Creato da pierrde il 17/12/2005

Mondo Jazz

Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.

IL JAZZ SU RADIOTRE

 

martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30

------------------------------------------------------------------

JAZZ & WINE OF PEACE

Pipe Dream

violoncello, voce, Hank Roberts

pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig

trombone, Filippo Vignato

vibrafono, Pasquale Mirra

batteria, Zeno De Rossi

Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)



 

 

MONDO JAZZ SU FACEBOOK E SU TWITTER

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Novembre 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
        1 2 3
4 5 6 7 8 9 10
11 12 13 14 15 16 17
18 19 20 21 22 23 24
25 26 27 28 29 30  
 
 

JAZZ DAY BY DAY

 

 

L'agenda quotidiana di

concerti rassegne e

festival cliccando qui

 

I PODCAST DELLA RAI

Dall'immenso archivio di Radiotre è possibile scaricare i podcast di alcune trasmissioni particolarmente interessanti per gli appassionati di musica nero-americana. On line le puntate del Dottor Djembè di David Riondino e Stefano Bollani. Da poco è possibile anche scaricare le puntate di Battiti, la trasmissione notturna dedicata al jazz , alle musiche nere e a quelle colte. Il tutto cliccando  qui
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

 

« DAVE HOLLAND SEXTET - PA...NOVITA' IN CASA ZORN »

A PROPOSITO DI JAZZ / ONE MORE

Post n°1078 pubblicato il 17 Ottobre 2008 da pierrde

Ho riflettuto a lungo se e in che modo, possibilmente costruttivo, continuare la “querelle” con GMG. Il rischio è di un continuo botta e risposta, magari senza una partecipazione di altri appassionati e con la assoluta certezza di rimanere alla fine ognuno sulle proprie posizioni. Credo che chiunque sia giunto fin qui e abbia un comune amore per la musica afro-americana abbia di per sé le proprie convinzioni, e leggendo gli scritti miei e di Gualberto si sia formato una opinione senza bisogno che lo si tiri necessariamente da una parte o dall’altra. Penso comunque che la prosa appassionata e indubbiamente colta di Gianni meriti uno spazio più visibile rispetto al commento al post n° 1070, al quale rimando per chi voglia ricostruire l’intera vicenda. Qui riporto il primo ed il secondo intervento di GMG, intervallati dalla mia replica.

Avrei parecchie perplessità, fermo restando che intorno al jazz italiano (dove non tutto è oro ciò che riluce) tira ormai una ventata di vanesio nazionalismo che, nel suo essere piuttosto provinciale, invita al sorriso (nel senso che non riesce neanche ad essere irritante) Ho sempre trovato certa critica europea, sia quella inglse che francese, smodata nel sostegno sciovinista ai propri artisti, anche quando di valore nullo; da tempo la critica italiana (dalle armi culturali persino inferiori alla critica franco-britannica) si è allineata a questo approccio che non è neanche tronfio, è semplicemente acritico, ricolmo com'è, poi, di un sottile e banale antiamericanismo di radici comuni fra Sinistra e Destra, che sente di prendersi rivincite a destra e a manca, dal 1945 ad oggi, di là e di qua dello scomparso Muro di Berlino. Mi pare anche piuttosto gratuito, se non facilone, il disprezzo a piene mani distribuito nei confronti del nazionalista africano-americano Wynton Marsalis (paragonato addirittura a Gaslini e a Paolo Fresu... via, non scadiamo nell'esilarante...: certi paralleli non hanno senso storico, culturale, linguistico e neanche tecnico) la cui figura, una volta tanto, senza preconcetti, pregiudizi e paraocchi, andrebbe inquadrata con maggiore rispetto e più acuta obiettività. E forse, con una migliore conoscenza di determinate correnti di pensiero all'interno del processo estetico africano-americano.

