore di Calvi) dopo aver inscenato il proprio rapimento fu arrestato e morì nel 1986 in carcere dopo aver bevuto un caffé all'arsenico. Sindona, in un dossier incredibile di ventisette volumi redatto dall'FBI, risulta ripetutamente collegato ad innominabili forze corrotte del Vaticano. Il vescovo Paolo Hnilica, dopo aver tentato di acquistare il contenuto della valigetta mancante di Calvi, fu arrestato ma mai messo dietro le sbarre!
Marcinkus ha invocato con successo l'immunità diplomatica e in seguito divenne il capo della sicurezza e il braccio destro del papa polacco Giovanni Paolo II, dopo la prematura morte di Giovanni Paolo I. Lo scrittore investigativo David Yallop ha scritto un documento sconvolgente riguardo al fatto che Giovanni Paolo I sia stato avvelenato (l'autopsia fu negata dalla Santa sede) in parte per il suo impegno a chiudere o ripulire la banca vaticana!
Per riassumere e concludere: lo Ior è la banca del papa (unico azionista) ma anche della mafia, dei piduisti e dei nazisti.

 
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Aggressione Fascista

Post n°26 pubblicato il 09 Novembre 2008 da ivanfi

L'inquietante scenario evocato pochi giorni prima dal golpista Cossiga, che suggeriva al governo di infiltrare i cortei studenteschi di "provocatori pronti a tutto" per creare disordini e dare il pretesto alla polizia di picchiare selvaggiamente studenti e "maestre ragazzine", si è improvvisamente materializzato la mattina del 29 ottobre in piazza Navona, gremita di migliaia di studenti medi, universitari e insegnanti che manifestavano contro l'approvazione del decreto Gelmini che si stava consumando nel vicino palazzo del Senato sotto assedio.
Alcune decine di squadristi del Blocco studentesco-Casa Pound, un gruppo neofascista vicino alla Fiamma tricolore, che da giorni effettuava incursioni nei cortei studenteschi romani cercando di prenderne la testa, ostentando simboli e slogan fascisti come "duce, duce" e picchiando chi si provava a contrastarli, hanno cercato di ripetere l'operazione più in grande stile anche nel giorno dell'approvazione della legge, infiltrandosi con un camioncino pieno di bastoni tricolore, cinghie ed altre armi improprie nella folla di studenti, soprattutto delle medie superiori, che confluivano in piazza dirigendosi verso il Senato. Nel tentativo di prendere anche stavolta la testa della manifestazione alternavano musica e slogan apparentemente "apolitici", come "né rossi né neri, ma solo liberi pensieri", a vigliacchi pestaggi a base di cinghiate contro i ragazzi che protestavano e cercavano di opporsi, tanto da ferirne e mandarne all'ospedale alcuni. Il tutto sotto lo sguardo indifferente della polizia, che non interveniva neanche a seguito delle indignate proteste e richieste di alcuni insegnanti. Si limitava semplicemente a "invitare" i fascisti ad allontanarsi dalla piazza, senza preoccuparsi di far rispettare l'"invito". In proposito il sottosegretario agli Interni Nitto Palma (Forza Italia), rispondendo alla Camera sugli incidenti di piazza Navona, pur assolvendo in toto le "forze dell'ordine" e attribuendo la responsabilità degli scontri interamente agli studenti antifascisti, ammetterà candidamente: "Anche il gruppo del Blocco studentesco raggruppato intorno al camioncino, e più volte invitato ad allontanarsi dalla piazza da parte della polizia, aveva iniziato lo spostamento, portandosi sempre all'interno di piazza Navona, dallo spazio antistante corsia Agonale sino allo sbocco di piazza delle Cinque Lune, con l'intenzione di uscire, di raggiungere il lungotevere e da qui recarsi al Ministero dell'Istruzione. Solo quando è giunto all'altezza di piazza delle Cinque Lune il gruppo ha deciso di fermarsi e, nonostante le ripetute sollecitazioni di personale di polizia (sic), non ha abbandonato la piazza dove, comunque, erano ancora presenti altri studenti, circa 4 mila".

