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Mondo Jazz

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« C'E' CANDIDATO E CANDIDATO....RADIOTRE: BATTITI »

UN GENIO DEL MALE, UNO STRONZO, UN VERO COATTO: AUGURI MILES

Post n°3497 pubblicato il 26 Maggio 2014 da pierrde

Oggi è il compleanno di Miles Davis, che lui evidentemente non festeggerà perché morto nel 1991. Me lo ricordo, di quando è morto Miles: i giornali ne parlavano, era una cosa grossa. Ero piccolo e mia madre mi spiegò che questo Miles Davis era un musicista drogato che aveva pure collaborato con Zucchero. Mi spiegò anche che era un'enorme testa di cazzo, probabilmente esprimendo il concetto attraverso espressioni meno triviali, ma ecco, il concetto era quello. Come mia madre potesse sapere quanto testa di cazzo fosse Miles, non so dirlo. Presumo fosse la vox populi.

Continua a leggere l'articolo di Valerio Mattioli qui: 

http://www.vice.com/it/read/un-genio-del-male-uno-stronzo-un-vero-coatto-tanti-auguri-miles

 
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Utente non iscritto alla Community di Libero
Gianni M. Gualberto il 02/06/14 alle 09:57 via WEB
Caro Luciano, riconosco di avere sempre apprezzato poco la produzione ECM e di provare un certo disagio rispetto a certe idee del suo creatore, Manfred Eicher, cui riconosco ovviamente della grande intelligenza e superiore abilità, per quanto spesso certi suoi commenti rivelino ancora un musicista incompiuto e frustrato da un talento trascurabile. Certo estetismo con venature esoteriche, che non è certo filone nuovo in determinati ambiti della cultura tedesca, arriva a ripugnarmi, anche se non dubito che possa attrarre la nuova borghesia arricchita che vuole finalmente farsi una cultura ma non ha i mezzi (la tradizione, la frequentazione abituale della complessità) per darsela. L'ECM è un adeguato surrogato, almeno per chi è uso alle uova di lombo ma non al caviale. E lo è persino per chi al caviale è uso, perché molti conoscitori della musica accademica, spesso urtati dalla fisicità del jazz e dei suoi discendenti, dal loro approccio armonico e ritmico, dal loro esuberante incedere "dal basso", trovano in molta produzione ECM un prêt-à-porter che pare sappia snellire e rivestire con la giusta eleganza e l'adeguato tocco di originalità buzzurri, taglie extra-strong, diseredati, disadattati, dropout, outcast, straccioni, emigrati, africano-americani non ancora integrati e tutto quello che può stare in uggia alla borghesia più versata nell'intellettualismo di maniera e con un penchant per i profumi di nicchia meno originali. Per questi stessi motivi, l'ECM attrae non pochi musicisti bisognosi di un certo status, altrimenti non conquistabile nei club o nelle più dignitose sale da concerto. In qualche modo l'ECM conferisce una sorta di Phd, più prezioso di quello dell'Ivy League, perché diventa anche il passaporto per una certa buona società (chi accede all'Ivy League ce lo ha già da tempo). "Parigi val bene una Messa", come sosteneva Enrico IV, per cui l'ECM è una sorta di conversione "ad usum Delphini". Con questo non nego certo che vi sia nell'ormai estesa e traslucida produzione di Eicher anche del merito, se penso a dei ripulitissimi lavori dell'Art Ensemble of Chicago (in cui persino le tecniche d'incisione contribuivano a smussare ogni angolo, a rendere tutto artificiosamente raffinato e timbricamente innocuo), di Marion Brown, di Leo Smith, di David Liebman (chissà perché il primo, bellissimo lavoro di Lookout Farm non è mai stato ripubblicato), di Jack DeJohnette, ecc. ecc. e, naturalmente, di Keith Jarrett (che con l'ECM ha potuto anche presentare banalissime interpretazioni accademiche e ancora più banali lavori para-accademici che altrove sarebbero stati presi "cum grano salis") o Chick Corea (che forse ha regalato all'ECM i due lavori più intelligenti e intelligentemente ambigui del catalogo, le Piano Improvisations). E certamente, il catalogo accademico creato da Eicher, per quanto ancora più pretenzioso e con straordinari guizzi di talentuosa noia (penso a certe acclamate incisioni di Andràs Schiff), può vantare lavori interessanti, soprattutto nell'avanzato neo-tradizionalismo post-sovietico, che tanto deve piacere agli aspiranti lettori della Blavatsky. Personalmente, preferisco coloro che rischiano, anche se non hanno buone maniere né intendono apprenderle. Più faticosi, è vero, ma meno prevedibili e più "rewarding". Un caro saluto. G
 
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