Creato da mo_werefox il 31/10/2009

Il diario di Mo

annotazioni affettive dal Metaverso

 

 

Neri come corvi, bianchi come la neve

Post n°104 pubblicato il 02 Dicembre 2010 da mo_werefox

Una macchia scura attira il mio sguardo da lontano: una macchia scura nel candore del manto nevoso, in contrasto con il cielo rosa pallido. E' un pezzo di muro, sopravvivenza di qualcosa che è rovinato. Dentro, una gabbia d'uccelli. Dentro la gabbia, un corvo. Grande, con le ali aperte che urtano le sbarre.

Ci sono due corvi, in verità: uno, appena più piccolo, è posato sul muro. Libero, eppure fermo, a guardare sgomento il compagno in gabbia. Libero, eppure immobile al suo posto, muto spettatore - o spettatrice? - di un'ordinaria tragedia. Il compagno, prigioniero, ha rinunciato ad ogni velleità, ha rinunciato persino a se stesso. Le ali aperte - ora comprendo - non cercano di spiccare il volo oltre le sbarre, sono una rassegnata offerta di sè al destino. E la compagna sta immobile, e la sua fissità la rende complice del consumarsi altrui e il legame è per lei una gabbia più forte di quella con le sbarre di ferro. Libera, ma non più libera, condannata a vivere il silenzio dell'agonia dell'altro. Dell'amato. Ma che cos'è amore? Non è lottare, non è strappare l'altro alla punizione che si è inflitto, non è gridare che c'è altra vita oltre quel monte?

Vorrei spaccare la gabbia e liberarle entrambe nel cielo carico di neve, ma so di non poterlo fare. Talvolta - o sempre? - la libertà va rispettata oltre ogni raziocinio. Mi allontano, il rumore dei passi attutito dal manto bianco, rispettando quel mortifero silenzio che fa risuonare un'eco dolorosa nella mia anima.  Sto per attraversare il ponte di ghiaccio, e invece mi fermo. Torno indietro. Mi siedo nella neve, vicino al muro. Resto.

 

 
 
 

Il mistero dell'onda

Post n°103 pubblicato il 02 Dicembre 2010 da mo_werefox
Foto di mo_werefox

Ero stufa degli uomini, e di una SL che scimmiottava supinamente la RL. Per questo afferrai al volo il primo filo di aquilone che riuscii ad aggrappare, e mi lasciai trascinare dai venti. Mysterious Wave, scriveva l'aquilone sul suo dorso, ma appena atterrai su un mucchietto di sabbia rossa in mezzo al mare, trovai ad accogliermi un paesaggio mozzafiato e una grande scritta dorata che galleggiava sull'acqua: le bout du monde. La fine del mondo. Nessun umano era presente alla fine del mondo: stavo nel posto giusto.

Due porte si aprivano nel nulla. Mi buttai in una a caso e arrivai su un atollo sospeso. L'aria era rarefatta, come la musica. Lentamente, senza che me accorgessi, iniziò la mia metamorfosi. La pelle si schiariva, in quella terra dall'alba eterna. Mi trovai ben presto albina, mentre i segni neri della solitudine solcavano la mia carne. Stavo diventando una creatura elfica. Trovai un mantello rosso per coprirmi e una mano aperta nell'acqua: era grande abbastanza per accogliermi tutta, e mi stesi a riflettere la mia nuova immagine nello specchio d'acqua. Quando sollevai lo sguardo, strane creature immobili stavano erette in lingue di sabbia e terra. Mi avvicinai ad ognuna, ad ognuna lasciai una carezza. Uno scoglio interrompe la dolcezza del paesaggio sabbioso. Uno scoglio spoglio. Ma non può essere, tutto qui è armonia, a suo modo: cosa ci fa questo disarmonico ammasso di roccia spigolosa? A meno che... a meno che il suo cuore non nasconda vita: così è, e al tocco gentile si svela

Tornai al punto di partenza, infilai l'altra porta, che mi portò con una giravolta su due isole innevate, sospese fra le montagne e il cielo rosa. Nevicava, una carrozza aspettava un improbabile Babbo Nachele mentre una sottile scultura di ghiaccio si cibava di un temerario essere umano che aveva osato sfidarla. 

