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Mondo Jazz

Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.

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IL TRIO DI JARRETT A MILANO

Post n°1896 pubblicato il 20 Luglio 2011 da pierrde

Dopo il concerto al Teatro S.Carlo di Napoli recensito con toni lusinghieri oggi da Peppe Videtti su Repubblica (e accludo i link di altre recensioni) domani sera il trio del pianista di Allentown conclude il suo mini-tour italiano con un concerto agli Arcimboldi.

Biglietti ancora disponibili ma solo per i posti più costosi, da 40 a 120 in prevendita, e comunque meno cari rispetto a Napoli.

Personalmente ho scelto di astenermi, considerando il costo spopositato e avendo visto il trio innumerevoli volte, l'ultima lo scorso luglio al Lazzaretto di Bergamo.

Sono contrario in linea di principio ai festival gratuiti (attirano pubblico del tutto disinteressato alla musica, vedi il clamoroso esempio di Estival Jazz a Lugano, con conseguente disturbo per chi invece vuole ascoltare), ma credo anche che sia giusto snobbare concerti il cui costo è sproporzionato.

Comunque, per tutti coloro che non potranno essere al Teatro degli Arcimboldi per scelta o per impossibilità, ecco il video del 100° concerto di Jarrett in Giappone, da poco presente su You Tube nella sua versione completa di un'ora e 40 minuti.

LINK:

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-07-19/trio-keith-jarrett-incanta-100732.shtml?uuid=AabgoLpD

http://www.corriere.it/cultura/11_luglio_19/sessa-concerto-jarret_e95a28bc-b21a-11e0-962d-4929506ed0a9.shtml

 

 

 

