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Mondo Jazz

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APPUNTI DI VIAGGIO

Post n°1736 pubblicato il 18 Gennaio 2011 da pierrde

Sono due anni che non vivo l'avventura di un grande viaggio. L'ultima volta è stato nel sud-est asiatico, da dove sono appena tornati una coppia di amici che hanno ripercorso grosso modo le stesse tappe nostre, compresa la visita ai comuni amici che vivono ad Hanoi.

Di questa esperienza avevo parlato solo indirettamente sul blog, ma il carico di immagini e ricordi portati dagli amici mi hanno fatto riprendere gli appunti scritti allora. Per rimanere nel tema di questo blog posso dire che, essendo primario il turismo americano in Vietnam, è possibile ascoltare jazz a Saigon e anche relativamente facile trovare compact, tra cui naturalmente quelli di Nguyen Le, chitarrista di grande valore e di residenza e passaporto parigino.

Più o meno lo stesso accade a Kuala Lumpur, dove pure ci sono festival e rassegne e la società è occidentalizzata, mentre la Cambogia è ancora troppo povera e dilaniata per uscire dai propri fantasmi. Questo però non esclude la possibilità di ascoltare praticamente ovunque la musica locale, suonata dove il turista o il viaggiatore non possono fare a meno di passare e, almeno i più sensibili, di lasciare un piccolo tributo. La maggior parte delle orchestrine suona all'aperto, in prossimità dei siti archeologici, ed è composta per lo più da invalidi e mutilati di guerra.

 

Vietnam, Cambogia, Malesia: tre paesi molto differenti, con caratteristiche proprie e affinità tipicamente orientali. Per tutta la mia generazione il Vietnam ha avuto un significato politico molto forte, e visitare il paese oggi, dopo più di trent'anni dalla riunificazione è spiazzante. L'età media è di trentacinque anni, quindi la grande maggioranza degli abitanti non ha vissuto la guerra, eppure tutta la nazione è carica di memorie e, contemporaneamente, alla ossessiva ricerca del modello di vita occidentale. Nonostante si tratti di una nazione in forte espansione economica, la vita quotidiana è ancora scandita da tempi più contadini che urbani; si cucina e si mangia, si vive e si dorme, ci si lava e ci si incontra sopratutto sul marciapiede. Le condizioni igieniche sono precarie e il forte sviluppo industriale e tecnologico non è affatto accompagnato da una parallela attenzione per l'ecologia e l'ambiente con tutte le immaginabili conseguenze di inquinamento e degrado. Il traffico, incredibile ai nostri occhi, è l'emblema del paese: sciami di motorini assediano le città a tutte le ore e in tutte le condizioni metereologiche. Ho visto motorini trasportare famiglie intere, mobili, animali e merci per il mercato: uno spettacolo nello spettacolo. La baia di Halong è giustamente considerata come una delle meraviglie naturali del mondo: l’abbiamo scoperta in una giornata soleggiata ma densa di foschie con un lungo percorso in motobarca. Spuntoni appuntiti di roccia coperti di vegetazione tropicale formano un complesso di scogli e di isole di fascino ed impatto visivo fulminante. Come efficacemente racconta il nome vietnamita, Halong, la baia sembra far emergere dal mare solo parte della corazza dorsale irta e aguzza di un drago.

 

A Huè, città imperiale nel centro del paese, siamo incappati nello straripamento del fiume che attraversa il centro antico, uscendo dal ristorante solo dalla porta posteriore, perchè nel frattempo l'acqua aveva sommerso la strada principale. Abbiamo assaggiato le piogge monsoniche, bagnandoci fino ai calzini, ma fortunatamente dopo poco il sole tornava ad asciugarci. Cosi' abbiamo potuto ammirare le montagne di marmo di Hoi An, un complesso di templi buddisti, grotte e picchi montani con vista sul mare della Cina. Visita importante per ritemprare lo spirito grazie all'atmosfera di pace e per la bellezza del posto. La risalita del Fiume dei Profumi invece è diventata ardua per la forte pioggia che ci ha ostacolato ad ogni discesa dalla imbarcazione. Sono uscito dal più importante tempio posto sull’estuario fradicio e infagottato in un inutile ed ingombrante telo impermeabile.

Mentre Hanoi è una città ancora di impronta campagnola, Saigon è una metropoli con aspirazioni occidentali, dove solo le baraccopoli ti ricordano le contraddizioni dello sviluppo economico liberista in uno stato "comunista". Presenza quasi invisibile quella della nomenclatura, ma certo nulla si muove senza l'assenso del partito. Fatto confermato anche dagli amici italiani che vivono ad Hanoi e che si trovano a fare i conti con la censura ad ogni iniziativa culturale. La scoperta dei cunicoli sotterranei che dal sentiero di Ho Chi Min portano fin dentro la città, unitamente alla visita al Museo della Guerra riportano la memoria di noi occidentali agli orrori e alle sofferenze del conflitto che ha segnato il paese prima della riunificazione. La propaganda è ovviamente a senso unico, ma le foto crudeli e devastanti impongono un rispettoso silenzio ed una atmosfera di raccoglimento. Nella Città di Ho Chi Min le strade della moda convivono con i ricordi coloniali e le abitudini locali. Ma la vera scoperta è stata la visita in barca sul delta del Mekong: poche ore ma bastevoli per apprezzare la natura rigogliosa e l'ingegno dei locali nell’arte della sopravvivenza . Il ricordo che mi porto nella mente è sicuramente quello delle donne vietnamite: un concentrato affascinante di grazia e bellezza difficile da dimenticare. Lungo i paesi del delta lo spettacolo è costituito non solo dalla natura rigogliosa ma anche dalle numerosissime ragazze in bicicletta tutte vestite con l'abito tradizionale, pantalone e giacca lunga con spacchi laterali. Viste sia di fronte che da dietro, lo svolazzare al vento dei lembi del vestito ricorda le ali di una farfalla.

