Mondo Jazz
Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.
IL JAZZ SU RADIOTRE
martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30
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JAZZ & WINE OF PEACE
Pipe Dream
violoncello, voce, Hank Roberts
pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig
trombone, Filippo Vignato
vibrafono, Pasquale Mirra
batteria, Zeno De Rossi
Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)
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Nella mia decennale presenza sul web ho sempre applicato una semplice regola: parlare solo di album che mi piacciono e tacere di tutto il resto. Quindi, per non venire meno alla premessa, non scriverò recensioni di questo Wallflower ma mi limiterò a semplici riflessioni sull’artista e sull’album.
Mi imbattei in Diana Krall moltissimi anni fa a Perugia, quando, ancora sconosciuta, si esibiva in un piano-bar alla presenza di nugoli di giovani più interessati ai cocktail che alla musica. Erano anni in cui Umbria Jazz proponeva la Krall o Brad Mehldau come nuove proposte, poi opportunamente sostituite da Ray Gelato e Subsonica, giusto per far capire che i tempi si sono fatti difficili e non è più tempo di cazzeggio.
La Krall aveva un buonissimo gruppo, su tutti uno spettacolare Russell Malone alla chitarra, e impressionava più come pianista che come cantante. Impensabile prevedere che quella ragazza timida e garbata nel giro di pochi anni sarebbe diventata una pop star.
Cosi’ la pensa anche Dee Dee Bridgewater che su Diana si è espressa sinceramente: ”Penso che sia la spina nel fianco delle cantanti jazz [...] e non è una sua colpa. [...] abbiamo la stessa casa discografica e con il suo aiuto è stata capace di oltrepassare il jazz e diventare una pop jazz singer [...] non credo che sia al livello di Dianne Reeves o al mio come cantante, ma io non sono al suo livello come pianista…“.
Da allora si sono succeduti numerosi album, alcuni interessanti e piacevoli, altri semplici fotocopie giusto per rimpinguare il già sostanzioso conto in banca grazie ad una spregiudicata politica di marketing e alla gonzaggine degli acquirenti.
L’ultimo album, questo Wallflowers, si distanzia dalla produzione precedente per alcune caratteristiche imprescindibili: innanzitutto si compone di ben 16 brani ma è fisiologicamente impossibile superare il settimo senza almeno una crisi violenta di narcolessia con conseguente slogatura della mascella per eccesso di sbadiglio.
Già questo motivo, unito ad una monotonicità di atmosfere, è stato sufficiente a far balzare l’album ai primi posti delle classifiche di vendita “jazz” (jazz ???). Notevole per mancanza di originalità poi è la scelta del repertorio: canzoni pop dagli anni 70 ad oggi, con un solo inedito per la penna di Paul Mc Cartney.
Non avrei mai pensato di rimpiangere i Mamas and Papas, ma qui accade proprio questo: versioni porno-soft (in senso strettamente musicale, ma allargherei la possibilità a produttori cinematografici del settore all’utilizzo di perfette colonne sonore adatte alla causa) con lunghe e terrificanti tirate di archi, rallentamento dei tempi e sbadigli assortiti che, mentre impediscono la comprensione ed il senso di un simile prodotto, pare ne amplifichino le vendite a migliaia di inconsapevoli ascoltatori convinti di sentire il meglio del jazz vocale e non solo, in circolazione.
Che dire, Krall e i suoi produttori si stanno assicurando una vecchiaia dorata, per noi appassionati di musica è tempo di mettere una pietra sopra a tutta una fascia di produzione “jazz”, che regolarmente occupa le prime posizioni di classifiche di vendita ma che non è ne onesta ne sincera.
Quindi, almeno sul mio spazio web, da oggi non più violaciocca (wallflower) ma rosa bianca, simbolo del silenzio su tutto ciò che è business e non arte.
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