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ANCORA SU CECIL, OGGI OTTANTATREENNE !

Post n°2198 pubblicato il 25 Marzo 2012 da pierrde

L'omaggio a Taylor, qui nel ritatto del disegnatore Alastair Graham, è doppio e dovuto anche alla coincidenza a me sfuggita ma che mi fa osservare  un altro amico blogger, Gerovital, che oggi è il compleanno del pianista americano.

A questo punto continuando con le citazioni da bloggers, prendo il breve ritratto di Taylor comparso su Mi Piace il Jazz:

 

Cecil Taylor è uno dei massimi innovatori del jazz, l'artefice di una musica originale tanto radicata nella tradizione musicale afroamericana, nell'ispirazione di maestri quali Fats Waller, Duke Ellington, Mary Lou Williams, Erroll Garner, Bud Powell, Horace Silver quanto aperta a contenere gli stimoli più differenti, la tradizione classica e le avanguardie europee, la danza contemporanea, la poesia, unificati in un incandescente magma sonoro, una musica che si presenta in costante divenire, prendendo forma in diretta, quando l'improvvisazione coincide con la composizione istantanea.

Nato a New York il 25 marzo del 1929 da bambino Taylor si avvicinò alla musica stimolato dai genitori, ascoltando le orchestre dello Swing, emulando i batteristi e suonando sulle stoviglie di casa. Poi studiò le percussioni ed il pianoforte. I suoi studi proseguirono al liceo, dove vinse anche un concorso per giovani pianisti, si recò al New York College of Music e quindi al New England Conservatory di Boston. Tornato a New York iniziò a frequentare le scene del jazz per approdare nella cerchia di musicisti la cui urgenza espressiva culminerà nelle definizione del "free-jazz", il jazz libero e ribelle degli anni '60.

Taylor ha collaborato con il sassofonista Steve Lacy, con il trombonista Roswell Rudd, con il trombettista Bill Dixon, con la bandleader Carla Bley, delineando un nuovo universo sonoro, una musica che coinvolge esecutori ed ascoltatori in una dimensione di trance. La sua tecnica pianistica gli consentiva di suonare con un solismo prodigioso e senza limiti, con un approccio alla tastiera quasi fosse uno strumento a percussione, in un incedere vorticoso nel suo svolgersi.

Del suo stile Cecil Taylor disse in un'intervista "che cercava di imitare i danzatori quando volteggiano nello spazio" e la sua concezione musicale così libera fu al centro di controversie negli Usa, dove Taylor trovava a fatica concerti ed impegni con case discografiche. I primi riconoscimenti vennero in Europa dove approdò con il suo trio nel 1962, per un lungo ingaggio al Café Montmartre di Copenaghen, e sono proseguiti fino ad oggi, nei numerosi festival che lo ospitano, nella lunga serie di registrazioni che Taylor ha effettuato in Europa con i suoi gruppi.

Dagli anni '60 Taylor è rimasto profondamente legato ad una musica votata all'improvvisazione e ha realizzato nel tempo una serie di capolavori, in solitudine, insieme a numerosi ensemble, in cui hanno militato alcuni dei musicisti più ispirati del jazz moderno, ed in una serie di memorabili collaborazioni, con il batterista Max Roach, con la pianista Mary Lou Williams, con il trombettista Bill Dixon, con l'Art Ensemble Of Chicago ed anche con il celebre coreografo e danzatore classico Michail Barishnikov.

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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
loopdimare il 25/03/12 alle 18:36 via WEB
Il vero capolavoro di Taylor, forse l'unico, è stata la creazione del suo personaggio.
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 26/03/12 alle 09:20 via WEB
caro loopdimare, non sono un estimatore di Taylor ma, come dire, il tuo commento mi pare un po' ingeneroso. Pensa che la stessa cosa che scrivi tu io la penso per chi sai bene e che ti piace tanto. Ad ognuno il suo, verrebbe da dire...
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
loopdimare il 26/03/12 alle 11:06 via WEB
Ho visto due volte Taylor dal vivo: la prima volta nel '69, al lirico subito dopo Miles Davis (quintetto favoloso con Shorter, Corea, DeJohnette, Holland) la formazione aveva due sax (Jimmy Lions e Sam River): iniziò sparata e finì allo stesso modo un'ora dopo. un flusso interrotto di lava bollente ma indistinto. La seconda volta a metà anni 70 sa solo. Vertigionose scorribande che hanno maltrattato il piano in maniera notevole, un flusso sonoro indistinto. Ascoltare la musica di Taylor è come guardare il mare in tempesta: affascinante tarvolgente; ogni onda diversa dall'altra, ma alla fine la sensazione di aver visto un processo uguale a se stesso. un centesimo delle note di Taylor sono servite a Monk per estasiarci ed inquietarci, un millesimo della violenza di Taylor sui tasti è servita a Bill Evans per farci rabbrividire. Taylor è uno spettacolo più per gli ocche che per le orecchie. Descrivere le sue esibizioni si può fare solo con aggettivi tipo: veloce, velocissimo, frenetico, piano ecc. l'unico metro di giudizio rischia di essere il... metronomo.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Francesco Martinelli il 27/03/12 alle 08:21 via WEB
The most formidable pianism these ears have heard: This is the great divide of American piano playing. Glenn Gould.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Gianni M. Gualberto il 27/03/12 alle 21:58 via WEB
Personalmente, sarei incline a concordare con Glenn Gould. Mi sovviene, però, tanto per fare la tara, che lo stesso Gould scrisse dell'Appassionata di Beethoven che era un lavoro ai limiti dell'imbecillità... Insomma, non sempre è facile rifarsi al pensiero di un interprete ed intellettuale che era piuttosto "opinionated"...
 
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