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Mondo Jazz

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INTERVISTA A MARIO GUIDI

Post n°2615 pubblicato il 27 Febbraio 2013 da pierrde

 

Mario Guidi è il manager, tra gli altri, di Enrico Rava e di Stefano Bollani. Vive questo lavoro e ne è assorbito in maniera totale. Come un perfetto musicista ne interpreta con grande passione le molteplici e complesse sfaccettature. Un lavoro sempre nuovo e stimolante di cui l’articolato mondo del jazz si compone

Propongo un estratto significativo dell'intervista di Fabio Ciminiera  leggibile integralmente sul sito http://www.andymag.com/my-lifemy-music/1967-mario-guidi.html

Qual è la tua opinione della scena jazz italiana?

È vivacissima, nonostante il momento a dir poco tragico. Ci sono però alcune cose che mi interessano molto, altre meno. C'è una impressionante serie di musicisti che suonano benissimo ma non sono curiosi: hanno imparato un linguaggio e lo ripetono all'infinito con qualche piccolo aggiornamento. Sinceramente non credo molto in loro: New York è piena di questi super professionisti. Quelli che mi convincono di più sono altri: l'americano Dan Kinzelman - che vive ormai in Italia da anni - mi sembra più originale di altri sassofonisti ultimamente osannati. Poi Bigoni, Tittarelli, Rubegni, Scardino, Ottolini, Fabrizio Puglisi tra i pianisti e molti altri ancora... Ovviamente quelli che amo di più sono Rava, Bollani e Petrella. Magari non è molto politically correct, ma inserirei mio figlio Giovanni tra i giovani che stanno cercando di ritagliarsi un linguaggio più personale. Osservando infine la generazione dei cinquantenni trovo che Pietro Tonolo meriterebbe molto più in termini di visibilità e consensi. Recentemente ho avuto modo di apprezzare Dario De Idda e poi il trombettista Claudio Corvini, di cui ho ascoltato il suo recente album in trio, molto, molto bello.

Dal tuo punto di vista, la diffusione attuale del jazz ha cambiato il modo di "vendere" i concerti negli ultimi anni?

Oggi si ascolta jazz dappertutto - ad esempio in molti spot pubblicitari - anche se la maggior parte della gente lo ascolta senza alcuna consapevolezza. Gli appassionati sono diventati invece molto pigri e conformisti e, a mio avviso, se nel jazz italiano c'è poco ricambio, la colpa è soprattutto del pubblico che corre ai concerti dei grossi nomi e diserta poi tutti gli altri. D'altronde è veramente difficile orientarsi nell'ipertrofica offerta di proposte concertistiche e nella sconfinata produzione discografica. E la stampa specializzata non aiuta di certo, impegnata ad osannare qualsiasi vagito emesso da non importa chi. Fare booking è stato sempre complicato e oggi lo è più che mai: ci sono decine di agenti e centinaia di musicisti. La concorrenza è spietata e non sempre leale. Sono certo che molti agenti hanno ancora idee poco chiare su come debbono essere pagati contributi e tasse per i musicisti, soprattutto americani - e la crisi economica riduce notevolmente gli spazi di manovra.

E nei cosiddetti “luoghi deputati” del jazz?

Nei club va forte il mainstream, perchè in genere i gestori hanno pochissima voglia di rischiare con proposte innovative. I teatri hanno bisogno di nomi che possano riempire, visto che i contributi pubblici si stanno azzerando. I festival, tranne rare eccezioni, cercano anche loro di andare sul sicuro. Ci sono poi tanti piccoli festival che sono gestiti da musicisti locali, con l’aiuto del cugino assessore, che magari suonano 7 volte con 7 formazioni diverse oppure praticano il “ voto di scambio” con altri festival simili. Fotografare la situazione attuale è molto difficile, ma sono certissimo che non sono "i soliti noti" che stanno ostacolando l'affermazione dei nuovi talenti, bensì in gran parte i musicisti di cui parlavo poco sopra. Nel jazz le "sòle" durano poco: chi vale e ha voglia di lottare, alla fine il suo posto se lo ritaglia. Poi non è facile mantenerlo, ma questo è un altro discorso: purtroppo non c’è posto per tutti. Sono trent'anni che opero in questo settore e ancora devo conoscere un musicista che ammetta i propri limiti artistici: se uno non si afferma è colpa dei critici che non capiscono niente, delle lobbies, degli uffici stampa degli altri artisti (che nel jazz italiano sono però pochissimi ), di Rava e Bollani, mia che li rappresento e, alla fine, del destino cinico e baro.

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