Un intervento molto stimolante e ricco di spunti, per il quale ti ringrazio sinceramente. Molti i punti sui quali condivido le tue argomentazioni, su altri probabilmente la vediamo in modo differente, ma questo non è di impedimento alcuno ad un piacevole scambio di idee. E’ indubbiamente vero che parte della critica, soprattutto quella francese, tende a “coccolare” eccessivamente i propri rampolli, non vedo un fenomeno di egual portata da noi, dove anzi, a parte i pochi che hanno raggiunto una visibilità, gli altri possono contare al massimo sul Top Jazz autarchico per riuscire a vedere il proprio nome in qualche rilievo sui media. Certo non tutto il jazz italiano è dello stesso spessore, ma complessivamente credo che il livello medio sia notevolissimo. Concordo sul fatto che certi paragoni tra musicisti di area, estrazione e culture differenti siano più “calcistici” che reali, e quindi irrealistici e mal posti ( anch’io mi faccio spesso prendere la mano come giustamente evidenzi)., A tutti credo è capitato di osservare durante festival o rassegne che mettono a confronto europei ed americani che ogni tanto i meno interessanti sono proprio gli americani. Mai mi sono annoiato nell’assistere ad un concerto di Fresu, in tutte le sue incredibili varianti di formazioni e proposte. E se dovessi scegliere tra Franco D’Andrea e Chick Corea in concerto la stessa sera in due teatri differenti, non avrei dubbio alcuno… Non voglio generalizzare naturalmente, credo però che abbiamo sofferto forse troppo a lungo di preconcetti americanocentrici. Lo dico senza spocchia e senza nessun anti-americanismo di ritorno: sono cose vecchie e per fortuna ampiamente superate. A meno di non voler dare per buona la filosofia Marsaliana, e cioè che 1) il jazz è una musica solo americana (anzi, solo nero-americana) 2) il jazz è equiparabile alla musica classica e quindi, di fatto, privo di qualsiasi ulteriore sviluppo. Roba da vecchio conservatore, anzi da quacchero incallito. Sarebbe come dire che la musica classica è solo europea, e quindi i vari Metha, Montero, Agerich, ecc., hanno sbagliato tutto , più o meno come Martial Solal, John Surman, Paul Bley, eccetera. Negare sviluppo al jazz è poi come decretarne di fatto la morte immediata, ma soprattutto negarne la storia, fatta di continui mutamenti e contaminazioni. Oggi il jazz, pur essendo una musica nero-americana, appartiene al mondo intero, esattamente come la musica classica che viene studiata e praticata in Oriente come nelle Americhe. Certamente la mia comprensione del contesto afro-americano in cui nasce Wynton è da migliorare; da parte mia non ho mai smesso di ammirarne le formidabili doti musicali, cosa che, appunto, mi riesce più difficile con le sue concezioni sulla musica (condivido, inutile dirlo, le idee del vecchio Lester Bowie !).
A me non dispiace la polemica. Anzi, reputo quella acremente bizzosa pur sempre meglio del civilissimo consenso in punta di forchetta. Qualcuno la scambia per astiosità. Sbaglia. Ma, insomma, non si può piacere a tutti, una fra le poche cose autenticamente belle dell’esistenza. Beh, chissà perché l'"universalità" del jazz torna sempre comodo quando si tratta di affibbiare agli africani-americani la patente dei superati (naturalmente a favore degli europei, gli unici, a quanto pare, a partire da Guillaume de Machaut e anche prima, in grado di maneggiare le doti di Euterpe): è un buon traguardo, finalmente si riesce a strappare ai nero-americani (e di contorno, agli americani tout court) anche una fra le poche cose che era sfuggita alla smania colonialistica europea. Si ritorna finalmente a un sano mondo non più globalizzato ma a un'altrettanto sana conduzione europea (con i bei risultati ottenuti, se non erro, a partire dal 1932). Curioso, in un mondo in cui la Sinistra (cui un tempo mi vantavo di appartenere: oggi è meglio pregare perché arrivi una Third Stream anche in tali ambiti...), fino a pochi anni fa, considerava obligé esaltare il nazionalismo africano-americano degli Amiri Baraka, dei Sun Ra, dell'AACM o delle Black Panther (tutta gente che non la pensava troppo diversamente da Wynton Marsalis, almeno su alcuni punti, visto che, in fondo, alcuni considerano lo stesso Marsalis culturalmente un po' troppo inquinato con il potere istituzionale bianco, nella sua sprezzante diffidenza verso un'avanguardia che, a sua volta, egli non considera africana-americana abbastanza: quando la lana caprina si fa fitta...)... Oggi, invece, con i mirabili capovolgimenti che il crollo delle ideologie continua a comportare e, dunque, con l'ondivaga genericità che esso implica, si è pronti a sostenere che nella loro stessa lingua gli africani-americani sono maldestri, in nome dell'universalità della stessa. Passati i tempi in cui gli intellettuali nostrani (quelli che ancora non avevano voltato gabbana in omaggio alla lotta contro quella globalizzazione di cui il jazz è stato primo e imponente profeta culturale) agitavano " Blues People" più del libretto rosso di Mao. Per carità, crollano le Borse, godiamo tutti della caduta a picco non di un comune modello di mercato, come è già accaduto altre volte, ma dell'odiato "capitalismo americano" (una fra le tante idiozie di cui si può leggere di questi tempi), niente di strano, perciò, che finalmente si possa godere anche del crollo (assai ipotetico) dell'orribile jazz "americano", a favore di un sano europeismo, ancorché infarcito di un provincialismo deleterio bene avviluppato nella copertina di un ruttino di supremazia bianca. E si scopre che è bestemmia sostenere che il jazz sia primariamente una musica africana-americana, inscindibilmente legata ai processi