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COME MILES DAVIS HA INFLUENZATO L'AMERICA DI OGGI

Post n°1386 pubblicato il 07 Dicembre 2009 da pierrde
 

Su Venerdi' di Repubblica del 4 dicembre Claudio Strinati scrive un breve articolo collegando l'ascesa di Obama alla figura e alla influenza di Miles. Ecco alcuni passaggi dello scritto:


"La grande cultura afro-americana, che il presidente rappresenta, trovò un momento di grande maturità sul piano della musica jazz e si può sostenere la tesi che proprio una cinquantina di anni fa il momento della prima maturità di Miles Davis abbia fissato i parametri su cui si muovono adesso molte delle linee politiche della nuova America, che chiede di essere ancora guida e esempio al resto del mondo. Miles Davis è stato grande sopratutto per la sua carismatica capacità di definire linee guida che impresse a chi gravitò nella sua cerchia.
Risentendo Milestones si avverte un linguaggio secco, asciutto, che cassa completamente l'ansia travolgente di Parker e ne rovescia la lezione nell'idea dell'economicità del mezzo espressivo contro il flusso ininterrotto e prorompente. Se Charlie Parker può essere accostato al dripping di Jackson Pollock, Davis sembra nutrirsi di una ben diversa lezione che si avvale di spontaneità e sicurezza, tipiche della solenne dottrina del più eletto ambiente afroamericano. Si creava l'idea di un cenacolo di sapienti nel principio dell'esercizio sacerdotale dell'arte che crea uno strumento di valido riconoscimento verso l'ideale comune." 

Ho letto più volte lo scritto per coglierne l'essenza, ma, con tutto il rispetto, non mi riesce di entrare in sintonia con quanto espresso. Al contrario, ne vedo solo le incongruenze e le forzature. Lontana qualsiasi tentazione polemica, ripropongo l'articolo quasi per intero e lascio che ognuno faccia le proprie considerazioni in merito. 

 
Rispondi al commento:
pierrde
pierrde il 08/12/09 alle 22:00 via WEB
Le mie perplessità nascono da molti fattori: il linguaggio usato, innanzitutto, definito oscuro e fumoso da Gianni e da Sergio. Anch’io lo trovo poco comprensibile e inutilmente pomposo, vista anche la collocazione del pezzo su un settimanale “generalista”. Non conosco l’autore, da una breve ricerca in rete ricavo, se non sbaglio per omonimia, che si tratta di un "soprintendente da decenni per mestiere, storico della cultura e delle arti, critico musicale, capace come pochi di divulgazione di qualità". A questo punto gli ottusi diventano due, visto che anch’io come Sergio ho dubbi sulla qualità della divulgazione, perlomeno in questo articolo. Mi pare forzata l’associazione di Obama alle istanze davisiane "su cui si muovono adesso molte delle linee politiche della nuova America, che chiede di essere ancora guida e esempio al resto del mondo". Mi pare comunque problematico ricondurre il pensiero , l’estetica, l’arte di Miles all’interno di canoni di politica americana. Obama e Davis si sono forgiati nello stesso crogiuolo ? Fino ad un certo punto, come esaurientemente fa notare Gianni. Ne deriva che il presidente non è un diretto discendente della cultura afro-americana, men che meno dell’estetica davisiana. L’accostamento Parker-Davis non è posto correttamente, almeno a mio parere. Parker ha vissuto la meta’ degli anni di Davis, nessuno può sapere cosa avrebbe fatto musicalmente se invece avesse avuto una vita più lunga. Cosa che invece è accaduta a Miles, che grazie a ciò ha potuto elaborare più svolte artistiche nel corso di una prolifica carriera musicale, senza poi dimenticare l’enorme influenza che Parker esercitò su tutti i jazzisti di quel periodo, Miles compreso. Indubbio che Davis ha dato prospettive diverse rispetto al bop, e che ha creato un “cenacolo” di musicisti, difficile però capire con precisione cosa si intenda per "sapienti nel principio dell'esercizio sacerdotale dell'arte" Non entro infine nei paragoni tra diverse forme d’arte, comunque legittimi , che gli interventi precedenti hanno elaborato in maniera esaustiva
 
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