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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 20/07/11 alle 12:26 via WEB
Sono d'accordo con pierrde riguardo sia ai concerti gratuiti che a quelli eccessivamente dispendiosi. Apprezzo anche Sessa che comunque parla di jazz e dei jazzisti sempre in modo equilibrato e non pregiudiziale, anche se devo dire che il trio ultimamente mi pare relativamente spento rispetto al passato, ma credo sia inevitabile data l'età dei tre e il tipo di proposta che comunque è sempre di livello alto. Riguardo al concerto giapponese del 1987 lo considero uno dei suoi migliori in solo e in generale sugli standards. Ci sono versioni di Things Ain't What They Used To Be e di Solar che sono tra i suoi massimi di interpretazone e anche la ballad "Then I'll be Tired of You" dopo Solar se non erro è meravigliosamente riscritta. Un brano suonato da pochi jazzisti, uno di questi mi pare sia Coleman Hawkins. Questo tipo di Jarrett, così fresco e creativo oggi è molto difficile da sentire. Qualcosa di superiore di suo l'ho sentito solo in un solo ad Antibes del 1991 mai pubblicato dove ci sono due versioni di I should care e di Summertime, specie la prima da urlo. Chissà che prima o poi quel concerto venga pubblicato.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Gianni M. Gualberto il 22/07/11 alle 10:07 via WEB
Non amo parlare dei concerti cui assisto perché, come organizzatore, se non gradisco mi pare, in qualche modo, di esprimere un ingiusto parere sul lavoro di altri. Faccio un'eccezione per il concerto di Jarrett a Milano perché mi ha posto di fronte ad alcune peculiarità (peraltro già conosciute e dibattute). Innanzitutto, il pubblico (pagante anzi, strapagante: biglietti, con i diritti di prevendita, sino a quasi 150 euro, una follia che rasenta l'indecenza, tenendo conto che i prezzi al San Carlo di Napoli, di capienza largamente inferiore al Teatro degli Arcimboldi, non arrivavano alla metà di quelli milanesi): era virtualmente assente il pubblico del jazz (in genere poco disponibile a strapagare, per ovvii motivi di necessità), era presente, invece, una massa -come dire?- "settaria", cioè partecipe di una setta, quella degli aficionados di Jarrett e che hanno nel "Koeln Concert" quello che la Bibbia era per i pellegrini del Mayflower. Un pubblico che ha fatto di Jarrett un'icona (e anche a ragione, per certi versi) e che, probabilmente, se po contatto con la musica di Louis Armstrong o Eric Dolphy mostrerebbe, immagino, parecchie perplessità, ignorandone in larga parte l'esistenza. Un pubblico economicamente abbiente, fra i 30 e i 55 anni, che sente di pagare per un "Evento" che soddisfa compiutamente i bisogni culturali. Un pubblico, per l'appunto, che passa di "Evento" in "Evento" e che non pensa alla vita culturale come un succedersi di molteplicità, ma solo di unicità. Lo stesso, d'altronde, accadeva per i concerti dell'ultimo Miles Davis, quando in platea era ben difficile scovare qualcuno che avesse ascoltato con attenzione "Kind of Blue" (nel frattempo assurto a rango di icona, magari neanche ben compresa) o "Miles Ahead". Questo tipo di pubblico, se conosce "Summertime" o "Stars Fell On Alabama" li conosce pressoché esclusivamente nelle "versioni" del trio di Jarrett, non certo perché abbia frequentato Jack Teagarden o, che so, Stan Getz. Si tratta di un spettatori che conoscono a menadito l'opera pressoché omnia di Jarrett, ma ne disconoscono il contesto, le derivazioni, le influenze, il retroterra: in poche parole, conoscono i libri di un solo autore e non sanno cosa sia la letteratura cui egli appartiene. Il che, direi, limita alquanto la comprensione del corpus dell'artista. Ma sono tutti pronti ad applaudire con aria fra l'estatico e il deliziato, ammiccano fra di loro con aria saputa, dandosi di gomito ogni volta che pare loro di percepire guizzi sovrumani la cui comprensione è certamente vietata alla maggior parte dell'inclita umanità. Una setta, per l'appunto, che partecipa di un rito senza rendersi conto della propria "vecchiezza". Nell'aurea classicità della (ben) parca esibizione del trio non coglie altro che un qualcosa cui essere acriticamente devota e che rappresenta il culmine di un impasto fra presunto impegno intellettivo e una congruità decisamente moooolto chic.E Jarrett sbriga le sequenze del rito con l'approccio di taluni sacerdoti che officiano la messa in modo automaticamente sbrigativo, ennesima reiterazione di un qualcosa ripetuto non centinaia ma migliaia di volte. Se D-o c'è, va reperito con molta fatica fra le pieghe polverose di un testo letto con la compunta indifferenza con cui si scorre la dichiarazione dei redditi. Qualche vezzo, qualche breve urletto, un paio di soddisfatti grugniti, l'aria indifferente di DeJohnette, che pare in annoiata attesa di un mezzo di locomozione al capolinea di un autobus, l'unica buona volontà di un affaticato Gary Peacock dall'intonazione talvolta fallosa: una prima parte decorosa (e mai priva di intelligenza, non si può negare) e poi, come spesso accade, l'affievolirsi della tensione dopo un prolungato intervallo che taglia le gambe del trio. Due bis concessi con l'aria di svogliata benevolenza di chi getta un osso a un cane ormai anziano, non più essere vivente ma parte di un arredamento metabolizzato e frequentato sino alla noia. Grande classicità, è indubbio, che tende a sconfinare con facilità nella routine. Routine di lusso, è incontestabile. Pubblico in apparente e forzosa estasi (poteva essere altrimenti) che, dopo il conclusivo "Things Ain't What They Used to Be", si alza in piedi decretando il trionfo. Poco prima dell'inizio del secondo tempo, una fresca voce giovanile ammonisce i presenti dagli altoparlanti della sala: "Si prega di non riprendere in alcun modo il concerto con cineprese o cellulari, altrimenti non verranno concessi i bis". Ecco, finalmente, una chiave di lettura, un pubblico (stra)pagante che viene, forse giustamente, trattato come i riottosi abitanti di un perenne e fastidioso kinderheim e cui concedersi velocemente e in modo indolore. Un pubblico venuto ad assistere al più epico film della propria vita e che ha avuto, invece, in "regalo" (?!), una serie di cartoline, alcune interessanti, per quanto oleografiche, altre piuttosto sfocate se non sbiadite. Sono i rischi della classicità e di uno star-system che ormai è vicino al quieto collasso.
 