della cultura americana (ben originale) sviluppatasi nel corso del Novecento e eminentemente rivolto proprio ai popoli meticciati, protagonisti della globalizzazione. Ma sì, in fin dei conti una manica di patetici imbecilli ha decretato a Stoccolma che Philip Roth è merce imputridita, vuoi mettere con il sano, bianco, europeo Le Clézio, anche se scrittore turpemente mediocre... Ed è divertente (e anche un po' razzista ma, insomma, gli europei, si sa, possono concedersi questo ed altro, dall'alto dei loro duemila e passa anni di Storia, fra un'Inquisizione, una Shoa e altre amenità trascurabili) che da queste parti si voglia dettare agli africani-americani anche come comportarsi nella loro stessa cultura: ragazzi, che ve ne fate del nazionalismo di Marsalis... ma come si permette questo buzzurro... pretende persino di imporre una classicità -che è, riconosco, criterio certamente suscettibile di critiche e dubbi- roba da europei... questi neri stanno diventando troppo americani, li preferivamo quando contestavano in un linguaggio a noi appetibile... Ritornassero a fare i neri, che al resto ci pensa la gloriosa cultura europea, con il putridume estetizzante del surrogato culturale prodotto da ECM & C. per incliti evoluti (ma non abbastanza). Per non parlare poi dei terribili musicisti bianchi americani, accettabili solo se sufficientemente europeizzanti e estetizzanti (Que viva Tristano!): il jazz, in fin dei conti, è nato malauguratamente negli Stati Uniti, dove ormai non sanno che farsene (dev’essere un altro effetto del bushismo…)… Un’avanguardia inesistente (peccato che il rapporto fra jazz e performing arts stia dando dei frutti notevolissimi ; peccato che l’incalzare di nuove ondate migratorie, da quella slava a quella asiatica originatasi in India e Pakistan, stia dando vita a connubi linguistici straordinari, di cui una eco ben più ridotta si avverte anche in Inghilterra: immagino che artisti come Vijay Iyer e Rudreesh Mahanthappa siano dei relitti di qualche naufragio culturale; peccato che il dialogo fra gruppi etnici diversi stia creando nuovi laboratori di cui, nella nostra purezza, nordica o mediterranea, non avvertiamo alcun impulso, preferendo noi l’esaltazione delle radici, a rischio di scivolare nella melma appiccicosa della più neo-colonialista world music d’accatto…), un’insistenza sulle proprie radici meticciate (quella volgare insistenza sui dati dello hard bop, che qualcuno già trenta e quaranta anni fa viveva come un rigurgito di conservatorismo), l’evoluzione metrica del bop nelle forme di rap e hip hop, le evoluzioni ritmiche allineatesi alla ricchezza immaginifica della slam poetry, il riallaccio costante alle varie forme culturali derivate dal mondo culturale africano e africano-americano… Minuzie, naturalmente, di fronte all’innovazione europea, che da decenni ormai continua a girare su sé stessa, come Narciso di fronte a uno specchio d’acqua. Mi stupisce come certa autoreferenzialità autarchica (e pensare che, ad esempio, Enrico Rava ha dato il meglio di sé, che non è poco, proprio nella sua ispirazione più cosmopolita, ben prima che vezzosamente, come una nonna perennemente incinta, si dedicasse a fare il profetta dell’italica cultura popolare con una spruzzata di europeismo, tanto per non sembrare troppo provinciale…), che non di rado sfocia in una spocchiosa auto-sopravvalutazione, venga spacciata per innovazione: insomma, rinnovare il guardaroba dei propri avi rischia di passare non per una sana politica anti-tarme, ma per creatività allo stato puro, non un elegante, ancorché di corto respiro (in un mondo che comunque insegue il sincretismo, vivaddio), accenno alle proprie radici, ma un vero e proprio processo creativo ex novo… Ho sempre ammirato Esbjorn Svensson perché, pur alla ricerca di una sua originalità locale (glocale?), non si vergognava di esibire il fatto che la fonte del suo sostentamento creativo fosse in larga parte extra-europea, anzi americana e africana-americana. Riconosco di avere in uggia l’estetismo europeizzante che puzza di nazionalismo: ho amato il secolo di quei barbari che si chiamavano Ives e Cowell, Gershwin e Armstrong, Copland e Jelly Roll Morton, Cage e Mingus, Feldman e Coltrane. E ci aggiungerei, per buona misura, che so, Chávez e Revueltas, Arturo Márquez e Javier Álvarez, magari pure Peter Sculthorpe o Ernesto Nazareth e, perché no, anche lo stravolgimento indio che Villa-Lobos fece di Bach. Amerei avere le tue certezze, quelle certezze che ti fanno preferire Franco D’Andrea (eccellente pianista, persona squisita e, certamente, modesta e rigorosa) a Chick Corea… Peccato che D’Andrea, pur con tutta la sua strepitosa bravura, non abbia cambiato la storia della musica improvvisata di una virgola, mentre Corea di virgole ne ha cambiate tante (altrimenti, parte del pianismo modale sarebbe rimasta ferma a McCoy Tyner). Esistono anche i ruoli storici, a meno che non si voglia creare nuove scale di valori. E, certo, apprezzo anch’io l’intelligenza, anche l’astuzia di Paolo Fresu, la sua eleganza, ancorché abbia inventato poco o nulla di nuovo. Anzi, lo ammirerò ancora di più quando l’avrò sentito cavare anche un acuto, così, tanto per fare “nu muorzo e’ vita”, come dicono a Napoli). Lungi da me negare il talento di tanti artisti italiani (oggi orgogliosamente riuniti in casta), non vorrei però doverne negare invece la derivatività, che nel jazz, ahimé, è cosa piuttosto comune in ambito idiomatico, per chi non vuole essere cosciente della primari età africana-americana. Sì, è pur vero che mio padre era di colore e che i bianchi gli stavano un po’ sulle scatole: devo avere ereditato qualcosa da lui.