Se per percorrere i 130 km da Hanoi alla baia di Ha Long ci vogliono tre ore e mezza in Cambogia le strade hanno una caratteristica ancora peggiore: fuori dai luoghi frequentati dai turisti e dalla arteria principale che porta da Pnom Phen a Saigon, gli incontri indesiderabili sono possibili e la sicurezza non è garantita. Il paese è ancora visibilmente lacerato e devastato dalle guerre e dalla conseguente povertà, e questo a discapito di una etnia di animo gentile e accogliente. L'impressione davanti alla situazione di estrema miseria in cui versa buona parte della popolazione è però singolare: da tutti emana una serenità ed una accettazione quasi inspiegabili per una cultura occidentale cosi' impregnata di materialismo e di spiritualità superficiale. Le condizioni di vita sono di estrema poverta', vissuta con dignita' e flemma orientale. In fondo qui il turismo porta da vivere, anche se inevitabilmente corrompe i valori e le tradizioni locali, e per questo motivo, ogni volta che ci si ferma in un villaggio nella foresta, davanti alla loro povertà materiale la sensazione di vergogna mi pervade e non vedo l'ora di andarmene. Un dato raccontatoci dalla guida ci fa riflettere : poco meno di dieci anni fa gli hotel internazionali a Siam Rep erano quattro. Ora tra guest house, pensioni, hotel e resort di lusso siamo arrivati a cento. E’ però sufficiente uscire dal quadrilatero di enormi strade dove gli hotel sono allineati e percorrere qualsiasi stradina, ed in poche centinaia di metri si sbuca nel nulla della giungla.

 

 

Per me la Cambogia ha rappresentato l'apice emotivo del viaggio: davanti alla rilassata e sorridente popolazione, la prodigiosa natura tropicale è parsa quasi un bilanciamento naturale, il giusto sipario per raccontare una terra tormentata e meravigliosa. L'area archeologica di Angkor è di bellezza stordente: accanto agli incredibili templi costruiti dall'uomo gli archeologi, intelligentemente, hanno lasciato una parte delle costruzioni della cultura khmer cosi' come li hanno trovati, abbracciati e soffocati dalla giungla . L'opera dell'uomo a confronto con quella della natura, che alla fine riesce a prevalere. Quasi un monito lasciato a noi contemporanei. La vista dall’alto del complesso archeologico grazie al in giro con la mongolfiera è di fascino assoluto: si comprende la vastità dell’area e la suggestione della natura. Mentre visitavo Angkor Vat nella mente prepotentemente mi risuonava il tema di Jumeji ad opera di Shigeru Umebayashi, parte della colonna sonora di quel meraviglioso ed amaro film che è In the mood for love. E tali erano i sentimenti che mi pervadevano durante il percorso: stupore, malinconia, ammirazione. Nell'aria l'urlo lancinante delle cicale e variegati richiami di uccelli. Potessi tornare, tornerei ad Angkor Wat, possibilmente all'alba per evitare le orde di turisti giapponesi assatanati di fotografie ricordo. L’incontro, rimandato dalle visite ai complessi archeologici, infine avviene: Pol Pot è un nome che ancora incute timore e la nostra guida riesce a parlarne in toni quasi neutri, perfino davanti ad una enorme teca che, all’esterno di un tempio buddista, raccoglie ossa e teschi, vestigia della follia umana. Solo alla fine, visibilmente provato, il ragazzo che parla uno stentato italiano imparato con ferrea volontà in un corso serale si lascia andare per un momento e ci domanda : “dove erano i paesi occidentali allora ?” Domanda che cade nel vuoto di un silenzio imbarazzato.

 

Kuala Lumpur è una metropoli di sapore occidentale, pulita e ordinata e assediata dal traffico a tutte le ore. Lo stupore più grande è dato dal clima assolutamente pacifico che permea la vita di tutti i giorni, cosi' diverso dalle tensioni palpabili che attanagliano le nostre città. In Malesia convivono pacificamente più etnie, cinese, indiana, malese, e più religioni, buddista, islamica, cattolica, senza conflitto apparente. Pensando ai pregiudizi tipici di casa nostra mi viene spontanea una riflessione: la città ha due milioni di abitanti, eppure ha un livello di pulizia impensabile a Milano, si può girare a qualsiasi ora di giorno e di notte, la popolazione è cortese e affabile verso gli occidentali, ma allora, non sarà che siamo noi quelli con gli anelli al naso ? Spettacolare la vista delle torri gemelle Petronas illuminate, goduriosissimo il banchetto nel ristorante girevole sulla Menara Tower, a 270 metri di altezza., mentre fuori imperversa una furibonda tempesta monsonica. Una lunga sgroppata con il bus ci porta a Malacca, attraversando infinite piantagioni di palma da olio. La ex colonia portoghese si rivela una vecchia cittadina carica di storia dove ancora oggi il commercio fa la parte del leone, ma ciononostante avrei rinunciato a questi ultimi giorni a Kuala per avere più tempo per approfondire la conoscenza di Hanoi e di Siam Reap. Le tre nazioni sono molto diverse tra loro, hanno paesaggi, lingue, storie e livelli di sviluppo differenti ma sono accomunate da una comune caratteristica orientale, la cortesia ed il sorriso. Valori semplici, ma da noi ormai merce rara.

 

 
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