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AVISHAI COHEN TRIO: FORMIDABILI O NOIOSI ?

Post n°2023 pubblicato il 20 Novembre 2011 da pierrde
 

Ho qualche difficoltà nel commentare il concerto del trio di Avishai Cohen.

Quando un intero teatro acclama e applaude fino a spellarsi le mani è difficile fare serenamente l'avvocato del diavolo ed esprimere con pacatezza i dubbi e le riserve sul trio.

Partirò da lontano: non ho bisogno di presentare Art Blakey ad un appassionato. Ebbene, ho avuto il piacere di vedere diversi concerti del fondatore dei Jazz Messangers.

Blakey era un vero leader e anche un grande batterista, potente e raffinato, eppure nelle sue esibizioni lo spazio per i suoi assoli era contenuto entro limiti assolutamente paritari con gli altri musicisti, anzi, spesso si ricavava solo dei brevi break tra un riff e l'altro, ma la sua grandezza non solo non ne era scalfita ma, al contrario, ne usciva rafforzata.

Evidentemente Cohen è di parere totalmente opposto, visto che in tutti (!) i brani suonati dal trio ha preso lunghi assoli, e dopo averne inizialmente constatato la bellezza del tocco, il calore, la robustezza e la tecnica cristallina, la sensazione di ammirazione piano piano è virata verso la stanchezza, la noia da ripetizione ed il desiderio di ascoltare musica d'insieme invece che una esibizione circense del leader.

A mia differenza invece il pubblico ha molto gradito, applaudendo spesso e sempre fuori tempo, forse in ossequio alla famosa frase di Rava che dice che ormai si applaude qualsiasi cosa.

A dire il vero i tre musicisti sono dotati di tecnica straordinaria e lo hanno abbondantemente dimostrato. La musica è presa quasi per intero dall'ultimo album, Seven Seas, ed è una sapiente miscela di musiche originali ispirate alla tradizione ebraica sia medio-orientale che dell'est europeo, con un occhio attento anche alla versione acustica di Masada, dalla quale si differenzia per le atmosfere più liriche e bucoliche, decisamente meno urbanizzate ed astratte.

Nei momenti di ascolto reciproco la musica è decollata grazie alla sensibilità di Omri Mor, un giovane e talentuosissimo pianista, e al timing impressionante di Amir Bresler. Complessivamente divertente, il gruppo ha sfoderato tecnica e grinta, con prevalenza dell'aspetto edonistico a scapito della profondità. Mi è parsa una musica straripante, di sicuro effetto e presa, ma superficiale, senza un vero interplay se non a tratti, troppo al servizio della dimostrazione virtuosistica  per occuparsi anche di scandagliare più a fondo le peraltro pregevoli composizioni di Cohen.

Un gruppo da riascoltare, magari tra qualche anno, sperando che l'ego del leader si ridimensioni.

 

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Commenti al Post:
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Gianni M. Gualberto il 20/11/11 alle 23:17 via WEB
Non è mia abitudine "difendere" chi non ha bisogno di essere difeso. Mi limito a dire che non ha senso misurare con parametri jazzistici quel che di jazzistico non ha praticamente nulla se non la pratica improvvisativa (anche Liszt e Thalberg improvvisavano, e anche Bach, Mozart e Beethoven ma, ovviamente, nessuno si sognerebbe o si sarebbe sognato di definirlo jazz, no?), per cui il paragone con Art Blae (??!!) è veramente fuorviasnte. Mi limito a constatare che forse bisognerebbe conoscere meglio la cultura israeliana, che proprio grazie ad artisti come Avishai Cohen comincia a conoscere una sua identità che non è più quella né del folklore (re)inventato di compositori come Tal o Be-Haim, né quella dei contributi della estesa Diaspora ebraica. D'altronde, stiamo parlando di una nazione estremamente giovane nella sua autonomia culturale: le composizioni di Cohen posseggono un qualcosa che è istintivamente facile identificare con la cultura israeliana, che non è quella diasporica ebraica. E il parallelo con Masada, che invece verte molto sull'accumulo di nozioni diasporiche, ha francamente poco a che vedere con l'arte di Cohen che, ovviamente, al di là di ogni considerazione, va capita ma non è detto che debba anche essere necessariamente apprezzata. Quanto alla citazione di Rava, mi pare assolutamente azzeccata: è proprio vero, oggi si applaude qualunque cosa, persino Rava.
 
 
pierrde
pierrde il 21/11/11 alle 14:49 via WEB
Sicuramente Cohen non ha bisogno di difensori, il teatro plaudente basta e avanza. Ti ringrazio per l'intervento, segno di attenzione nei miei confronti indipendentemente dalle opinioni, ma anche della scomparsa delle recensioni sui quotidiani nazionali se non quelle pre-confezionate . Ho poco da aggiungere a quanto detto: l'egocentrismo di Cohen e' stato palese, l'accostamento a Blakey puramente funzionale al diverso modo di intendere la musica d'assieme al di là dei generi. Ovviamente non conosco la scena musicale israeliana contemporanea, e credo che per poterne parlare adeguatamente bisognerebbe viverci . Il trio di Coen per me rimane un gruppo incompiuto dalle notevoli potenzialità. La stessa sensazione che provo nell'ascolto dei suoi album.
 
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