Mondo Jazz
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martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30
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batteria, Zeno De Rossi
Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)
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LA STORIA PERDUTA
Post n°2751 pubblicato il 20 Aprile 2013 da pierrde
La decima edizione della manifestazione “Piacenza Jazz Fest”, che si fregia del patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed è organizzata dall’Associazione culturale “Piacenza Jazz Club”, con il sostegno determinante della Fondazione di Piacenza e Vigevano, con il supporto della Regione Emilia-Romagna, del Comune e della Provincia di Piacenza e con il contributo di alcune importanti realtà istituzionali e imprenditoriali del territorio, prosegue sabato 20 aprile 2013 con il primo dei tanti momenti di approfondimento in cartellone. Grazie alla lunga e proficua collaborazione del “Piacenza Jazz Club” con la massima istituzione musicale piacentina, il Conservatorio “G. Nicolini”, viene presentata la conferenza “La storia perduta del Jazz. Cinque secoli cancellati: 1400 - 1900” a cura del musicologo Marcello Piras, in programma alle ore 15.00 presso l’Aula 14 dello stesso Conservatorio (Via S. Franca 35), a frequenza libera e gratuita. Il Jazz prese forma all’inizio del Novecento e si diffuse al tempo della Prima Guerra Mondiale. All’inizio sembrava un’invenzione bizzarra e selvaggia. Negli USA il razzismo regnava sovrano e i neri erano tenuti ai margini come appestati, così si immaginò la nascita del Jazz come un miracolo accaduto nei bassifondi, in mezzo ad analfabeti istintivi. Oggi il razzismo non regna più, ma la leggenda sì e c’è ancora bisogno di spazzarla via. Una volta fatto ciò, si disegna un panorama ben diverso: il Jazz è un ramo moderno di una genealogia lunga e antica, che le storie della musica tacciono. La tratta degli schiavi africani ha deviato il corso degli eventi, lasciando segni profondi nei documenti musicali scritti, non dal Novecento, ma dal Cinquecento; fra essi, anche molti capolavori. Conoscendo questa storia, si pone il Jazz in una corretta luce storica. Il seminario di Marcello Piras si propone di illustrarla in sintesi e di analizzare alcune pagine di particolare pregio, esemplificative di vari stili ed epoche. Marcello Piras, classe 1957, è uno dei musicologi italiani fra i più apprezzati al mondo e si occupa di musica jazz da quando aveva sedici anni. Ha pubblicato decine e decine di saggi per le più prestigiose riviste musicologiche del mondo, ha insegnato per molti anni a “Siena Jazz” e nelle più qualificate università e ha dato vita alla “Sisma”, la Società di Studi Musicologici Afroamericani. Alla fine degli anni ’90, deluso dalla totale assenza di meritocrazia che ha sperimentato in Italia (lui stesso parla di “peggiocrazia italiana”), decide di trasferirsi negli Stati Uniti: l’amico Bill Russo lo invita a insegnare all’Università di Chicago, dove si ferma per diciotto mesi, quindi un altro amico, Gunter Schuller, lo invita a insegnare all’Università del Michigan. Il terrorismo e l’attacco alle Twin Towers del 2001 lo convincono a trasferirsi infine in Messico, dove attualmente vive, ma per tre mesi all’anno fa ancora ritorno in Italia per insegnare al Conservatorio dell’Aquila. Piras è critico nei confronti dello stato attuale del Jazz, come dichiara in un’intervista rilasciata a Serafino Paternoster del sito “MisterJazz”: «La fase creativa del Jazz, quella che guardava al futuro, si è fermata nel 1979. L’ultima generazione di creativi è quella nata negli anni ’50, a partire da Butch Morris. Nessun altro ha saputo esplorare il suo strumento come Roscoe Mitchell. In Italia il linguaggio non si è evoluto e si assiste troppo frequentemente a modelli scolastici. E questo riguarda anche le superstar». In base agli studi approfonditi di Piras, la musica jazz non nasce come musica improvvisata e non nasce nel secolo scorso. Secondo lui, infatti, se si assume come punto di vista quello spagnolo, i primi segnali di Jazz risalgono al 1500, mentre se si assume come punto di vista quello del continente americano, allora il Jazz nasce nel 1600. «Nel secolo scorso - dichiara - sono stati gli americani a vendere il Jazz come musica improvvisata. Hanno venduto la loro cultura insieme alle istruzioni per l’uso». Quella del Jazz sarebbe, dunque, una storia tutta da riscrivere. |
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