« L'incanto del "disincanto" | Semplicemente un mondo parallelo » |
Post n°482 pubblicato il 11 Dicembre 2009 da mjkacat
E' noto che i figli non ascoltano i genitori ma ne imitano i comportamenti. |
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Se il desiderio è mimetico perché la sua condizione è di non conoscere a priori il suo oggetto, ma lo cerca in una forma ideale, io credo che la spinta primordiale della vita, in direzione di una condizione appagante del desiderio, sia appunto cieca o inconscia e che la capacità dell'uomo di migliorasi, cioè di convivere con la natura, dall'interiore all'esteriore, nel limitare le sofferenze, dipenda dal giungere alla consapevolezza che non è l'idea di un piacere purché piacere, suggerita dalla proprietà mimetica, ma l'idea di serenità eletta dall'abbandono del superfluo e dalla competizione nel superfluo dove per superfluo non intendo tanto un soprammobile, o un qualsiasi oggetto in sé, ma l'importanza che a questo oggetto viene attribuita in relazione alla vita. Quell'oggetto è realmente così vitale? dove lo pongo nella scala dei valori? Ora, però, sorge il problema, per tanti, di definire, di vedere, di distinguere il superfluo.
Sembrerebbe che la gente comune, visto che v'è giunto solo un filosofo antropologo, dopo anni di ricerche antropologiche, a definire così precisamente il volto e la natura del desiderio, con la sua proprietà del mimetismo, scalzando psicologi e filosofi affermati, non sia capace di focalizzare il nocciolo del malessere nonostante sia ribadito, anche dai mass media, ma forse non tanto spesso, che tutti quei mali, come ad esempio le anoressie, sono il frutto di un'assunzione di modelli di riferimento sbagliati. Vale a dire, nonostante si sappia che si possono assumere modelli ideali errati, in vista di una vera serenità interiore, anche solo personale visto che si è anche egoisti e narcisisti, cioè al di là di una più ampia visione, il mondo non diviene realmente conscio di questo meccanismo che, come meccanismo, è altresì semplice.
Quando nei mass media si parla di modelli ideali, si parla proprio di quel mimetismo, ma è proprio la conoscenza del suo meccanismo, nel fatto di esistere e nella sua logica, che non viene nettamente razionalizzata, tanto che, anche chi addita le vittime di quei modelli, non è immune dagli effetti del mimetismo, perché tende a crearsi l'elenco degli ideali errati anziché razionalizzare la logica di quel meccanismo e, ad un nuovo modello potenzialmente ideale, rischia di essere catturato ritrovandosi, inconsapevolmente, completamente mimetizzato edificandosi, ad esempio, in una ipotetica crescita personale in una civiltà che va alla deriva già nei suoi più alti ideali.
Nemmeno l'egoismo o il per sé, nell'ostinazione per la propria convenienza, è capace di spingere ad identificare la via migliore, il TAO, appunto per sé, e anch'esso cade nel tranello del mimetismo.
La non razionalizzazione di questo meccanismo porta ad essere in balia del mimetismo e ad andare verso lo svuotamento interiore come risultato di un inesistente appagamento dall'oggetto idealizzato oppure anche all'odio, alla guerra per la competizione.
Così il concetto di piacere, come meta in sé, è generato dall'assenza di razionalizzazione di quel meccanismo e viceversa, la serenità, dalla sua razionalizzazione.
Cos'è che si oppone al divenire conscio dell'immagine di questo meccanismo?
La paura di non divenire socialmente presente, accettato, seducente nel contesto di quell'ambiente che circonda che è la fonte degli ideali che fanno, già dall'infanzia, da imprinting. Per la paura di essere emarginati, non si ascolta il vero e più profondo sé rincorrendo dapprima l'essere e poi gli ideali altrui.
Capire quel meccanismo è capire il superfluo e la sua competizione. Una volta compreso questo meccanismo, automaticamente tutti gli oggetti, potenzialmente ideali, risplendono o si opacizzano di fronte al suo essere in luce.