Ancora una brevissima replica. Non ho mai affermato, ovviamente, che il jazz europeo è superiore o migliore o in qualche modo preferibile rispetto a quello afro-americano. Non essere forzatamente americanocentrici nelle scelte non significa essere automaticamente eurocentrici. Da parte mia amo profondamente tutta l’avanguardia chicagoana, i musicisti della AACM grazie ai quali mi sono avvicinato al jazz, per poi esserne conquistato e formato. Ho infatti effettuato un percorso a ritroso: partito da Braxton, Leo Smith, George Lewis e Art Ensemble of Chicago sono poi risalito ai giganti che li hanno preceduti, amandoli e riconoscendo in essi gli ispiratori della AACM e delle generazioni successive. Condivido buona parte delle tue affermazioni sociologiche, storiche e anche politiche, compreso l‘accenno allo scrittore veramente meritevole del Nobel di quest‘anno. Ricordo con un misto di ironia e rabbia gli anni in cui qualsiasi musicista, purchè suonasse free, era applaudito a prescindere da effettivo merito e valore. e un gigante come Stan Getz inesorabilmente fischiato perché bianco, quindi reazionario e superato. Scemenze che per fortuna costituiscono solo il folklore di un certo periodo. D’accordo anche sul valore nel contesto storico: Corea ha scritto pagine, indubbiamente. Oggi però è molto meno interessante di alcuni dei migliori pianisti italiani, quindi, se voglio andare ad ascoltare musica viva, vibrante, sincera, rigorosa evito Chick e scelgo Franco. Non è che Corea non sappia più suonare, naturalmente, è che ha fatto scelte differenti e sicuramente più gratificanti per il suo portafoglio e non mi basta riconoscerne il valore storico quando vado ad un suo concerto. Gustosi i tuoi ricordi famigliari, io posso solo vantare una nonna tedesca ed un nonno pittore: bianchi, nord-europei e vissuti senza aver mai visto un nero americano.

