Mondo Jazz
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martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30
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JAZZ & WINE OF PEACE
Pipe Dream
violoncello, voce, Hank Roberts
pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig
trombone, Filippo Vignato
vibrafono, Pasquale Mirra
batteria, Zeno De Rossi
Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)
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« UNA STORIA AMERICANA | IMPOSSIBILE NON CREDERE ... » |
Intervista interessante quella di Marco Molendini sul Messaggero. Ne riporto i tratti salienti riviando la lettura completa al link a piè pagina.
Oggi l’America ha un presidente nero, che l’ha anche premiata. Il razzismo e finito?
«Obama è un ottimo presidente ma i problemi restano. Le cose sono cambiate in meglio in tanti modi, la gente però la pensa sempre allo stesso modo. Solo che oggi lo tiene nascosto».
Lei nel ’58, nell’America di Eisenhower, fece un disco che era un primo forte richiamo all’orgoglio nero, allora inesistente, si chiamava The freedom suite. Nel retrocopertina lei scrisse: la cultura americana è profondamente legata alle radici nere.
«Sono sempre stato molto interessato ai temi della giustizia sociale, mia nonna mi portava con lei alle prime manifestazioni negli anni 30. Non fu facile. Orrin Keepnews il producer della Riverside, mi voleva nella sua etichetta. Gli dissi: se mi vuoi, fammi registrare questa mia suite. Dopo ha avuto un sacco di critiche e problemi. Io non ho più lavorato con la Riverside».
La sua carriera è lunghissima. Quale è il musicista a cui deve di più?
«Duke Ellington e Fats Waller sono stati i miei primi eroi. Coleman Hawkins e Chu Berry mi hanno fatto appassionare al sax. Li ascoltavo alla radio nei concerti dell’Apollo. Thelonious Monk è quello che mi ha aiutato di più. E stato il mio guru. Ma ho imparato anche da Miles Davis e Charlie Parker».
Monk non era un tipo facile.
«Era la migliore persona che abbia mai incontrato. Un grande creatore di musica. Poi ha perso la sua energia, è entrato in depressione. Secondo me non riusciva più a trovare i musicisti del calibro giusto».
A un certo punto lei si è trovato a suonare anche coi Rolling stones, nel disco Tattoo you.
«Confesso: un po’ me ne sono vergognato. Avevo paura che la gente dicesse, che fai ti dai al rock? Ma non l’ho fatto per soldi, anzi venni pagato pochissimo».
Allora perché l’ha fatto?
«Io i Rolling stone nemmeno sapevo chi fossero, conoscevo appena il nome. Mia moglie era una loro fan. E quando Mick Jagger mi ha chiesto di suonare con loro, ho accettato. Per me non era grande musica. Per me lo è il jazz».
In questi giorni esce un nuovo disco con alcune sue recenti registrazioni, Road show volume 3. Che effetto le fa riascoltarsi?
«Un po’, lo ammetto, sono triste. Forse potevo fare di meglio. Ma ho molti progetti. La mia storia non è finita, deve essere ancora scritta. Anche in Italia, aspettatemi presto».
Fonte: http://spettacoliecultura.ilmessaggero.it/musica/sonny-rollins-jazz-musicista/656171.shtml
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