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Mondo Jazz

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CHARLES LLOYD AND THE MARVELS AD EMPOLI JAZZ

Post n°4036 pubblicato il 17 Luglio 2018 da pierrde
 

Esasperati dall'interminabile astinenza di grande musica che caratterizza una scena milanese sempre più depressa (altro che la 'Capitale del Jazz' di cui alcuni van parlando), con un'amico abbiamo preso il treno che ci ha portato ad Empoli, inattesa sede di un piccolo e giovane festival diffuso, che peraltro offre un cartellone di tutto rispetto per la rappresentatività della scena internazionale di oggi (vedere per credere: http://www.eventimusicpool.it/festivals/empoli-jazz/. Complimenti all'organizzazione ed al Comune di Empoli, quest'ultimo per la sede di cui si dirà ).

Noi abbiamo scelto la piccola gemma di una data (forse l'unica italiana) di Charles Lloyd and The Marvels. Reduci da recente seduta discografica per una Blue Note che si sta sempre più caratterizzando per la sua attenzione alla scena più comunicativa del momento, i Marvels si sono presentati sulla scala di San Miniato senza la voce di Lucinda Williams.

A dir la verità, l'assenza ha inciso poco dell'equilibrio della band, salvo forse che per la minimizzazione della componente di 'Americana' che era lecito attendersi. Poco male, trattandosi di un'etichetta molto vaga e forse posticcia (la world music del jazz?), una volta tanto partorita oltreoceano e non alle nostre latitudini.

Lloyd ha alle sue spalle un movimentato ed avventuroso passato di volgarizzatore del verbo coltraniano e di carismatico dominatore di folle giovanili in un'epoca in cui queste frequentavano ben poco le platee del jazz. Di questi trascorsi oggi poco è rimasto, sia nell'impostazione strutturale che in quella strumentale.

Del resto, l'organico sottile, con chitarra di Frisell a sostituire il piano, poco si prestava anche ad una sola evocazione della calda eloquenza tipica del Lloyd di fine anni '60 . Infatti la frontline formata da Lloyd e Frisell si è dedicata a tracciare dei sottili, trasparenti acquerelli, in cui il leader si è fatto beffe dei suoi 80 anni suonati (parecchi dei quali poco tranquilli...) sfoggiando un'impeccabile padronanza delle nuances timbriche e dinamiche necessarie a sbozzare queste miniature . Personalmente mi ha sorpreso la modestia con cui Frisell ha messo tra parentesi il suo mirabolante solismo, per mettersi al servizio del gruppo con un supporto di ammirevole sobrietà ed efficacia, che però apportava alla band l'indispensabile componente di un drive discreto, ma incessante e sempre pronto a sbocciare in improvvise, avventurose aperture (forse la traccia più percepibile dei trascorsi carismatici della musica del leader).

La lontananza delle maniere coltraniane avrebbe potuto far presagire un ripiegamento di Lloyd sul lirismo sottile, ma anche un po' monocorde, tipico del suo periodo ECM, da poco conclusosi. Invece il veterano Charles ha dato una bella prova di versatilità con sfumature occasionali di lieve ironia nella scelta di materiali tematici apparentemente lontani dalle sue abituali fonti di ispirazione: è stato cosi per un brano d'apertura che suggeriva sottili debiti con il Warne Marsh più maturo ed intellettuale, e soprattutto con un'inatteso, elegantemente dinoccolato 'Ramblin' che ha portato Lloyd e Frisell sugli scoscesi ed avventurosi sentieri melodici dell'Ornette che mostrava il suo nascosto cuore più antico ed earthy . Molto pregevoli e raffinati anche alcuni articolati e sottili assoli che Lloyd ci ha regalato al flauto.

Ma anche in un acquerello spesso è necessario tracciare linee nitide e decise: a questa necessità provvede il drumming compatto e pieno di Harland, che, assolto questo contributo alla consistenza strutturale del gruppo, ha mostrato poi ammirevole ricchezza di accenti e sfumature, sfociata da ultimo un lungo assolo ammirevole per sobrietà e limpidezza costruttiva (l'Harland sicuro 'architetto di musiche' lo ricordavamo già dal gruppo di Dave Holland): il pubblico ha percepito questa nitida chiarezza premiandola con un'ovazione significativamente

seguita ad un attimo di raccolto, concentrato silenzio, cosa che non accade spesso con gli assoli dei batteristi . Il basso elettrico di Reuben Rogers ha generosamente rinunziato ad un più ampio spazio solistico per creare un riuscito blend timbrico e ritmico con la chitarra di Frisell, donando maggior corpo e slancio al drive di cui si è detto.

Il pubblico che ha riempito la splendida, raccolta Piazza Farinata degli Uberti (uno di quei teatri a cielo aperto di cui era capace la grande cultura architettonica italiana dei secoli scorsi) ha premiato con lungo, convinto applauso la riuscita performance di una band accuratamente calibrata e bilanciata, interprete di un repertorio raffinato e sostanzialmente inatteso.

Franco Riccardi, aka milton56

 

 
 
 
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