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« LA PIANISTA PIU' VELOCE...DAL MIO QUARTO PIANO »

ROCK IN PASTICCERIA

Post n°3564 pubblicato il 01 Luglio 2014 da pierrde

Cosa ascoltano gli scrittori quando scrivono, e cosa scrivono quando parlano di musica? È vero che la musica riesce a toccare corde emozionali precluse al romanzo e alla poesia? O è vero il contrario? Quali sono i rapporti tra letteratura e musica?

E soprattutto: se sulla classica e persino il jazz non ci sono dubbi, il rock e le sue filiazioni, che rappresentano una parte importantissima della cultura musicale del secondo Novecento, si può dire che siano arte? Un aiuto, nel rispondere a queste e altre domande sui misteriosi intrecci tra musica e narrativa contemporanea, lo offre il libro del giornalista e critico musicale Pierluigi Lucadei Ascolti d'autore (Galaad, pagg.176, euro 14) che raccoglie 25 interviste irriverenti a scrittori italiani e stranieri, tutti nati dopo il 1950.

Un libro molto divertente e curioso (e illuminante sulle invidie che corrono tra scrittori e musicisti) leggendo il quale si scopre che:

A proposito dei romanzi scritti dalle rockstar. Niccolò Ammaniti: «Sono scritti male, fatti per un pubblico di adoratori». Nicola Lagioia: «Sono scarsi. Ce n'era uno bravino, Boris Vian, ma anche lui non arrivava al tallone di quelli veramente bravi. E le case editrice che li pubblicano? Fanno schifo anche loro, ma fanno fare i soldi». Alcide Pierantozzi:

«Sono libri che nella maggior parte dei casi servono agli editori per far quadrare i bilanci».

JOE R. LANSDALE Domanda: «Suoni qualche strumento?». Risposta: «Il lettore cd».

Nicola Lagoia dice una cosa che ho sempre pensato, e mai osato dire, e cioè che far passare i cantautori per poeti è un'enorme stronzata. Domanda: «C'è una band italiana di cui ammiri le liriche?». «Sì, se ci metto sotto la musica. Altrimenti le liriche da sole non reggono proprio letterariamente. Comprese quelle di Fabrizio De André. Da sole: prova a metterle accanto a una lirica di Campana, di Montale, di Eliot, di Pound. Ovvio che non c'è paragone».

Lo scrittore colombiano Efraim Medina Reyes: «Se mi piace il rock italiano? Meglio parlare di tarantella. I rocker italiani sono una minchiata colossale, una volgare imitazione di quello che dovrebbe essere il carattere del rock. C'è più rock in una pasticceria».

Arriverà mai il momento in cui in Italia la musica non verrà più considerata di serie B? «In Italia tutta la cultura è considerata una cosa di serie B» (Niccolò Ammaniti).

Leggi l'articolo completo qui: 

http://www.ilgiornale.it/news/cultura/classica-jazz-rock-e-pop-letteratura-ascoltare-1032908.html

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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
loopdimare il 01/07/14 alle 21:01 via WEB
prova a metterle accanto a una lirica di Campana, di Montale, di Eliot, di Pound. ovvio. ma ci sono poeti che sono stati cantati (nel senso che da loro poesie sono nate canzoni): Prevert, Neruda, Garcia Lorca, Verlain, Aragon. ci sono cantanti poeti: Cohen, Dylan, Ferré, Brel... e ci sono poeti che hanno declamato, cantato le loro poesie in tutti i contesti possibili: quelli della beta generation. Evdentemente non c'è un modo solo di fare poesia...
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
sergio pasquandrea il 05/07/14 alle 13:05 via WEB
Mah, a me quello di canzone e poesia è sempre sembrato un falso problema. i testi dei cantautori nascono e vivono insieme alla musica. Se manca quella, non reggono, perché sono, semplicemente, menomati di un elemento essenziale. E non lo dico io, lo dice gente come De Andrè o De Gregori, i quali hanno sempre sostenuto di far canzone, non poesia, che è una cosa diversa. Mi sembra un punto di vista più equilibrato e, tutto sommato, più rispettoso. Perché paragonare per forza la canzone alla poesia, come se la poesia fosse - di per sé - un genere "superiore"? Per quanto mi riguarda, preferisco molte canzoni di De Andrè a tanta paccottiglia poetica che leggo sul web. Ma sono consapevole che quelle sono canzoni, non poesie. Sono una cosa diversa, semplicemente.
 
 
pierrde
pierrde il 05/07/14 alle 13:27 via WEB
Perfettamente d'accordo. L'abilità artigianale di far convivere testo e musica è prerogativa molto diversa dalla poesia, anche se, in alcuni casi, ne raggiunge le stesse vette.....
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
loopdimare il 06/07/14 alle 14:32 via WEB
noi italiani abbiamo un cencetto di poesia molto elitario, figlio dell'ermetismo, mentre all'estero sono più aperti. nessuno si immagina Montale declamare o peggio cantare i suoi versi come Ginberg o Ferlinghetti. Ungaretti nona vrebbe fatto musicare le sue poesie come fecero Prevert e Aragon... e così via. e non rispodente citando solo e sempr Deandré
 
 
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Sergio Pasquandrea il 08/07/14 alle 15:25 via WEB
Dalla-Roversi ti può andare bene? Un grande poeta e un musicista che, quando voleva, è stato grande. Peccato sia un caso isolato, perché ce ne vorrebbero di più.
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Sergio Pasquandrea il 08/07/14 alle 15:27 via WEB
comunque, Montale in gioventù era stato un discreto baritono d'opera. peccato davvero che non abbia mai cantato i suoi versi... Ungaretti, da parte sua, era amico di Vinicius De Moraes e tradusse parecchi suoi versi.
 
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Gianni M. Gualberto il 09/07/14 alle 01:18 via WEB
Tradurre non è un merito. E' come si traduce, il merito. Ungaretti trascorse in Brasile circa cinque anni, dal 1937 al 1942 (Ed incede il Neptunia. / A Pernambuco attracca...), dedicandosi poco alla propria opera e molto alle traduzioni da Gongora, Shakespeare, ecc. In cinque anni non si impara veramente una lingua, nemmeno se si è Ungaretti (che il portoghese lo parlava piuttosto male). Le traduzioni ungarettiane dal portoghese sono francamente fallose. Mi si potrà obiettare che quelle di Bardotti erano peggio. Vero, ma assai più funzionali, non pretendevano di spiccare il volo. Cinonostante, mi pare un po' azzardato paragonare il binomio Ungaretti/Vinicius a quelche sbilenco duo nostrano, ivi incluso Lucio Dalla, un buon melodista dalla vena esauritasi presto (scrivere temi memorabili è impresa difficilissima e meritoria). Il cantautorato, croce e delizia della sbilenca cultura italiana, è un nano dai piedi di argilla: che, provincialmente assai, si cerchi di farlo passare per altro... è pateticamente comprensibile. Il che cambia poco, pochissimo, forse niente del mondo.
 
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