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ASCOLTATORI "TRANQUILLIZZATI"

Post n°2415 pubblicato il 05 Ottobre 2012 da pierrde

Q

Quando si ascolta o si parla di Keith Jarrett, ossia del monumento all’arte pianistica, bisogna sottolineare che mai nessun pianista nella storia del jazz già all’età di 31 anni aveva ricevuto dalla critica (senza non tante polemiche) l’appellativo di “narcistico”, che si ritiene gli fu attribuito inizialmente dal suo produttore.

Le manie, le paranoie alquanto “snob” ed anche quell’antipatico modo di porsi, contribuiscono a rendere grande ed alimentare la leggenda di questo che definirei uno dei giganti della musica jazz moderna che ormai da più di quindici anni sta disseminando molteplici successi lasciando intravedere, quasi esclusivamente agli occhi delle persone più esperte, il suo talento.

Personalmente considero Keith Jarrett un grande maestro che non vuole e non ha nessuna intenzione di socializzare con la gente comune mantenendosi a distanza (al contrario di molti) e dalla quale non vorrebbe neanche farsi guardare, figuriamoci “dialogare” oppure farsi toccare. Il suo dialogo è con il pianoforte che rimane (a tutti gli effetti) l’unico ed esclusivo modo di esprimesi.

Quello che lo contraddistingue dai tanti è la sua tecnica d’improvvisazione pianistica che abbraccia, oltre al jazz, diversi generi musicali (classica, blues e musica etnica) e, senza dilungarci a parlare della “crescita” artistica di Keith (o delle vicende personali) vorrei che l’attenzione del lettore sia concentrata sulle vere e proprie galoppate pianistiche, che tengono incollati l’ascoltatore alla realizzazione di “fantasie” che nulla hanno a che fare con altre melodie, con altri ritmi.

Un artista che è talmente attento al tipo d’ambiente (acustica) in cui deve esibirsi che, se non in perfetta armonia con i suoi gusti, si rifiuta categoricamente di suonare! Non vuole che nessuno tocchi il suo pianoforte e, personalmente, ne esegue l’accordatura! Manie di perfezione? Non vedremo mai Jarrett suonare il pianoforte in un palasport oppure in un ambiente con scarsa acustica!

Pertanto, solo un “selezionato” pubblico potrà accedere alle sue esibizioni dal vivo il tutto a discapito dei grandi numeri e della gente comune. Passando all’analisi di The Köln Concert si può ascoltare (e vi invito a notare) un Jarrett concentratissimo con le sue tipiche melodizzazioni che hanno risvolti incantatori ed a volte da rapsodia. Il fraseggio dei suoi arpeggi mi ricordano per certi aspetti quelli di una chitarra con un ricorso quali all’ostinazione che propone (comunque) un fascino tutto “jarrettiano” per me incandescente e pronto ad esplodere all’improvviso quando non te lo aspetti.

A volte sembra di essere in una scorribanda quasi martellante ma poi tutto tende ad addolcirsi per riproporre quel ritmo e quella melodia che rendono i brani di una magia da “mille ed una notte”. Si riconosce il tocco del pianista esperto che vuole ammaliare l’ascoltatore, conquistarlo, emozionarlo e stupirlo allo stesso tempo con pianissimi e clamorose fortissime incursioni che altri non rivelano il Keith Jarrett pianista con pochi rivali! Di musica classica non ho una grande esperienza ma questo Jarrett, a mio avviso e per molti versi tende a penetrare apertamente e proiettarsi anche“sconfinando” verso questo genere musicale.

In questa incisione (come d’altronde in tutte le altre) Keith riesce a “tranquillizzare” l’ascoltatore con quella sua autentica “maratona” pianistica che comunque si diversifica in ogni sua registrazione. Se dovessi sintetizzare il concerto in esame direi che si tratta di un armonioso equilibrio con dei diversificati piacevoli contrasti. The Köln Concert viene recensito dagli esperti come il più famoso album di jazz solo, con tre milioni e mezzo di copie vendute e solo questo basterebbe a far capire di quale autentica e raffinata bellezza sia l’incisione.

Fonte: www.musicyes.org

Chissà se gli ascoltatori di Koln Concert si sono "tranquillizzati"....Di sicuro gli appassionati di jazz invece si sono agitati e parecchio nel leggere un simile cumulo concentrato di sciocchezze e banalità. 

Questo articolo non è tratto da un sito che si occupa di cucina o di medicina, bensi', ma guarda un pò, di musica. Chi lo avrebbe mai detto..... 

 
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Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 06/10/12 alle 12:11 via WEB
loop ha in parte ragione (ma è il rischi dell'esporsi e bisogna accettarlo), però l'ultima frase del pezzo è davvero una perla. Una specie di applicazione della proprietà transitiva da far rabbrividire anche uno studente di matematica alle prime armi. La sequenza che ci voglia l'esperto per stabilire che un disco è famoso e che questo basti a farne una incisione di "autentica e raffinata bellezza" fa oggettivamente sorridiere per l'ingenuità. Quando si parla di Jarrett poi il 90% delle volte se ne parla in modo superficiale, fazioso (sia in positivo che in negativo) e si parla del Koeln Concert come il suo massimo al piano solo. Io, non sono mai stato d'accordo l'ho sempre trovato una prova non poi così riuscita di Jarrett, in certi tratti anche musicalmente mediocre, che si distingue per un certo melodismo orecchiabile alla portata di tutti e un approccio emozional-epidermico, poi in realtà poco replicato dallo stesso Jarrett (forse recentemente ripreso in Rio che infatti mi ha detto assai poco), sotanzialmente intendo i primi 10-15 minuti e l'ultimo brano in bis che poi è un brano chiaramente preparato e poco improvvisato. Niente a che vedere con l'energia la creatività e la sintesi di Facing You, forse il suo piano solo più importante, o il concerto di Brema del '73, Staircase ( a chi piace, perché c'è poco jazz) e ancor più la profondità del Sun bear del '76 o più di recente con La Scala. Degli ultimi mi piace solo Testament e parecchio anche. Rio a me ha detto poco e l'ho trovato pre-pompato dal marketing ECM ma abbastanza deludente, ma in generale secondo me Jarrett è in declino creativo anche più rapido di quanto non si dica da almeno un decennio e forse ancor prima dalla esplosione della malattia, anche se come tutti gli artisti geniali è in grado ancora di stupire ognoi tanto (sempre più raramente). Riguardo alla faccenda della sua scarsa capacità socializzante secondo me è un clichè, perché io ho riscontri diretti un po' diversi. Nel 2007 alla Scala a Milano stette quasi un ora (avete capito bene, un ora...) a parlare del più e del meno alla fine del concerto con i suoi fan, alcuni dei quali miei amici di Milano, fuori dal camerino in modo cordiale (cui aveva stranamente permesso l'accesso) certo non per firmare solo qualche autografo. UNa eccezione? Può essere, ma i suoi modi sul palco non credo che bastino a giudicare la persona, ma che sia come minimo sul volubile caratterialmente non ci sono dubbi. In tal senso non ricorda certo Louis Armstrong...
 
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