Ma a questo punto , per evitare di annoiare e di scrivere un libro, passerei volentieri il testimone ad altri. A Gianni un caro saluto, è bello condividere una passione cosi’ forte….

La URL per il Trackback di questo messaggio è:
https://gold.libero.it/MondoJazz/trackback.php?msg=5677391

I blog che hanno inviato un Trackback a questo messaggio:
Nessun trackback

 
Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 18/10/08 alle 10:28 via WEB
Potremmo dire che il jazz conserva una sua verginità solo nel mainstream, nella sua classicità. E in questo Marsalis è indubbiamente l'alfiere. Ma a prezzo di una sterilità espressiva senza pari. Per il resto, deve allattare alle mammelle della musica europea. Nonostante le istanze di globalizzazione, sempre eurocentrica resta con il supporto afroamericano ormai subalterno o confinato nella classicità del mainstream (tenendo conto che in questa sede, il termine "classico" ha una valenza negativa, of course). Nulla a che vedere con preseunte posizioni antiamericane o filocinesi o filo europee o filoquelchesivuole, semplicemente note e pentagramma.
 
dariomast
dariomast il 18/10/08 alle 16:28 via WEB
caspita, me li ero persi questi interventi di GMG. Il solito, insopportabile sfoggio di cultura mal digerita. Quasi quasi mi piace di più quando scrive la presentazione del suo Aperitivo con lo stile di una televendita di pentole (forse per far contento il suo benefattore). Non capivo come mai il suo programma fosse pieno di musicisti dai settant'anni e in su e non ci fosse mai un italiano. Adesso lo so. Ascoltateli tu, caro GMG il celebre D.F. Newman e il monumentale F. Wess. Io mi tengo Rava e Fresu. Dario
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 21/10/08 alle 21:44 via WEB
Questo mi fa sentire bene. Meglio solo, notoriamente, che mal accompagnato. GMG
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 18/10/08 alle 19:55 via WEB
Sono Totalmente a favore delle tesi di GMG. Matusalemme Rava? Fiorenzo
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 18/10/08 alle 23:08 via WEB
io invece spero che gualberto non cominci ad ammorbarci con la sua scrittura prolissa,autoreferenziale , artificiosa e spocchiosa.Lui si che è spocchioso,non Rava. Ma in Fininvest non deve fare niente ? Lì Brunetta non arriva ? Dove lo trova il tempo per le sue interminabili elucubrazioni ? Mario
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 21/10/08 alle 21:47 via WEB
Chi ha tempo non perda tempo. Basta non leggermi e si risparmia anche il tono da sofferente di stipsi. Siamo pur sempre in democrazia. GMG
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 20/10/08 alle 10:37 via WEB
D'accordissimo con GMG. L'Aperitivo milanese e S. Anna Arresi sono i pochi festival italiani ai quali vale la pena di assistere. Cristina
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 22/10/08 alle 12:48 via WEB
perchè Clusone o Berchidda ti fanno schifo ? O i tanti concerti promossi da centinaia di appassionati ,organizzati in club e associazioni, che senza avere la Fininvest alle spalle e a prezzo di tanti sacrifici tengono accesa la fiammella del jazz in Italia
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 22/10/08 alle 14:40 via WEB
Beh, meno male che ci sono anche i soldi della Fininvest per fare dei concerti... Suggerisci di usarli in altro modo?
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 22/10/08 alle 16:21 via WEB
La discussione ha preso una piega inconsulta. Riassumendo il dibattito iniziale (più interessante dello scambio di frecciatine con qualche solone dispeptico): a) criticavo l'esagerata autoreferenzialità provinciale e un po' tapina del jazz italiano (è possibile?); b) diffidavo di certe acclamazioni della critica nostrana, ormai incline a fare come quella francese e quella inglese, pronte a sostenere i talenti "locali" ben oltre la soglia del ridicolo; è possibile? c) reputavo che certa autoreferenzialità e certa autarchia estetica e critica non abbiano prodotto grandi risultati, specie in un ambito linguistico che è e continua ad essere extra-auropeo nei lineamenti principali e, perciò, lontano dallo spocchioso solipsismo eurocentrico; è possibile? d) sostenevo convintamente la primarietà e la primogenitura della cultura africana-americana nel jazz e "derivati", nonché il superiore (direi imbattibile) livello idiomatico dei creatori africani-americani. E' possibile? Dopo uno scambio di interventi su queste mie opinabilissime opinioni personali (ancorché maturate nel corso della mia esperienza professionale e personale) qualcuno ha reputato opportuna uscire dal seminato per esternare le proprie antipatie viscerali: nei miei confronti, nei confronti della mia prosa, del mio lavoro, c'è chi ha tirato fuori Berlusconi(ma guarda che sforzo di fantasia...), chi la Fininvest, chi la mia presunta cultura mal digerita, chi ha difeso a spada tratta Berchidda e Clusone (come se i loro festival fossero stati da me criticati... Rispetto moltissimo il loro lavoro)... Mi paiono esternazioni inutili, biliose e poco educate nei confronti del padrone di casa, che così gentilmente mi ha ospitato e che non si aspettava certo il solito profluvio di ostilità amene. Almeno per lui, cerchiamo, se si vuole, di rientrare nell'ambito iniziale della pacata discussione.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 22/10/08 alle 17:46 via WEB
Questo è veramente il colmo. Il profluvio di ostilità amene mi pare che l'abbia scritto tu, caro GMG, che sei arrivato a dare a Rava della "nonna perennemente incinta" e che hai definito la produzione ECM "putridume". Come hai scritto, se i commenti non ti piacciono, basta non leggerli (e tu invece li commenti addirittura uno per uno). E se si tratta di esternazioni poco educate nei confronti del padrone di casa (che, a dire il vero, nessuno ha mai nominato) lascia, per favore, che sia lui a dirlo. O ti sei autonominato suo portavoce?
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 22/10/08 alle 20:46 via WEB
In compenso mi sembra che tu ti si autonominato portavoce di Rava e della ECM. Te lo hanno chiesto loro? Non mi interessano i giudizi sul sottoscritto, sono commenti, in questo caso, inutili e pleonastici che, ovviamente, non mi fanno né caldo né freddo. Ho espresso un'opinione, tu continui a non saper rispondere, cercando di sviare i tuoi (pochi, per adesso) argomenti nei confronti della mia persona che, oltre a starti in uggia, non era materia del contendere. Puoi continuare a rigirare la frittata, visto che non c'è sordo peggiore di quello che non vuol sentire: il sunto, per facilitarti una eventuale risposta, te l'ho fornito prima. Spiace tu non abbia voluto approfittarne per ragionare e offrire un'opinione pertinente e non viziata da antipatie infantili. Continuo a scusarmi con il padrone di casa: doveva essere una comune discussione su punti di vista diversi, c'è stato qualcuno che ha voluto far scadere il tutto per il puro gusto personale. Amen. Con chi non sa dibattere, si finisce con l'avere sempre ragione troppo facilmente. GMG
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 22/10/08 alle 19:50 via WEB
è mai possibile che in italia non si possono esprimere delle opinioni e come in questo caso delle sacrosante verità, senza tirare in ballo la politica. i critici e appassionati italiani non sono da meno dei colleghi inglesi e francesi, difendendo a spada tratta i loro beniamini, come se fossero ad un campionato del mondo di calcio. un augurio a GMG fiorenzo
 