Nel bianco mi distesi, nel bianco mi confusi, nel bianco mi sciolsi. Solo il mantello rosso rimase, rifiutando di sbiadirsi alle intemperie. 

 
 
 

L'equilibrio delle solitudini

Post n°102 pubblicato il 23 Novembre 2010 da mo_werefox

Poichè mi manchi, scrivo di te. Scrivo di come siamo capaci di parlare per ore del nulla, e di come poi in un attimo arriviamo al più intimo. Scrivo dei mille argomenti che siamo capaci di tirar fuori in poche ore, senza approfondirne alcuno perchè tanto ci servono solo a ripetere le stesse due parole, ininterrottamente. Scrivo delle tue domande inaspettate, che mi fanno sentire come se ad una cena di gala improvvisamente restassi senza gonna in mezzo al salone, in mutande davanti a tutti, dopo aver passato tanto tempo a prepararmi. E mi arrabbio , perchè sveli a me stessa il costume che porto, la maschera che avevo modellato così finemente da farla aderire perfettamente ai miei lineamenti fini, da non sentirla più. Nessuno l'aveva fatto, finora.

Ma tu vai oltre, perchè insieme alla maschera e al costume, mi strappi la pelle. Pacato, amorevole, impietoso. E mi arrabbio, perchè hai ragione, ma non sempre, perchè devi ancora imparare ad ascoltarmi, sei migliorato ma puoi migliorare ancora, e se non mi ascolti allora capita che le tue diventino solo sentenze e posso dire non hai capito. Ma il più delle volte capisci, oltre la tua stessa capacità di comprensione, oltre la mia, e allora apri ferite che poi ci metto un po' a fasciare. Faccio anch'io così con te? Non lo so, ma sono quasi sicura che ci facciamo spesso e involontariamente del male, perchè l'uno di fronte all'altra siamo senza pelle e allora anche una carezza può essere abrasiva. Così fragili, da dubitare io di te e tu di te stesso, al punto che ti chiederai se sto parlando veramente di te, senza renderti conto che di chi altri potrei parlare se non di te? E tuttavia, quando siamo costretti a separarci, viaggiamo in parallelo, senza perderci di vista, perchè essendo senza pelle, quando ci siamo incontrati le nostre anime, le nostri carni si sono sfiorate, si sono confuse senza soluzione di continuità, e ora ciascuno porta in sè qualcosa dell'altro. 

Lo so, brontoli al sentirmi parlare di anima , ma come definire quell'intima essenza di me a cui sei arrivato senza mediazione, con gentilezza brutale e disarmante? 

Sarà per questo che... il resto te lo dico in privatissima IM

 
 
 

La Grande Madre e la Piccola Figlia

Post n°101 pubblicato il 20 Novembre 2010 da mo_werefox

 

Atterro su una montagna con lingue di fuoco alla sommità, ma nulla nel paesaggio è temibile, anzi. La foresta si estende impenetrabile e fittissima ai miei piedi, un mare verde che sfuma nelle acque blu che circondano quest'isola incantata.

Dò un'occhiata al paesaggio vasto, poi mi tuffo negli alberi. Comincio a farmi strada nel sottobosco. Questo posto è un susseguirsi di incanto e contemplazione, la musica lenta e dolcissima invita la mente ad aprirsi ai misteri che nasconde con un sorriso. Non è cupa, quest'isola, nonostante la vegetazione rigogliosa che la ricopre gelosa. La luce si apre varchi improvvisi e inonda il verde di riflessi. Un corso d'acqua percorre la foresta, e decido di seguirlo. Di tanto in tanto globi luminosi scivolano fra i rami e gli sterpi, a segnalare qualche forma di vita che mi osserva. Piccole tracce, piccoli oggetti abbandonati che raccolgo: pietre, foglie, una piuma. Sono tutta intenta in questa caccia al tesoro elfico quando ad un tratto la musica tace, i rumori della foresta pure.

