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Mondo Jazz

Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.

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C'E' POSTA.....E POI SI TIRANO LE FILA SUL JAZZ ITALIANO

Post n°1412 pubblicato il 12 Gennaio 2010 da pierrde
 

Ricevo una mail interessante da Lucio, un appassionato con poca dimestichezza con i meccanismi di un blog. Ne riporto quindi il contenuto:


dopo aver selezionato: blog appassionati jazz 
contemporaneo, è uscita la sua pagina. e così mi sono letto tutta una 
serie di opinioni incentrate esclusivamente sul panorama italiano in 
riferimento all'annuale referendum presumo di musica jazz. Volevo vedere 
se potevano esserci altri appassionati altrettanto interessati e 
conoscere le loro opinioni così sui generis. Spezzando una lancia su un 
panorama più internazionale che mi sembra totalmente assente nelle 
vostre dichiarazioni. sfortunatamente sono totalmente ignorante sui 
blog, non ho idea su come inserirmi nel vostro dibattito, così le mando 
questa e-mail. . Io ho qualche anno più di lei ma sin dagli ultimi anni 
sessanta, allora 18enne il mio interesse è sempre stato attratto dalla 
scena internazionale ed europea. dove i musicisti italiani sono sempre 
stati inesorabilmente assenti soprattutto per la loro incapacità a 
proporsi e a confrontarsi con le nuove sonorità emergenti in quel 
decennio. ho tentato di scardinare la situazione italiana che si è 
mostrata completamente refrattaria a qualsiasi apertura. la mia 
opinione? c'è una omertà mafiosa da regimi dell'est blocco sovietico. 
media, promoter, radio, organizzazioni, tutte protese a chiudere 
ermeticamente ogni apertura possibile. forse per una loro totale 
ignoranza di ciò che succede oltre i confini nazionali. forse la 
conservazione di uno status di appartenenza. ad escludendum. basta dare 
un'occhiata ai concerti ed ai musicisti invitati nei vari festival 
italiani. nullità impressionanti. umbria jazz è alla base di tale 
situazione. come pure siena, coi suoi corsi antistorici. se perfino i 
maestri ne ignorano l'esistenza come si può presumere che gli allievi lo 
conoscano? da dove partire? purtroppo da lontano. dagli anni sessanta. 
quegli anni sono stati uno spartiacque tra un jazz alla fine e una nuova 
oggettività che in quegli stessi anni si proponeva alla platea più 
aperta. il jazz è una musica secolare. la stessa parola non è più 
sufficiente a darne un significato compiuto. nonostante io sia 
refrattario a etichettare un genere o un aspetto, purtroppo non se ne 
può fare a meno. il jazz modale era al canto del cigno, il free jazz 
stava proiettando tutte le potenzialità che lo avrebbero caratterizzato 
nei decenni successivi. in breve Davis e Coltrane erano il vecchio, 
Coleman Taylor Ayler il nuovo che stava emergendo. il free jazz la free 
music la new thing ancora tanto osteggiata negli usa, trovava platee e 
occasioni di lavoro proprio nella vecchi europa. dove? non certo in 
italia? soprattutto in scandinavia, danimarca, olanda, germania. non a 
caso proprio in questi paesi nacque e si sviluppò l'unico movimento 
europeo di tale nome e di tale importanza. a cui si aggiunse 
l'inghilterra con una propria rivoluzione operata soprattutto 
dall'indimenticabile john stevens e dal suo entourage. free jazz, free 
music, free & improvised music, free improvisation, instant composition, 
group improvisation, le definizioni emergenti. altri paesi europei 
vennero coinvolti: l'austria, la svizzera, anche il belgio. uniche 
eccezzioni francia e italia. e nonostante quest'ultima avesse ospitato 
concerti di quei musicisti rivoluzionari. da li parte l'isolamento che 
tuttora continua. ma non è un mio problema. quei paesi videro per primi 
in europa i nuovi musicisti, appunto coleman, ayler, brown, cherry, 
murray, peacock, isenzon, bley, shepp, lyons, tchicai, le avanguardie 
del nuovo verbo. fu poi la volta di parigi, ad ospitare tutta una serie 
di concerti di questi e altri innovatori. la scena di chicago trasferita 
in blocco. tutti documentati dall'etichetta byg - actuel. ricordiamo 
anche circle. tutto questo germinare fecondo produsse i vari brotzmann, 
kowald, schweizer, favre, bailey, parker, bennink, breuker, johansson, 
schlippenbach, hampel, van hove, oxley, stevens, tutto ebbe origine da 
lì. e si diffuse per l'europa intera. pure la francia rimase esclusa da 
questo contesto. sviluppò unicamente un linguaggio smaccatamente copia 
dell'esperienza americana, mai autenticamente autonomo. se si esclude a 
metà settanta l'workshop de lyon e il collettivo che lo supportava. 
negli stessi anni si aggiunse la svezia. quando nei primi anni novanta 
chicago emerse prepotentemente soprattutto per merito di musicisti 
bianchi, il nume tutelare Ken Vandermark non ebbe difficoltà ad 
ammettere che la nuova onda era debitrice della free music europea. 
soprattutto brotzmann e kowald erano i referenti. dopo di allora 
cominciarono gli scambi più proficui con la nuova realtà europea più 
interessante, la norvegia, che assieme alla svezia dei gustafsson, 
sandell, strid si aggiungeva al novero degli innovatori. nel 2000 nel 
suo referendum downbeat consacrò evan parker musicista dell'anno. ebbene 
negli stessi anni girava in solo suonando per l'italia in piccoli ambiti 
quasi amatoriali. per pochi soldi e pochi avventori. incredibile!!!!!!!! 
e vergognoso.|!!!!! negli anni novanta il vancouver jazz festival 
presentava anno dopo anno tutta la scena europea più innovativa e 
rivoluzionaria. col nuovo millennio si affacciarono pure la spagna e il 
portogallo. una delle etichette più prolifiche ed interessanti è appunto 
portoghese. per capirci la black saint nostrana degli anni settanta. non 
è mai esistito un free jazz italiano. stroncato di netto sul nascere. e 
mi sembra che gli appassionati non ne abbiano mai sentita l'esigenza. 
voi stessi vi arrovellate su rava, una prima donna senza arte ne parte. 
fresu, bollani altri prime donne da passerelle demodè. tra il '74 e 
l''80 / '81, il festival di pisa si poneva come l'unica occasione per 
gli appassionati più avveduti di poter ascoltare quelle nuove sonorità. 
ma già in quegli anni un certo luca cerchiari mostrava insofferenza e 
osteggiava apertamente qualunque concerto al grido: non se ne può più. 
vedo con rammarico che un tale soggetto ha fatto carriera. non è un mio 
problema. naturalmente la mia storia partita da così lontano ha 
coltivato propri favourites, tuttora inarrivabili. quando assolutamente 
sconosciuti ai più.
Schlippenbach/Parker/Lovens trio, Howard Riley trio, Spontaneous Music 
Ensemble, Anthony Braxton 4tet, Parker/Guy/Lytton, Gerry Hemingway 4tet 
/ 5tet, Gush, Graewe/Reijseger/Hemingway trio, International Front, 
Drake/Kessler/Vandermark. naturalmente ci sono incisioni superlative 
troppe da menzionare. forse ce ne sarà occasione prossimamente. 
recentemente mi sono imbattuto in una nuova realtà. francese. come 
sempre mi sono gettato entusiasta. e sono in contatto. il verbo? free 
jazz / improvvisazione. il linguaggio comune. come comuni la platea 
continentale. Free Unfold trio, Guerineau/Rogers/Lasserre, the Fish ( 
guionnet/duboc/perraud ), Bennani/Duboc/Perraud trio, 
Lasserre/Duboc/Guionnet trio. Periferia di Francia. incisioni download 
musica + cartaceo. incredibile.
Lascio.