pierrde
pierrde il 22/10/08 alle 20:53 via WEB
Pubblicando gli interventi di Gualberto sapevo che la possibilità di aprire un confronto di idee era solo una delle due opzioni possibili: l’altra, fatta di polemiche astiose al limite dell’insulto,(ed è quello che invece sta accadendo e che riempie la maggior parte delle pagine del forum di Alice dedicato al jazz) a me non interessa. A differenza di Gianni che si proclama aperto anche a questo tipo di scontro pugnace io caratterialmente e per formazione culturale preferisco lo scambio pacato e riflessivo. Non ho motivo pertanto di rientrare nell’arena, e , anzi, chiederei a tutti a questo punto di chiudere qui.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 22/10/08 alle 22:34 via WEB
Pugnace sì, ma se ne vale la pena. Speravo che, a parte qualche intemperanza passeggera, si potesse dibattere sul soggetto che ci eravamo dati: siamo finiti, come al solito, nel guazzabuglio delle ostilità ad personam. Niente in contrario alla polemica rovente, purché non sia su personalismi volgari. Pazienza, mi spiace di averti provocato dei problemi. C'è, indubbiamente, chi non vuole che si discuta, ma che si vada avanti come pecore nel coretto della parrocchia (quella, tanto per intenderci, che bela a favore dell'autarchia provinciale). Pazienza. Un carissimo saluto, ringraziandoti per l'ospitalità. GMG
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 23/10/08 alle 01:13 via WEB
Vorrei chiudere al volo: GMG, hai posto il problema del rapporto tra certa critica e i musicisti locali. Personalmente trovo scarsamente interessante questo aspetto. Sulla seconda questione, invece, non sono d'accordo. Ho l'impressione che salti con premeditazione la svolta avanguardistica, a partire dal free, e ti tieni stretto quel jazz classico che, appunto, fa capoa Marsalis. Ma questa fase di forte discontinuità non può essere elusa e se la si osserva con attenzione non si può non vedere il ritorno di esperienza europeo. Personalmente, ci vedo un dato di fatto. Se per questo devo essere considerato un eurocentrico, non so. In ogni caso vedo Marsalis & C fuori dalla storia, congelati nel freezer. Credo che l'equivoco lo crea l'uso (che considero a sproposito) della parola "jazz" in situazioni in cui non ha senso. Il discorso è complicato. In ogni caso non si può restare abbarbicati su posizioni sclerotizzate per paura di peccare di eurocentrismo. Lennie Tristano non fa più Jazz, Taylor nemmeno a parlarne. Non basta una parziale adozione di canoni espressivi del jazz perr poter dire di suonare jazz. Per me il jazz è morto. L'assassino? Charlie Parker
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 23/10/08 alle 10:58 via WEB
Io non intendo saltare la svolta, come dici tu, avanguardistica (di svolte del genere, nel jazz, ve ne sono state e ve ne saranno ancora tante); casomai è Marsalis a saltarla o a deprezzarla, e su questo si può certamente opinare. Trovo però errato che ciò serva, a mo' di contrappasso, per liquidare l'operato di artisti come Marsalis (il quale, peraltro, è uomo intelligente e di cultura, al di là di essere un eccellente musicista), la cui sfortuna può essere rappresentata dal fatto che le sue teorie estetiche e politiche si siano inserite con una certa facilità in un quadro storico della cultura americana non di rado piuttosto conservatore. Per i suoi stessi modi fisici l'uomo Marsalis s'è ritrovato a continuare, apparentemente (direi solo apparentemente) un filone derivato dal rampantismo post-yuppie, diffuso anche fra la classe medio-alta africana-americana. In realtà, Marsalis, che è un nazionalista americano maturato secondo gli insegnamenti di Stanley Crouch e, direi, di Albert Murray (intellettuali, dunque, che si pongono in una posizione di critica sia all'uso distorto che della cultura africana-americana hanno fatto i bianchi, sia all'estremismo -avvertito come teatrale, insincero ed inefficace e, in un certo senso, funzionale alla conseguente reazione repressiva dei bianchi- di intellettuali o figure politiche come Al Sharpton, Louis Farrakhan, Amiri Baraka e, persino, il più profondo Cornel West) ha posto un problema non indifferente, e cioè quello della perpetuazione dei valori espressi in passato dalla tradizione musicale e culturale africana-americana, in un contesto ancora profondamente dominato da valori occidentali che, perciò, attribuiscono un valore primario alla tradizione scritta, trascurando così i valori e i conseguimenti delle tradizioni orali (che, ad esempio, la globalizzazione ha invece di molto rivalutato). L'istantaneità della composizione improvvisata, dunque, rischia di svanire nel ricordo e nella "galleria dei valori" come fattore puramente estemporaneo, se non addirittura esotico. In una società dominante, in cui gli africani-americani devono trovare il modo per amalgamarsi (una volta perse le illusioni nutrite dall'ala più battagliera delle organizzazioni per i diritti civili, come, ad esempio, il Black Panther Party), ed in cui il valore massimo è attribuito alla conservazione dei valori scritti, raggruppati nella costante riproposizione del cosiddetto "repertorio", Marsalis rivendica al passato della musica africana-americana il diritto di entrare in questo repertorio, pur con tutti i se e i ma di una tradizione che non può essere riletta e reinterpretata attraverso l'analisi di un testo formalmente fisso e che perciò esige comunque un contributo di ri-composizione istantanea. Direi che Marsalis prende atto della propria esistenza all'interno di un sistema che è pressoché immutabile o che muta assai lentamente nella scelta di parametri culturali: per dirla con una battuta, egli non comprende ma si adegua. Si preoccupa, perciò, di ottenere il dovuto riconoscimento per una tradizione che, nonostante la vera e propria rivoluzione operata nel corso del XX secolo, non solo ancora oggi non ottiene il pari riconoscimento con la tradizione accademica occidentale (lo stesso riconoscimento che, non casualmente, è mancato anche per tutti quegli autori africani-americani, e non solo, che per esprimere i valori della propria tradizione hanno accettato le regole della tradizione scritta occidentale, da William Grant Still a Roque Cordero, David Baker, Billy Childs, George Walker o persino Will Marion Cook) ma rischia di soccombere. Che egli, come Stanley Crouch, rifiuti l'estremismo "ideologico" di tanta parte del free è posizione opinabile ma, dati i precedenti, comprensibile. Il nazionalismo africano-americano ha, d'altronde, più facce (a tal proposito si legga uno scritto di Bill Cosby, il cosiddetto Pound Cake Speech: http://www.americanrhetoric.com/speeches/billcosbypoundcakespeech.htm). Certo, è curioso che Marsalis non avverta nella coralità, nella pratica compositiva istantanea, nella capacità anche ideologica di relazionarsi con le culture extra-europee e colonizzate, nel linguaggio del corpo del free quanto di più pregnantemente africano-americano (e di meno europeo) si possa immaginare. Il punto che mi premeva, seppur brevemente, focalizzare è che vi è oggi, in molti intellettuali europei (dunque, improvvisatori inclusi), anche per retaggi ideologici marcescenti ma duri a morire, la tendenza a sottovalutare, persino nell'idiomaticità, il contributo africano-americano: il risultato, che volontariamente o involontariamente risulta di stampo neo-colonialista per non dire razzista, è -letteralmente- il furto ai danni degli africani-americani della loro cultura. Un vero e proprio genocidio simbolico che oggi porta ad una sopravvalutazione della musica improvvisata europea che, non a caso, ha "depurato" sempre di più la propria derivatività evidente dai modelli africani-americani, sostituendoli con un confuso coacervo di dati tradizionali europei. Certo, vi è chi afferma che non può essere analizzato come "jazz" (dunque come parte del Canone africano-americano) ciò che jazz non è né, probabilmente, vuole esserlo. Difatti, oggi vi sono molteplici para-linguaggi e vernacoli che al modello improvvisativo del jazz si ispirano, seguendo però tutt'altro percorso. Il problema è che spesso e volentieri, il loro paragone è spesso operato nei confronti del jazz, quasi sempre a danno di quest'ultimo, che oggi ormai sarebbe inane (a me invece pare che sempre di più il jazz funga da modello fondante per molti dei nuovi esperimenti linguistici e/o sincretici operati nell'ambito della globalizzazione). Difatti, vi è chi, ironizzando malamente e con scarso rispetto per la Storia, deprezza i "matusalemme" Frank Wess o David Fathead Newman a favore di Rava e Fresu. Una battuta? Forse, ma antistorica e di dubbio gusto (fermo restando che l'anno prossimo, ad esempio, Rava compirà settant'anni, traguardo cui arriverà fra un paio d'anni anche D'Andrea: cosa facciamo, li eliminiamo per vetustà...?). A me pare, invece, che la tradizione musicale africana-americana in molte delle sue manifestazioni (compresi rap e hip hop), anche extra-Stati Uniti, goda di ottima salute e sia il linguaggio più capace di dare corpo alle aspirazioni di quelle culture -per lungo tempo schiavizzate, neglette, sfruttate, colonizzate dall'Occidente- da cui, molto probabilmente, dipenderà parte del nostro futuro. La sopravvalutazione dell'attuale cultura europea mi appare, perciò, come la difesa a oltranza di una posizione di privilegio e predominio che non ha più ragioni di essere. GMG
 
