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ROSCOE A ROMA

Post n°2560 pubblicato il 29 Gennaio 2013 da pierrde

Alla fine mi si avvicina un uomo e mi fa: “Lei era al concerto di Roscoe Mitchell? Ma il ritmo, il tempo, la musicalità? Non suona pezzi, ma studi”. Strano, mi ricordo che lo dicevano anche di Coltrane, cinquant’anni fa: “Non puó farci pagare per ascoltarlo mentre studia”.
Quel diavoletto di Roscoe Mitchell riesce a colpire ancora. Ho visto un pubblico smarrito, sconcertato, qualcuno dormiva. Che diavolo era successo?
Prendiamo un’orchestra jazz, mettiamola lì tutta bella schierata: trombe, tromboni, sassofoni, magari clarinetti, il contrabbasso, la batteria con un bel set di percussioni, pure la chitarra elettrica e il pianoforte. Ora, iniziamo a togliere ottoni, pianoforte e chitarra elettrica: via l’armonia e il dialogo fra il solista e il resto dell’orchestra. Poi eliminiamo il contrabbasso e le percussioni: niente ritmo o almeno nulla che lo faccia percepire apertamente. Lasciamo solo il sassofono solista. Peró gli togliamo anche la melodia, niente sequenze cantabili, riconoscibili. Gli restano gli accordi e il suono, quello puro, tutto ciò che riesce a cavare dal suo sax.
Ecco: questo è più o meno quello che accade nel concerto per solo sax di Roscoe Mitchell, il vecchio leone del free jazz, ex Art Ensemble of Chicago. L’avevo lasciato all’incirca una trentina di anni fa, nel suo soffio ancora il fuoco di un free battagliero. L’ho ritrovato ieri sera canuto, naturalmente, con la stessa rigorosa irriducibilità ma più consapevole, controllata. Alterna parti scritte, che sono passi mossi con circospezione, quasi introduzioni tematiche, a lunghe improvvisazioni. Al soprano inanella lunghe note sovracute condite da armonici, suoni che ballano nell’aria per decine di secondi grazie alla respirazione circolare. Al contralto spara lunghissimi muggiti, a volte belati, che ti tengono col fiato sospeso. Un paio di volte getta lì grappoli di note come accordi sgranati in cerca di swing, un Charlie Parker del XXI secolo, per dire. Il ritmo è nascosto lì dentro da qualche parte, ce lo dobbiamo cercare da soli o affidarci alla testa che l’uomo fa ciondolare avanti e indietro come un metronomo. Oppure guardargli quel viso che si gonfia e si sgonfia, gli occhi chiusi o strabuzzati, le sopracciglia che si alzano e si abbassano senza tregua.
Ma è ancora jazz? mi chiedeva l’uomo.
Boh, è importante?
Quel settantenne smagrito, arrivato in completo color tabacco, serio, muto, quasi rigido, ci ha buttato addosso tanta di quella energia musicale che chiedersi cosa fosse è come guardare il proverbiale dito invece della luna.
Grazie Mr. Mitchell.

Fonte: http://lastella.blogautore.repubblica.it/2013/01/29/il-non-jazz-di-roscoe-mitchell/

Ho visto Roscoe Mitchell in concerto decine di volte, in solo, con l'Art Ensemble of Chicago, con altri gruppi a suo nome e non. Possiedo praticamente tutti i dischi e la situazione che descrive Aldo Lastella la conosco bene, da almeno quattro decenni. Può legittimamente non piacere, e anche la domanda iniziale è tutt'altro che nuova, anzi.Ma mi domando a mia volta: prima di andare ad un concerto non sarebbe bene ascoltare qualcosa del musicista in questione ? Si eviterebbero domande fuori posto e serate non corrispondenti ad un improbabile immaginario. Per il resto Lastella esprime bene il suo pensiero riguardo Roscoe Mitchell, che largamente condivido.

 
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Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 03/02/13 alle 10:25 via WEB
ci sono altre due frasi che lasciano perplessi: "...grappoli di note come accordi sgranati..." cosa si intende? Al massimo con uno strumento a fiato si può arpeggiare un accordo che per definizione richiede almeno tre note suonate in contemporanea (ossia almeno due intervalli armonici in simultanea). L'unico che al momento mi viene in mente che si avvicina al concetto espresso e riusciva a suonare più di due armonici in contemporanea era Albert Mangelsdorff al trombone, ma non so se si possa dire che suonava veri e propri accordi. L'altra frase che mi lascia perplesso è quella sul ritmo "... nascosto da qualche parte" e da ricercare. Se c'è una cosa che mi pare non richiedere una ricerca intellettuale, ma quasi istintiva è il ritmo. Magari i poliritmi sono già più difficili da beccare al volo, non so se Mitchell ne ha proposti, ma dubito. Il ritmo o lo senti perché c'è, o non c'è. Jimmy Giuffre ci ha insegnato il concetto di "ritmo implicito" sin dai tempi di "So low" quando sperimentava i primi pezzi in solo (o quasi) e si sentiva benissimo senza cercare alcun che. Boh!
 
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