*Free Improvising** has been in our midst for some 40 years now, ever 
since Ornette Coleman arrived on the scene with his personal take on 
jazz music:* *FREE JAZZ*.
(*Barre PHILIPS*)

*Is What You Play Jazz*? Una problematicità che per costoro non si pone.

" *a stringent and meaningful complexity in improvised music is 
sometimes obtained through graphic scorse, harmonic predeterminations, 
and conceptual systems of rules and sighs -- as in Cecil Taylor's 
classical unit concepts. *To name but one better-known example. "

La " *contemporary* *european free music* ". Una breve seppure esaustiva 
lista di europei.

Evan Parker, Barry Guy, Paul Lytton, Tony Bevan, Howard Riley, Keith 
Tippett, John Edwards, Mark Sanders, John Russell, John Butcher, Roger 
Turner, Alex Ward, Alexander Hawkins, *UK*, Sten Sandell, David 
Stackenas, Mats Gustafsson, Raymond Strid, Martin Kuchen, Kiell 
Nordeson, Christen Bothen, Johan Berthling, Matthias Bauer, Sven-Ake 
Johansson, Magnus Broo, Havard Wiik, Fredrik Ljungkvist, Sture Ericson, 
Per-Ake Holmlander, Arne Forsen, Ulf Akerhielm, *Svezia*, Agustì 
Fernandez, Ramon Lopez, *Spagna*, Paal Nilssen-Love, Ingebrikt 
Haken-Flaten, Hakon Kornstad, Ingar Zach, Ivar Grydeland, Tonny Kluften 
*Norvegia*; Alex Donner, George Graewe, Paul Lovens, Peter Brotzmann, 
Wolfgang Fuchs, Burkhard Beins, Martin Pfleiderer, Michael Renkel, Frank 
Gratkoski, Dieter Manderscheid, Achim Kaufmann, Martin Blume, Stefan 
Keune, *Germania*, Fred VanHove, Peter Jacquemyn, Andrè Goudbeek, Luc 
Houtkamp, Ivo Vander Borghi, *Belgio*, Wolter Wierbos, Wilbert De Joode, 
Michael Vatcher, Guus Janssen, Ab Baars, Tobias Delius, Michiel Braan, 
Eric Boeren, Michael Moore, *Olanda*, Carlos Bechegas, Rodrigo Amado, 
Pedro Goncalves, Bruno Pedroso, Hernani Faustino, Gabriel Ferrandini, 
*Portogallo*.