pierrde
pierrde il 23/10/08 alle 20:51 via WEB
Grazie a Rodolfo e a Gianni per aver riannodato in maniera civile i fili di una discussione a mio parere molto stimolante. Aspetto altri punti di vista, avvertendo che non tollererò scivolate di gusto, a costo di bannare interventi fuori dai binari. Per il momento ho molti spunti di riflessione da questi ultimi due commenti, ci lavorerò sopra...
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 24/10/08 alle 10:58 via WEB
Vorrei comunque chiarire un punto: non sono pregiudizialmente ostile al jazz italiano (che senso avrebbe cancellare dalle proprie preferenze un'intera nazione, un'intera società: sarebbe imbecille e fanatico), ho perplessità sul modo con cui, in generale, il jazz (o affini) europeo si pone nei confronti della cultura africana-americana di cui ancora si alimenta la musica improvvisata in più latitudini. E', evidentemente, posizione personale e non trattasi di verità rivelata. Per ciò che riguarda la "nostra" parrocchia (perché, purtroppo, alla fine di questo si tratta), sono sospettoso nei confronti di un consenso generalizzato che, il più delle volte, appare indiscriminato e non sempre figlio di un solido ragionamento. Peraltro, tale consenso, in generale, premia solo ed esclusivamente alcuni musicisti che, certamente, hanno dimostrato più personalità (Rava su tutti, almeno in certi momenti, a mio parere un po' passé, della sua carriera), come Paolo Fresu e Stefano Bollani, ma che alla fine, per volontà o per caso, si sono trovati ad essere dei portabandiera dietro ai quali non si vedono molte figure. Per quanto si possano tessere le lodi di artisti come Francesco Bearzatti o Giovanni Falzone, in realtà il meccanismo della critica e del commercio tende a ricompensare sempre gli stessi: per forza, "vendono" di più... Certi elogi, dunque, sembrano essere una discreta cortina fumogena. Gli entusiasmi patriottardi si riducono perciò solo a una facciata? GMG
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 24/10/08 alle 17:11 via WEB
Non ho la cultura nè le conoscenze musicali di GMG o di Pierce, quasi tutti i nomi citati dal critico nel suo ultimo intervento mi sono sconosciuti, ma colgo nei suoi interventi un argomento molto stimolante che esce dal dibattito sulla presunta contrapposizione fra musicisti europei e americani e le valutazioni della critica. Mi sembra di comprendere che il punto focale sul quale GMG voglia puntare l’attenzione sia il perchè si fa musica jazz oggi. Sotto questo punto di vista mi sembra di cogliere la sua preferenza per la musica americana, in particolare quella nera e ancora più specificamente quella con radici nell’Africa, la quale pare essere l’unica in grado di portare avanti un discorso iniziato tanti anni fa e non ancora concluso per l’affermazione di una cultura diversa e specifica di un popolo. La scelta dei concerti di GMC di Aperitivo in Concerto mi sembra coerente con tale pensiero alternando musicisti legati alle tradizioni, basta pensare al concerto di Hank Jones di domenica scorsa, con musicisti più legati all’avanguardia e alla ricerca delle radici africane.
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 24/10/08 alle 20:21 via WEB
Grazie, è così. Io non credo alla crisi del jazz o, meglio, della cultura africana-americana in generale. Non credo neanche alla crisi della cultura americana, nonostante i molti acciacchi della società statunitense. Si tratta pur sempre di un eccezionale laboratorio interetnico che rimarrà un modello ancora a lungo. Non ho difficoltà a concepire l'esistenza di più linguaggi e vernacoli derivanti dal jazz ma diversi da esso, ma non riesco a concepire che nell'ambito del Canone africano-americano non sia più che evidente la ineluttabile supremazia idiomatica degli africani-americani e, non di rado, degli americani tout court. Il jazz nasce dalle viscere delle tradizioni africane-americane (basti pensare al rapporto con il blues, così estraneo agli europei) e ne porta una serie di stimmate, persino nella postura fisica. Parlare di missione esaurita per il jazz, che rimane la voce più evidente e rimrchevole della globalizzazione è ancora una volta derubare i neroamericani della loro identità. Ti ringrazio per avere chiarito il mio pensiero. Per me, ospitare artisti ancora vivacissimi intellettualmente come Hank Jones o David Newman o, in passato, Tommy Flanagan, Johnny Griffin e altri ancora, è rendere omaggio a protagonisti del secolo che hanno arricchito la nostra cultura, l'hanno modificata, hanno cambiato persino le nostre vite. E' rendere omaggio a chi ha sofferto in questa missione, è stato perseguitato, segregato, umiliato, pur lasciando un'eredità culturale che è anch uno straordinario messaggio di speranza e forza. Non conoscere e riconoscere questa realtà significa, semplicemente, disconoscere il jazz e ciò che gli dà vita. Con tutto il rispetto per artisti come Rava e tanti altri. Eccellenti, ma non hanno mai avuto il ruolo, il destino, la ventura e l sventura di dover e poter cambiare il corso della Storia. E questo fa una certa differenza... Grazie ancora, GMG
 