 
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riccardo il 22/07/11 alle 11:32 via WEB
l'analisi di Gianni sul pubblico medio jarrettiano dierno è pressoché perfetta e corrsiponde sostanzialmente anche alla mia esperienza, come lo stato del trio attuale che non giustifica in alcun modo certi prezzi dei biglietti. Quando è venuto a Bergamo lo scorso anno praticamente ci sono andato perché mi hanno regalato un biglietto che avanzava ai miei amici "jarrettiani". Non ho alcuna intenzione di spendere certe cifre nemmeno se viene a suonare sotto casa. Bisogna però avere ben presente di non fare confusione tra i problemi di Jarrett e del trio odierni, che sono incontrovertibili come lo è l'invecchiamento di ciascuno di noi, con quelli del suo pubblico, nel senso che a Jarrett si sono sempre attribuiti demeriti che in sostanza non lo riguardano nel senso che lui non ha mai ripetuto un'opera come Koeln Concert e non è colpa sua se molto del suo pubblico è fermo lì e lo è secondo me perché la borghesia cui appartiene tale pubblico è conservatrice, con poca voglia autentica di acculturarsi musicalmente intorno alla proposta del musicista che come dice Gianni richiede parecchio, molto più di quanto non si creda. Andare ai concerti di Jarrett sono diventati uno "status symbol" sia economico che culturale, ma in realtà non vi è per molti autentico interesse musicale, perché è un popolo di persone in cerca di un'dentita culturale e social che va oltre la mediocrità e l'insignificanza del proprio portafoglio che sostanzialmente non aiuta a distinguersi in questo senso. Tuttavia, parlando per esperienza personale, avendo amici di Milano che inizialmente erano del genere descritto da Gianni, posso dire che in qualche caso (il loro e forse grazie anche alla mia amicizia, scusatemi la presunzione, ma credo sia così? hanno imparato ad ascoltare altro e ad apprezzarlo. Certo c'è voluto del tempo e sicuramente vi è in loro una buona predisposizione all'ascolto e passione autentica per la musica, ma oggi mi chiedono di Roland Hanna e del suo solo piano "Everything i love" o di Tommy Flanagan e Al Haig e si rendono conto di quanto buon jazz si sono persi dietro solo a Jarrett. Quindi in definitiva mi pare che alla fine Jarrett ha potenzialmente una funzione divulgativa (come Davis ai tempi) più di tutti quelli tra critici e operatori del settore che in alternativa, da fini intellettuali del jazz (e qui torno al mio solito tema) propongono loro in alternativa inascoltabili concerti di Peter Broetzmann, Evan Parker o Anthony Braxton, facendoli letteralmente scappare. Per quel che mi riguarda il "popolo di Jarrett" è solo il rovescio di questa medaglia ed entrambi a mio modo di vedere falliscono l'obiettivo, con la differenza che critici ed operatori hanno molte più responsabilità.
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Luciano Linzi il 25/07/11 alle 15:04 via WEB
Ciao Gianni. Per l'esattezza, i prezzi di Milano andavano da 40 a 150 euro e quelli di Napoli da 60 a 200. Ho assistito a entrambi i concerti e confermo che quello di Napoli ha toccato vette di assoluta eccezionalita'(soprattutto grazie alle qualita' acustiche del Teatro San Carlo e di ascolto sul palco,a detta degli stessi tre musicisti) al contrario di quello di Milano. Sul comportamento del pubblico:a Napoli applausi dopo ogni assolo dei 3 musicisti,a Milano solo al termine dei brani.A confermare,forse, una differenza nella tipologia del pubblico dei due concerti.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 22/07/11 alle 11:42 via WEB
scusandomi per i soliti errori visto che non rileggo quasi mai e scrivo di getto, ma credo si capisca il mio pensiero, aggiungo, e lo dico proprio a gianni, che questi miei amici di Milano, da alcuni anni non si perdono i concerti di Aperitivo, visto che hanno l'abbonamento e quindi hanno modo di apprezzare molto altro. C'è chi si è appassionato alle big bands e mi hanno pure chiesto di fargli sentire qualcosa di Zorn dopo quel leggendario concerto multipropositivo che hai messo in cartellone nell'ultima edizione... Quindi la semina qualche frutto lo sta dando, mi pare. Poi per i sordi poco si può fare, ma vale anche per certa critica non solo per il pubblico...
 