aggiungo anche una panoramica oltre oceano. * *

Solo per restare in ambito afro-americano, citiamo un breve elenco di 
protagonisti tra i più creativi: Matthew Shipp, Rob Brown, Joe Morris, 
Whit Dickey, William Parker, Craig Taborn, Gerald Cleaver, Gary Hassay, 
Tim Berne, Mark Helias, Andrew Baker, Charles Waters, Seth Misterka, 
area *NYC*; Jim Baker, Dave Rempis, Jeb Bishop, Jason Ajemian, Aram 
Shelton, Jason Roebke, Todd Margasak, Rob Mazurek, area *Chicago*; Wally 
Shoup, Reuben Radding, Brent Arnold, Bob Rees, Greg Campbell, Daniel 
Carter, Gust Burns area *Seattle*.

Senza dimenticare la *California* dei vari Alan Lechusza, Christopehr 
Adler, Mark Weaver, Harris Eisenstadt, Damon Smith, Jerome Bryerton, 
Paul Hartsaw, Aaron Bennet, Weasel Walter. *Boston* e il *New Englang*, 
con James Rohr, John McLellan, John Turner, Nate McBride, Curt Newton, 
Pandelis Karayorgis, Charlie Kohlhase, Matt Turner.

E la sparuta pattuglia dei COLD BLEAK HEART di Paul Flaherty con Chris 
Corsano, Matt Heynes, Greg Kelley, Steve Baczkowski.

Ma soprattutto le giovani voci guida del panorama improvvisativo. *Matt 
Bauder*, *Zach Wallace*, *Aaron Siegel*, paritetiche nel *A. Braxton* /* 
M. Bauder 4tet*, così come *Reuben Radding*, *Jeff Arnal*, *Seth 
Misterka*, *Nate Wooley*, *Nate Drury*, col loro collettivo TRANSIT.

Omettendo intenzionalmente di menzionare la personalità più carismatica 
e più importante della scena creative nord-americana, *Ken Vandermark*, 
per la cui opera compositiva è stato insignito dalla Mc Arthur Foundation.

Saluti. Lucio

 
Rispondi al commento:
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 17/01/10 alle 13:13 via WEB
Vergognoso che Evan Parker suoni davanti a nessuno? Può essere, ma io trovo più vergognoso ben altro, ossia che ormai del jazz oggi si ritagli una cartolina legata appunto alle esigenze modaiole del momento cui anche Gianni faceva riferimento. Condivido tra l'altro l'opinione di Gianni sulla musica improvvisata europea (mi pare che definirla jazz sia un po' troppo, ma non è un problema di definizioni, chiamatela un po' come vi pare e io non avendo coinvolgimenti professionali, più che perplessità dico semplicemente che quella musica non è di alcun mio interesse se non puramente informativo) e trovo assolutamente possibile e spiegabile che Evan Parker si esibisca davanti a pochi intimi, visto il grado di comunicabilità della sua musica ,tendente a zero o comunque rivolto chiaramente a ristrettissime élite. Il jazz non è nato né si è sviluppato ai fini di rivolgersi a precise élite intellettuali, concezione tipicamente europea della musica e che gratifica forse l'ego di quei quattro europei apparteneti a tali supposte élite. In questo senso merita più riconoscimento anche come apporto musicale ed artistico al jazz l'opera di un Ray Charles, di uno Stevie Wonder o di una Aretha Franklin che quello dovuto a Evan Parker, indipendentemente dai referundum vinti o meno nel settore che contano una "cippa lippa" per quel che mi riguarda. Fra un secolo ci sarà più probabilità di ricordare Louis Armstrong e Duke Ellington o Evan Parker e sodali europei? Non ho particolari dubbi. Voi sì? Mi spiace. Vergognoso è semmai che oggi si organizzi un concerto di Yusef Lateef, grandissimo jazzista e non vada nessuno a vederlo, piuttosto che a quelli di Evan Parker, con tutto il rispetto dovuto al musicista, alla sua onestà intellettuale e alla sua integrità artistica, sia chiaro. In sintesi, per quel che mi riguarda, al jazz europeo si continua a dare un'enfasi eccessiva rispetto al reale contributo musicale ed artistico, senza alcun riscontro storico, artistico e di pubblico.
 
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