Gli Ospiti sono gli utenti non iscritti alla Community di Libero.
 
 

AUTORI DEL BLOG

                 Andrea Baroni


                 Fabio Chiarini


                 Roberto Dell'Ava


                 Franco Riccardi

 

                 Ernesto Scurati

 

ULTIME VISITE AL BLOG

silvio.ghinzaniguitar_enaredsax6dav.martinibarbudosarasirchifisiodecamedroberto.gobbi2011corradobulgarifederico_calcagnogirasoli69andronico.massimoClooney1967ossimoramirkosax
 

ULTIMI COMMENTI

Non ti preocupare, capisco benissimo. Vi sto seguendo...
Inviato da: Less.is.more
il 24/08/2019 alle 11:46
 
Molto bello e interessante il nuovo blog.
Inviato da: Less.is.more
il 23/08/2019 alle 21:27
 
La musica di di Monk ne definisce la prepotente...
Inviato da: Piero Terranova
il 13/07/2019 alle 20:06
 
Grazie!
Inviato da: Luciano Linzi
il 19/10/2018 alle 15:44
 
Una notizia che scalda il cuore. Anche perchè è decisamente...
Inviato da: juliensorel2018
il 12/10/2018 alle 15:21
 
 

CONTATTI:

pierrde@hotmail.com
 

FACEBOOK

 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

AREA PERSONALE

 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963