pierrde
pierrde il 22/07/11 alle 14:18 via WEB
Una narrazione gustosa ed efficace quella di Gianni, condivisa da Riccardo che mi ha anticipato nel commento. Infatti le parole di Gualberto potrebbero benissimo adattarsi anche al concerto di Bergamo del luglio scorso. Frequentando un discreto numero di eventi ci si rende immediatamente conto se il pubblico è più o meno lo stesso o cambia. Nei concerti di Jarrett buona parte dell'affluenza è costituita non da appassionati di jazz ma da un universo più variegato e composito: ne parlo per esperienza diretta avendo molti amici che disdegnano qualsiasi altra proposta di stampo afro-americano ma non si perdono l'occasione di vedere il pianista americano. Persone i cui ascolti vanno indifferentemente e piu' o meno superficialmente dal cantautorame nazionale alla classica più potabile. E' un vezzo, una moda, ben descritta da entrambi i commenti che mi precedono. Altra analogia tra i concerti di Milano e Bergamo è la routine di classe che verso la fine della prima parte si illumina brevemente, sembra cambiare passo per poi rientrare nella seconda parte. Certo parliamo di esecutori di prima grandezza di cui riesce difficile commentare negativamente la prova, ma la stagione migliore è,credo definitivamente, alle spalle e la formula ogni tanto rivela qualche ruga. Sul costo assurdo leggo che più o meno è la stessa cosa in ogni parte del mondo. Però ricordo che una diecina di anni fa il trio era in programma a Perugia al costo di 90 mila lire e io lo vidi a Juan Les Pins per meno della metà e nella stessa settimana......Termino con una segnalazione di recensione molto più politically correct rispetto a queste nostre valutazioni del concerto a Napoli sul sito Musica Jazz: http://www.musicajazz.it/columns/228
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 22/07/11 alle 15:06 via WEB
Confermo che, almeno in passato quando sono andato a Juan Ls Pins il prezzo era sempre abbordabile e soprattutto privo di assurdi diritti di prevendita. Una cresta del 10 % e a volte di più priva di giustificazione. E' un malcostume tipicamente italiano quello di sovraccaricare i prezzi in questo tipo di occasioni e cercare di fare business a sforzo zero. Per quel che concerne Jarrett, lo considero uno dei musicisti più importanti dell'ultimo quarantennio in ambito di musica improvvisata ma bisogna ammettere oggettivamente che il suo trio è creativamente finito da un pezzo e non a caso, badate, la registrazione del trio più recente incisa ufficialmente è del 2002, ossia "Up to it" concerto al quale ero presente live a Juan con i suddetti amici. Siamo nel 2011 ...
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 22/07/11 alle 15:07 via WEB
"Up for it" scusate...
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 23/07/11 alle 10:43 via WEB
Sempre x informazione passo i commenti dei miei suddetti amici che seguono quasi tutta la tourneé europea di Jarrett che sino ad ora il concerto di Napoli è stato il migliore e che a Juan hanno toccato invece uno dei punti più bassi in tanti concerti in quella località, con i problemi di salute di Peacock ormai non più tamponabili. In pratica una specie di ospedale ambulante sul palco. E se lo riferiscono loro...
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
daniele il 23/07/11 alle 17:58 via WEB
che bel modo di esprimersi! Paragonare Gary Peacock ad " un ospedale ambulante". Che rispetto !
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 24/07/11 alle 10:26 via WEB
Ambasciator non porta pena, come si dice in questi casi. In ogni caso i miei amici portano ai musicisti un rispetto concreto, ossia quello quello del pubblico pagante, andando a quasi tutti i concerti e pagandoli di proprio. Credo sia la miglior forma di rispetto, quella alla quale tutti i musicisti del mondo nei fatti tengono, certo molto migliore di quella di quella applicata da molti giornalisti e critici che si accreditano ai concerti del trio e poi poco professionalmente infarciscono di amenità varie i loro pezzi su ciò che ascoltano. Ne ho letti a chili in questi decenni sul trio, con rare eccezioni. In ogni caso da tempo Peacock ha problemi seri di salute e francamente le sue prestazioni sono diventati imbarazzanti, andrebbe detto se si vogliono fare dei report attendibili e credibili sui concerti, per rispetto che dovrebbe essere dovuto verso i lettori. Credo che se ognuno si occupasse del rispetto che lo riguarda sarebbe meglio per ciascuno, evitando di chiederlo a chi tra il pubblico paga non solo il biglietto ma anche considerevoli costi di trasporto per seguire le proprie passioni e che a mio avviso può dire quel che gli pare. Al di là dei termini, certo discutibili, credo che la musica venga prima di tutto (ricordate Miles Davis che cacciò dal suo gruppo il nipote batterista pur di preservare le sue idee e i risultati musicali?) ed eviterei il solito moralismo sterile e fuorviante quando si ascolta e si valuta la musica, vezzo tipico che peraltro riscontro della ns critica di settore, in specie quando si tratta di giudicare i versetti e le moine di Jarrett davanti al pianoforte invece che la sua musica. D'altronde ognuno valuta quel che può...
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
daniele il 24/07/11 alle 13:22 via WEB
la sua logorroica risposta è francamente fuori tema , non giustifica il suo bieco scivolone e si commenta da sola. se può ci risparmi un'altra tirata delle sue.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 24/07/11 alle 13:44 via WEB
Ah,ah, ma quale mio scivolone. Se hai qualcosa da dire scrivilo (tanto sono sicuro che non hai il becco di farlo), altrimenti evita provocazioni sciocche ed infantili.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Gianni M. Gualberto il 27/07/11 alle 08:47 via WEB
Vero sui prezzi e, difatti, mi correggo. Ma vista la differenza di istituzioni e di capienza sala, continuo a pensare che i costi dei biglietti "arcimboldiani" fossero esagerati (ma è prassi di quel teatro).
 
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