Le falsità della macchina mediatica di regime
Il resto è noto a tutti, anche grazie alle decine di filmati disponibili in Internet, in cui si vede l'arrivo in piazza degli universitari della Sapienza e di gruppi dei centri sociali richiamati dai manifestanti aggrediti, alcuni con caschi ma tutti chiaramente disarmati (lo prova anche il fatto che si siano serviti delle sedie e dei tavolini di un bar per fronteggiare i bastoni degli squadristi); lo scontro con i fascisti, che nel frattempo avevano preso bastoni, cinghie e catene dal camioncino e si erano schierati in formazione paramilitare; l'intervento della polizia, solo dopo diversi minuti di scontri, quando per l'appunto i fascisti stavano per soccombere; l'arresto di una ventina di neofascisti, poi tutti rilasciati tranne uno, rinviato a processo per direttissima. Insieme a lui sarà processato anche un militante del PRC, intervenuto per difendere i ragazzini delle medie e coinvolto nelle cariche della polizia.
Subito si è messa in moto la macchina mediatica delle falsità e delle calunnie al servizio del governo, che ha cercato di sfruttare l'occasione per dare la colpa ai centri sociali e agli "estremisti di sinistra" e per denigrare il movimento degli studenti e la lotta anti-Gelmini, accusandola di essere degenerata nella violenza e nel caos. I fascisti hanno messo su Youtube anche un paio di filmati da loro stessi effettuati, di cui uno dall'alto (il che conferma fra l'altro la premeditazione e l'accurata regia della provocazione), con cui hanno cercato di dimostrare di essere loro le vittime di un'aggressione: ovviamente non facendo cenno delle precedenti aggressioni ai ragazzi delle medie, evitando accuratamente di inquadrare il camioncino e sorvolando sulle armi di cui si erano magicamente dotati subito prima di essere "aggrediti".
La cosa grave è che ad alimentare questa falsificazione, almeno in un primo momento, ha contribuito anche la "sinistra" borghese, col PD che in aula si univa al coro del governo che difendeva le "forze dell'ordine" e criminalizzava gli studenti, e perfino "l'Unità" che sul suo sito Internet accreditava la tesi dei centri sociali che con "intento bellicoso" e "armati di caschi e bastoni" attaccavano quelli del Blocco studentesco che non aggredivano nessuno ma erano "schierati a difesa del loro camioncino". Una presa di posizione quantomeno incauta, senza ancora conoscere bene i fatti, che portava acqua al mulino del governo e della sua strategia della provocazione, tant'è vero che il "Secolo d'Italia" del 30 ottobre la citava subito in un fondo dal significativo titolo: "Anche l'Unità dà torto ai centri sociali".

Alzare la vigilanza ed espellere i provocatori fascisti
Ma le bugie hanno le gambe corte, anzi in questo caso cortissime, perché sono durate lo spazio di qualche ora, il tempo che le testimonianze e i filmati cominciassero ad affluire sulla rete e alle redazioni, tra cui la testimonianza oculare del giornalista de "la Repubblica" Curzio Maltese, le dichiarazioni indignate dello stesso segretario della Cgil Epifani (l'indomani ci sarebbe stata la grande manifestazione per lo sciopero della scuola), i filmati sui tg Rai e tanti altri particolari dai quali emergevano incontestabilmente questi punti: 1) le aggressioni sono partite dai fascisti, quella degli universitari e dei centri sociali è stata solo una reazione a tali aggressioni; 2) i fascisti erano armati, quindi avevano premeditato e organizzato in anticipo il loro raid, con tanto di propri fotografi e operatori al seguito per prefabbricare le "prove" di una falsa aggressione ai loro danni; 3) la polizia ha finto di non vedere e ha lasciato entrare un camioncino pieno di armi improprie nella piazza, senza perquisire e arrestare, o quantomeno allontanare gli squadristi come da più parti gli era stato ripetutamente chiesto; 4) la polizia è intervenuta solo dopo diversi minuti dagli scontri, quando i fascisti stavano per avere la peggio, prendendosela soprattutto con gli studenti antifascisti; 5) dai filmati emergono anche chiari indizi comportamentali che almeno due dei capi squadristi fossero in rapporti di "amicizia" e di confidenza con alcuni poliziotti, se non dei veri e propri infiltrati delle "forze dell'ordine".
Tutto lascia pensare insomma che sia cominciata quella strategia di infiltrazione del movimento preconizzata e suggerita dal capo dei gladiatori Cossiga per creare il pretesto alla repressione violenta delle lotte studentesche. Non per nulla il ministro di polizia Maroni ha subito colto la palla al balzo per minacciare gli studenti che occupano le scuole e impediscono la "libertà di studiare" degli altri studenti, che d'ora in avanti saranno denunciati alla magistratura.
L'aggressione squadrista di piazza Navona non è stata la sola, anche se al momento è stata la più grave e pericolosa. Da più parti giungono segnalazioni di infiltrazioni e aggressioni di gruppi fascisti, come i raid di Azione giovani a Torino contro il rettorato e la sede della Cgil-Scuola e le provocazioni di Azione universitaria e Forza nuova ad un'assemblea della facoltà di Lettere alla Federico II di Napoli. Per questo occorre innalzare la vigilanza per individuare, isolare e cacciare risolutamente dal movimento le organizzazioni fasciste, comunque camuffate. Stando naturalmente ben attenti a distinguere tra i provocatori e gli squadristi organizzati e i semplici studenti simpatizzanti o influenzati dalla destra, a cui non deve essere impedito di esprimersi e partecipare alle lotte contro i provvedimenti del governo, ma confrontandosi con loro con la forza della dialettica e dei fatti concreti.

 
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