Post n°1606 pubblicato il
16 Settembre 2010 da
pierrde
In un periodo in cui la recensione dell'evento musicale è divenuta rarità, sui quotidiani abbondano le presentazioni dei concerti ma scarseggiano i resoconti, trovare una garbata stroncatura ha l'effetto del miracoloso. Abituato a leggere tra le righe, a tanto ormai ci hanno abituato i critici di professione perchè non si può dire peste e corna di nessuno poichè tutti tengono famiglia, leggere una recensione negativa motivata e competente è lettura preziosa. Lo scrivente è Marcello Lorrai, per gli appassionati un nome ben conosciuto, l'artista invece è la flautista Nicole Mitchell, esibitasi martedi' sera al Teatro Manzoni di Milano nel quadro della rassegna Mi.To. Io al concerto non ero presente e di conseguenza non ho opinioni dirette da esprimere, ma apprezzo l'onestà di Lorrai.
Ma lunedì sera, il pubblico di Mito che riempiva il Teatro Manzoni, chi ha applaudito (con un calore che – abbiamo avuto la sensazione – ha persino un po' sorpreso i sette musicisti sul palco, il Black Earth Ensemble di Nicole Mitchell)? La Nicole Mitchell, che non è raro trovar considerata come un faro di creatività nelle nebbie del jazz di oggi, o addirittura come una figura in grado di indicare al jazz delle strade per il futuro? O ha invece più semplicemente applaudito una formazione che aveva proposto del garbato intrattenimento, forse non a caso in diversi momenti piuttosto corrispondente all'idea che un pubblico in gran parte non molto addentro può aspettarsi che della musica nera sia? Non è evidentemente di per sé un male che un set sia un caleidoscopio di di suggestioni diverse: il ritornello vocale della Mitchell e della cantante Ugochi che ricorda atmosfere alla Sun Ra; un riff che fa molto afrobeat; l'esposizione di un tema con un approccio hard bop; il passaggio classicheggiante; il momento cameristico/contemporaneo che si scioglie in improvvisazione jazzistica; il blues d'antan, con la tromba che gioca con la sordina: eccetera. Ma ci sono due problemi. Uno è che – e non è la prima volta che la Mitchell dal vivo ci comunica questa sensazione – tutto questo è un po' all'acqua di rose, e viene servito con una notevole mancanza di tensione, con una sorta – da parte della Mitchell, flautista fra l'altro non prodigiosa, piuttosto banale come improvvisatrice – di candida ingenuità. Il problema supplementare è che da quarant'anni siamo abituati a pensare alla musica che esce dall'Association for the Advancement of Creative Musicians di Chicago (la fucina che ha prodotto l'Art Ensemble - animato da un altro Mitchell, Roscoe - e Anthony Braxton) come fortemente innovativa e sperimentale: e dell'AACM Nicole Mitchell si è trovata ad essere addirittura la presidente. È dall'AACM che è arrivata la fortunata formula di “great black music”, per dire che è “grande musica nera” tanto il jazz che il reggae, la musica africana come Jimi Hendrix. Quella di Nicole Mitchell, per le tradizioni su cui lavora, è senza dubbio “black music”: quanto al “great” ci sarebbe un po' da discutere
Fonte : http://www.giornaledellamusica.it/blog/?b=74
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