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Mondo Jazz

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JAMMIN' THE BLUES

Post n°2612 pubblicato il 24 Febbraio 2013 da pierrde

Ho già proposto almeno due volte questo incredibile filmato, ma è passato molto tempo e le cose belle meritano più passaggi.

Ricordo ancora il mio stupore la prima volta che vidi Jammin' The Blues, l'immaginifico suono di Lester Young, il passaggio di bacchette di Papa Jo Jones, i ballerini, il bianco e nero coinvolgente: dieci minuti di pura bellezza. 

Arricchisco il filmato con due commenti eccellenti:

 Sul piano storico, merita di essere ricordata la partecipazione di Lester [Young] alle riprese e alla colonna sonora di "Jamming' The Blues", un cortometraggio prodotto e super...visionato nel1944 da Norman Granz e realizzato da Gjon Milj, un fotografo del settimanale Life. I rapporti tra il jazz e il cinema non sono stati finora molto felici, sotto il profilo qualitativo, pur avendo, le due arti, tutte le carte in regola per fraternizzare. Fra i primi esempi di riuscita del jazz all'immagine filmica è appunto questo cortometraggio, impostato su un'alternanza, abile fino al virtuosismo, di fondali bianchi e neri e di ombre e di luci, che assieme alla musica, è capace di una profonda suggestione…»
Franco Fayenz, Il nuovo jazz degli anni '40, Roma

Un prototipo di reportage precursore e dell'attuale videoclip, che metterà in scena i grandi rappresentanti del jazz, nell'attimo vero del loro sforzo creativo. Nel film appaiono il tenor-sassofonista Lester Young (Woodville, Mississippi, 27 agosto 1909 - New York, 15 marzo 1959) e i grandi musicisti della Jazz At The Philarmonic. Questo corto vanta il maggior numero di recensioni entusiastiche e il primato della critica di jazz-film del secolo. Nonostante all'inizio del film la voce over annunci che sta per cominciare una jam-session, quella sorta d'improvvisazione collettiva che vede riuniti un gruppo di jazzman in un atto creativo, questo film, dal punto di vista figurativo è lontanissimo dal concetto di improvvisazione estemporanea.

 C'è dietro un'elaboratissima costruzione dell'immagine in rapporto alla spontaneità del suono. L'altra protagonista, oltre alla musica è la fotografia che con il suo bianco e nero rigorosissimo, offre poche sfumature intermedie ma lavora con perfezione sui netti chiaroscuri. L'aspetto inoltre interessante è l'occhio del regista sulla negritudine. Con grande intelligenza evita i luoghi comuni di quella teatralità greve e di quel folclorismo falso che all'epoca accentuava spesso un'idea razzista della realtà del mondo dei neri. Non dimentichiamo che siamo in un momento che vedrà esplodere a breve il concetto di jazz come arte. Siamo alle porte di quella rivoluzione che cambiando i connotati folclorico-popolari alla musica afro-americana, ne segnerà definitivamente il destino convertendola in arte.

Da http://www.jazzitalia.net/lezioni/cinziavillari/cv_capitolo1.asp#.USaA8qVri_g

 

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