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VIAGGIO IN ITALIA

Post n°2239 pubblicato il 27 Aprile 2012 da pierrde

Una fotografia dello stato attuale del jazz italiano, analizzato attraverso le sue componenti, è quella che traccia Alceste Ayroldi su Andymag.com. 

Per chi minimamente è all'interno della vicenda nulla di particolrmente nuovo, ma comunque sia lettura interessante e stimolante. Propongo le conclusioni di Ayroldi rimandando al link del testo completo:

Il jazz system italiano c’è, con le sue manchevolezze, con i suoi fraintendimenti e con le sue storie necessariamente legate alla politica e all’evoluzione dei tempi. Gli italiani il jazz lo sanno fare, alla pari di tanti altri e, alcune volte, anche meglio. Le case discografiche si danno un gran da fare, i manager altrettanto, così come gli uffici stampa, invece il mondo mediatico legato al jazz si muove ancora con il respiro grosso, mentre il web si scatena, forse anche troppo. Saltuariamente se ne parla su qualche rivista, inserto di qualche quotidiano, spesso per fare cenno, però, ai soliti noti italiani o stranieri.

Un punto fermo sono le poche riviste specializzate: Musica Jazz e Jazzit, alle quali in passato se ne affiancavano altre che hanno dovuto gettare la spugna. Troppo poco per dare voce ad una musica ancora nascosta, bistrattata, ritenuta difficile dai più, snobbata o trattata con aria di sufficienza dagli amanti della musica classica. Eccoci quindi di fronte a un sistema piuttosto articolato e, per ogni settore, ben armato. Sarebbe bello far funzionare i vari componenti come un meccanismo, coordinare alcune attività, unire gli sforzi per poter raggiungere dei risultati condivisi da tutti, anche economicamente.

Sfoderare le spade non per incrociarle in una guerra fratricida, ma per convincere le istituzioni (che spesso non hanno neanche contezza del jazz, salvo pensare allo swingettino da balera), i privati e anche il pubblico che il jazz fatto dagli italiani esiste, è di buona fattura, ricco di creatività, che esistono ottime scuole, ottimi management, eccellenti uffici stampa e valenti organizzatori e che tutto questo – sembrerà strano dirlo di questi tempi – può creare posti di lavoro, rendere felice anche economicamente un bel po’ di gente, creare cultura vera ed essere esportato all’estero. A bocce ferme, questo scenario potrebbe sembrare l’iperuranio platonico. Ma siamo sicuri che ciò non sia possibile?

http://www.andymag.com/rubriche/radiografie-contemporanee/1598-alceste-ayroldi.html

 
Rispondi al commento:
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 28/04/12 alle 13:19 via WEB
Insomma, un settore perfetto in cui tutto gira alla perfezione. Una specie di isola felice nel mare magnum delle schifezze immorali tutte italiche che si scoprono ogni giorno in ogni settore... Lo dico francamente e da seccato: di articoli sponsorizzatori del "jazz italiano" di questo genere non se ne può più e tra l'altro per dimostrare la forza del Jazz italiano in fondo ne rivelano una sostanziale debolezza. Che bisogno c'è di continuare a menarla su quando siamo un paese di grandi jazzisti? Se è vero sarà il tempo a dirlo, ma lasciamolo dire agli altri. C'è un detto bergamsco che dice in vernacolo: "Chi g'ha mia antadur i se anta de per lur", ossia chi non ha ammiratori si vanta da solo. Magica saggezza popolare... Chiariamo bene: un appassionato autentico del jazz semmai dovrebbe fare una campagna per il jazz tout court, invece, al solito, assistiamo alla solita propoganda autarchica, un po' lamentosa e ormai anacronistica, che tenta di dipingere un mondo italico intorno al jazz sempre più fantasioso e che tenta di vendere a un pubblico, ritenuto forse a ragione, sempre più sprovveduto, quanto siamo belli e quanto siamo bravi. Nella mia discoteca francamente il jazz italiano occupa ancora un posto marginale, comunque non di primo piano e sfido qualunque appassionato autentico a sostenere il contrario per la propria di discoteca. Di questa pseudoinformazione jazzistica nazionale, e sono generoso, sempre tutta protesa verso il "tricolore", non se ne può più. Voglio della informazione vera, autentica, appassionata che parla di tutto e di tutti indistintamente senza steccati politici, geografici e razziali, perché il jazz è sempre sarà una musica a valenza universale, non nazionale. Altrimenti dopo la Padania mi aspetto qualcuno che proponga Jazzlandia Padana, bergamasca bresciana e suoni il sassofono con la spada di Alberto da Giussano e le corna sul copricapo. Francamente ormai mi pare si sfiori il ridicolo e il bello che non ce se ne rende conto. Un po' come i ns politici inverecondi che sostengono dal loro pulpito autocostruito su un'etica sempre più sbilenca che Grillo è l'antipolitica. Mi pare che in Italia non si vendano più vergognometri...
 
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