E' allora che la vedo: bianca, immobile, dormiente. La Grande Madre. La vedo e mi siedo, su un tronco a terra. Non mi avvicino: non mi sento piccola di fronte a lei, non mi sento protetta di fronte a lei, la guardo e basta. L'ho vista e lo stupore m'ha preso. La guardo e una sottile ostilità si infila. Che avrai da dormire quanto tutto è lotta e sofferenza? Nessuno ha il coraggio di interrompere il tuo riposo, persino le foglie interrompono il fruscio, eppure avrei voglia di gridare, di scuoterti, ma l'idea di toccarti mi ripugna e non voglio incontrare i tuoi occhi. Distolgo i miei, temo che la fissità del mio sguardo ti risuoni, frastornante come il lacerante grido che ho chiuso nella mia anima. Mi appoggio con la schiena al grande albero che ho dietro, ma non chiudo gli occhi, non mi fido. Continuo a controllarti, di sottecchi. Assorbo l'energia del padre, ma è un padre senza maiuscole. Mi alzo: camminerò fra gli elementi, padroneggerò la loro forza, mi impossesserò della furia. Solo allora tornerò, forse, tornerò da te.

 

 
 
 

Stavo per venirmi a noia

Post n°100 pubblicato il 07 Novembre 2010 da mo_werefox

Stavo già per puntare il search sull'ennesima land gotica/noir/cimiteriale/post-punk, ma mi sono fermata. Stavo per venirmi a noia. Non che mi sia stancata di cercare una rappresentazione grafica al tormento che nutro con la perseveranza dello scorpione, questo no. Ma sono consapevole del fatto che talvolta anche il lamento deve cessare, che la narrazione deve cambiare registro ogni tanto per rimanere fluida, fosse pure una narrazione di sè.

Così ho messo nel search un posto suggeritomi da un amico fotografo. Quali guide migliori di chi passa la vita seconda a cercare paesaggi mirabili da ricreare in suggestivi scatti? L'unico problema era che il suggerimento era di molto tempo fa, per cui non sapevo bene cosa aspettarmi, in che tipo di paesaggio sarei atterrata. Ma questo non è mai stato un vero problema per Mo, intanto si va è il mio motto .

alirium... il nome è poetico, assomiglia vagamente a delirium ma questa è una distorsione percettiva del mio umore in questa epoca . Bando alle ciance, bando alle negrità degli ultimi tempi, si parte. Cielo, le prima impressione appena atterro potrebbe essere bucolica, è tutto rosa e azzurro e colori pastello, sembra di stare in un bon bon se non fosse per tre giganteschi conigli vagamente sinistri che sorvegliano un pozzo.

Due cartelli per due direzioni: alirium gardens e fall into decay. Inutile dire che scelgo quest'ultima, la caduta... Arrivo solo in un negozietto alla fine del pozzo, un posticino da relax. Ne approfitto per prendere un vestitino baby-style, mi sembra più adatto al posto. Tolgo anche gli stivaloni, non mi resta che esplorare gli alirium gardens, ma in giardino si va scalzi . Infilo un tunnel chiaro e.... il resto è poesia di pixel. Niente a che vedere con la complessità dei castelli che ho profanato con furore dolorante fin qui, cercando brandelli di anima sconosciuti anche a me stessa. Qui è tutto armonia evidente, al punto che cercare l'anima è superfluo perchè l'anima stessa si manifesta, richiamata dalla bellezza e dalla luce. Emerge lenta, si apre come un bocciolo sotto i raggi del primo sole, e non resta altro che sentire lo scorrere del tempo dentro e fuori di sè...

Unica nota che manca: la musica. Allora, per accompagnare le foto che ho fatto per voi, vi suggerisco pure la colonna sonora

 
 
 

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